Lee Miller. Fotografie
A cura di Antony Penrose
L’ippocampo, 2023
Prefazione di Kate Winslet
Traduzione di Paolo Bassotti
pp. 111
€ 25,00 (cartaceo)
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La sua storia, segnata da continui spostamenti,
grandi incontri, e una inesausta ricerca di occasioni in cui provare la sua
tecnica, dispiegare la sua arte, è esplorata più approfonditamente nella
prefazione scritta dal figlio, Antony Penrose, curatore del volume. Bellissima, ma anche straordinariamente
competente, Miller sfrutta le sessioni di posa come modella di Vogue per imparare tutto quel che può
dai professionisti che incontra, per consolidare quelle nozioni che aveva
acquisito sin da bambina nella camera oscura del padre. Per lei, tuttavia, la
fotografia rimane primariamente una
forma di espressione artistica. Disinvolta davanti all’obiettivo,
preferisce tuttavia starvi dietro; essere l’artefice dell’immagine, più che il
soggetto, o peggio l’oggetto rappresentato. Anche questo la porta a Parigi,
dove il suo nome si lega a quello di Man Ray (ai due, alla loro relazione
tormentata e alle influenze reciproche è stata dedicata, nel 2023, una bella
retrospettiva a Palazzo Franchetti, a Venezia, intitolata Lee Miller – Man Ray. Fashion, love, war).
Lee usava l’obiettivo per separare le cose dal loro contesto e riproporle come entità autonome, affrancate dal loro significato originario. […] Riteneva che il regno del subconscio coincidesse con la forza creativa della mente, e che una stringata metafora fosse il modo migliore di esprimere un’idea complessa. (p. 13-14)
Nella maturazione dello sguardo, Lee inizia a trovare un suo stile specifico, che non è disposta a sacrificare, né negli
anni dello studio fotografico a New York, né in quelli che trascorre al Cairo
come moglie del ricco affarista Aziz Eloui Bey. Nelle foto che risalgono a
questo periodo, anzi, si può ritrovare quella libertà, che da interiore si fa arte quando esce all’esterno, che
caratterizzerà sempre le sue opere. “Ritratto dello spazio”, con il suo scorcio
su un deserto che pare quasi paesaggio lunare, fuori dal tempo, o “La
processione”, con i segni di vita che animano scie di sabbia altrimenti immote,
rimandano all’anima metafisica degli
scatti egiziani.
Forse, a ben vedere, non esiste scuola migliore per un inviato di guerra di una lunga pratica surrealista, che permette di annullare e rimodulare continuamente la percezione dell’osservatore, facendo in modo che nessuna immagine sia normale e che, al tempo stesso, ogni immagine lo sia. (p. 18)
Accostate l’una all’altra senza soluzione di continuità – anche il cambiamento delle sezioni è indicato solo a piè di pagina, nello scorrere quasi inavvertito, e comunque posto in secondo piano, dei titoli – le fotografie di Lee Miller contribuiscono a delineare una biografia umana, artistica e professionale, che non ha bisogno di commenti nelle sue evidenti linee di continuità, nella coerenza di una specifica prospettiva sul reale. Al contempo, però, in coda al volume ogni scatto è ripreso e commentato singolarmente in un ricco apparato di note, che consente di contestualizzare e approfondire quanto prima esperito a livello più prettamente emotivo.
Ad immagini iconiche, come quella che vede Lee immersa nella vasca del Führer, o le foto sperimentali solarizzate dei primi anni, si accostano lavori meno noti, che permettono di conoscere meglio l’artista guardando i luoghi che ha attraversato, le persone che ha incontrato o conosciuto, i dettagli che ha notato, attraverso il filtro iridescente, sempre originale, dei suoi occhi.
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