Per l’occasione l’autrice è stata
accompagnata da Giulio Perrone, Lisa Ginzburg e Maura Gancitano, la prima a sua
volta autrice e traduttrice, la seconda saggista e opinionista soprattutto
nell’ambito della divulgazione e del dibattito politico.
Prima della cronaca dell’evento però
un breve riassunto di ciò di cui il romanzo tratta: Pedriali Errani è sinta e
il suo libro racconta la storia di Jezebel, protagonista ispirata
a Fiammetta Pedriali, la nonna realmente esistita
dell'autrice, partigiana durante la Seconda guerra mondiale, a sua
volta donna sinta e mondina. La narrazione segue due binari: il primo svolge il
filo della vita di Jezebel, il secondo evoca le leggende, le fiabe, la
mitologia del popolo sinto.
L’evento di presentazione del libro,
tenutosi il 9 dicembre 2023 in Sala Polaris alle ore 18:00 è stato molto
equilibrato: al centro tra Lisa Ginzburg e Maura Gancitano l’autrice ha avuto
modo di approfondire entrambi gli aspetti del suo romanzo, lo stile della
scrittura e il tema, quest’ultimo vero e proprio motore trainante che la
impegna anche al di fuori del circuito editoriale. L’autrice difatti è
attivista per le minoranze sinti e romaní e fa parte di un’associazione
chiamata Movimento Kethane che si occupa di difendere e proteggere i diritti
delle persone rom e sinte.
Questa degli antenati è una delle tematiche forti di Pedriali Errani, non solo per genetica, se così vogliamo dire, ma perché il romanzo include una fortissima spinta in quella direzione, nella celebrazione delle persone scomparse sotto forma di vento (i capitoli dedicati alle fiabe e alle tradizioni infatti sono chiamati “Canta vento gelido”). Non dimentichiamoci poi che il cuore del testo è proprio il ricordo della nonna trasmutato nella protagonista Jezebel.
Maura Gancitano invece l'ha spinta a
trattare il tema dell'esclusione sociale dei sinti, in relazione ai campi di
concentramento (il romanzo è ambientato durante la Seconda guerra mondiale), alle
epurazioni e il rapporto che Morena stessa ha avuto con la società fin da
bambina: nel suo caso, fin dagli anni della scuola, ha voluto dichiarare di
essere sinta, di essere fiera di essere sinta, perché non accettava di sentire
dire continuamente che il suo popolo fosse sporco e che per sopravvivere si dedicasse
ad attività illecite. Allo stesso tempo ha dichiarato di capire chi sceglie di nascondere
le proprie origini perché palesarle comporta il rischio di discriminazione, di
esclusione sociale e persino, nei casi peggiori, di odio razziale.
Il nodo è tutto nel termine
“sopravvivere”: la popolazione sinta ha attivamente fatto parte della
Resistenza, ma questo contributo importantissimo non è mai stato riconosciuto,
anzi, quel popolo è stato vittima di leggi razziali e di persecuzione dei campi
di concentramento fascisti italiani.
Questa persecuzione ha ovviamente causato una serie di storie di
emarginazione che oggi ci parla di persone non riconosciute come facenti parte di minoranza
etnica. Allora l’intento dell’autrice
non è solo quello di far rivivere il ricordo di sua nonna, del suo impegno
nella Resistenza, ma anche di dare voce a chi non ce l’ha o a chi, per paura e
carenza di mezzi, non può parlare.
Deborah D'Addetta
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