"Rumore rosso" di Goffredo Plastino: un saggio ricco di testimonianze sul ruolo simbolico di Patti Smith in Italia e sul senso di appartenenza giovanile negli anni di piombo


 
 
Rumore rosso. Patti Smith in Italia: rock e politica negli anni settanta
di Goffredo Plastino
Il Saggiatore, ottobre 2023

pp. 312
€ 25 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)


Il 1979 è l’anno in cui torna il rock in Italia. Durante uno dei periodi più violenti e bui del nostro paese, dalla fine degli anni Sessanta fino al 1981, gli anni degli omicidi politici, della lotta armata e delle contestazioni giovanili, del Movimento del Settantasette, in cui si radicalizzano i gruppi extraparlamentari di sinistra, anche la musica si fa protagonista dello stato di tensione. Il ritorno dei grandi concerti dal vivo non è esente da conflitti, da quelle fratture e dai sanguinosi dibattiti politici e sociali che caratterizzano il decennio.
Con Rumore rosso, il musicologo Goffredo Plastino stila un racconto di carattere storico e memorialistico di grande interesse, che ruota attorno alla figura di Patti Smith, la punk-rockettara “santa e puttana” di cui l’Italia parlò senza sosta negli ultimi mesi del ’79, in occasione dei due mega-concerti di Bologna (9 settembre) e di Firenze (10 settembre) svoltisi in un clima tutt’altro che disteso.

Dopo il successo del ’76 in cui il PCI aveva raggiunto un risultato storico alle urne, il partito di sinistra entra in crisi e cerca di riprendersi parte dei voti di quei giovani che nel frattempo si frastagliavano aderendo ai gruppi extraparlamentari e alla contestazione armata e terroristica. «Alle elezioni anticipate di giugno il Pci perde un milione e mezzo di voti passando dal 34,4 al 30,4 per cento, il primo arretramento dopo il 1948: in particolare, secondo alcuni calcoli, il suo voto giovanile è sceso in tre anni, dal 1976, dal 38 al 24-26 per cento» (p.16).
Il PCI tenta di risanare il consenso giovanile organizzando eventi musicali, decidendo di far suonare dal vivo Patti Smith, «il personaggio più provocatorio e fuori dagli schemi della scena rock internazionale» (p. 187). Questa politica di recupero delle masse giovanili si è scontrata con la reazione degli stessi giovani, che durante i concerti di Bologna e Firenze hanno fatto valere tutto il proprio risentimento – con lanci di zolle di terra e lattine, cori, insulti e assalti al palcoscenico – verso quello che consideravano un vero e proprio «esproprio culturale ad opera di una forza istituzionale» (p. 187).

Del resto, già nei primi anni Settanta i concerti dal vivo organizzati dagli impresari, primo fra tutti Franco Mamone, erano quasi tutti terminati nel caos. Il super concerto dei Led Zeppelin al Vigorelli di Milano (1971) è stato considerato «l’inizio ufficiale di una lunga guerra» (p. 62) ed era finito nel disastro: poco dopo l’inizio, la band era stata costretta alla fuga a causa degli scontri. Nel 1975 fu lo stesso al concerto di Lou Reed a Roma. Per il pubblico italiano l’industria della musica e il pagamento di un biglietto per ascoltarla non erano accettabili. Così accadde per Santana al Palasport di Torino nel ’77, un concerto terminato tra lanci di molotov e devastazioni, o l’anno prima al Paladido di Milano per De Gregori, che fu costretto da un gruppo di giovani a tornare sul palco per un “interrogatorio”. Dopo, nessun cantante rock straniero aveva il coraggio di organizzare delle date in Italia.

Per questo nel settembre del 1979 tutti aspettano l’idolo Patti, la “poetessa del rock”, la “sacerdotessa del punk”, la cantante che in quegli anni era salita alla ribalta come un’icona di riferimento non solo musicale ma anche di ribellione contro il potere. Eppure, la sua figura sfuggiva allo stereotipo e presso il pubblico si registravano versioni di lei molto diverse, perfino antitetiche. Se la contendevano per poterne affermare l’appartenenza.
In un momento storico in cui la musica non era mero intrattenimento ma uno strumento di identificazione, di rito comunitario e di profonda appartenenza socio-etico-politica, riconoscersi in Patti, «o non riconoscerla, determina affiliazioni […] che a loro volta si traducono in comportamenti collettivi» (p. 45).

Intessendo articoli di giornale, interviste, testimonianze, fotografie e locandine dell’epoca, l’autore analizza bene, ma a tratti ridondante, il problema del ruolo simbolico di Patti Smith e della sua appartenenza, scoprendo che era una figura polarizzante, frammentaria e contraddittoria, e dandocene numerosi esempi.
Da un lato, per alcuni organi della sinistra extraparlamentare (le riviste Lotta Continua e La città futura) Patti incarnava la rabbia dell’emarginazione, la sensibilità punk anarchica, un modello femminista e un mito di trasgressione culturale per tutte le masse giovanili, «dal proletario all’impegnato» (p. 49).
Tutto era indefinito in lei, a partire dal genere. Arrapava uomini e donne. Non si poteva dire né bella né brutta. Sembrava tossica, anoressica, alcolizzata. Sembrava un fantasma. E poi quella voce rabbiosa, febbrile, dolente. L’adorammo con impeto, immediatamente. Dal giorno alla notte, tutti erano pazzi di lei. Patti era punk senza esserlo davvero. Era una che non accettava scorciatoie, che non cedeva al ricatto dell’identità. (p. 53)
Dall’altro lato, invece, la si percepisce come un prodotto dell’industria musicale americana e capitalistica, un personaggio modellato ad arte, artificioso e contraddittorio, una che canta le «peggiori sciocche canzonette» (p. 49), adatte alla discoteca; una che al concerto di Firenze cita papa Luciani e innalza la bandiera degli Stati Uniti.
Eppure, in questa controversa battaglia di opinioni musicali e orientamenti identitari nei confronti della “regina della notte”, ciò che risalta maggiormente dal libro è l’indiscussa lotta tra i giovani italiani a voler dichiarare “Patti nostra”.

Con un bel corredo fotografico e una raccolta nutrita, ma forse fin troppo densa e didascalica, di testimonianze e articoli dell’epoca, Goffredo Plastino ritaglia un quadro complesso ma affascinante dell’Italia di quegli anni, di quando la musica non era soltanto musica, ma una bandiera politica e identitaria capace di trascinare intere masse: ben centoquarantamila giovani, si calcola, a vedere Patti tra Bologna e Firenze.

Federica Cracchiolo