«Se l'amore ti salva, l'odio ti consuma»: la disumana rabbia in "Chiodi" di Antonio Schiena


Chiodi
di Antonio Schiena
Fazi Editore, settembre 2023

pp. 157
€ 16,15 (cartaceo)
€ 9,99 (eBook)

«Le cose brutte fanno diventare brutti e la solitudine ingigantisce i demoni dentro, li rende spaventosi, li spaccia come inaffrontabili. Non è mai così. [...] Nei libri ho sempre trovato la mia unica via di fuga, ma quando inizi a morire dentro non riesci più a riconoscere gli appigli per salvarti. Le persone su cui contare, fuori da quelle pagine, semplicemente non esistono più». (pp. 160-161)

È la storia dell'Avvinto che conoscono un po' tutti e che potrebbe essere la persona che abita e custodisce il cimitero del paese. Ed è la storia di Marco Torre, un ragazzino di tredici anni, vittima di un bullismo di cui non riesce a parlare che è costretto a fare i conti con il silenzio ostile degli insegnanti e con una madre troppo impegnata nei suoi incontri occasionali. La rabbia infiamma gli istinti, li avvelena, li stordisce e li trasforma in inclinazioni violente. Il sangue pulsa, gli occhi bruciano e la mente si annebbia quando la rabbia si impadronisce di ogni muscolo cambiando la narrazione degli eventi, che spesso è tragica. 

Marco è un ragazzo timido e introverso, confinato in un corpo con cui non si sente a suo agio, dove si vergogna solo a guardarsi allo specchio. A scuola è bersaglio di Gianmaria e della sua banda di bulli che continua a chiamarlo pisciasotto a causa di episodi spiacevoli del suo passato che pesano ancora sul suo percorso identitario. Non è facile scrollarsi di dosso la polvere del disprezzo. Ancor più a scuola, dove si è sottoposti agli sguardi della folla e a continui giudizi. Nel versante opposto della storia esiste un lugubre cimitero di paese di cui il protagonista è il custode che si aggira tra le lapidi accompagnato dal suo fidato cane Robinson. Il custode aleggia tra le ombre di un passato che ha catturato, col tempo, l'immaginazione di generazioni di adolescenti: materiale perfetto per un gioco pericoloso da ripetere negli anni. È proprio la leggenda dell'Avvinto, un ragazzino che osò sfidare la Morte per pagarne amaramente le conseguenze, ad essere oggetto di curiosità tra i più piccoli, costretti, prima o poi, ad attraversare il cimitero di notte per trovare l'Avvinto, ridergli in volto col fine di transitare finalmente nel mondo degli adulti. Quando in classe i compagni sfidano Marco a entrare di notte nel cimitero del paese per il tradizionale rito di passaggio che spetta a tutti, il protagonista non esita ad accettare la provocazione per dimostrare che anche lui appartiene al gruppo e che dopo il superamento della prova tutto cambierà precipitosamente. Anche il burbero custode conduce una vita isolata: è un uomo di mezza età, misterioso medita su un errore del passato che continua a tormentarlo dopo anni. 

Marco, giorno dopo giorno, cova dentro di sé una rabbia crescente che sfoga su un Pinocchio di legno lasciatogli dal padre, l'unica traccia della presenza paterna nella sua vita. Non reagisce ai dispetti dei compagni, non ha reazioni ai loro nomignoli, non riesce a dire e dirsi che cosa prova in quei momenti e l'unica soluzione possibile è il rifugio in un ricordo che non esiste e in un cambiamento che non avviene se non a quel burattino di legno:

«Il braccio di legno, col chiodo sporgente, riuscì a calmarlo. Da quel giorno Marco tiene il martello in una scatola nera sulla mensola più alta che c'è in camera sua e, quando per strada si imbatte in un cantiere, arraffa qualche chioso grosso, lungo, affilato. Anche stasera sposta i libri dalla scrivani aper fare spazio e poggiare il braccio appena tirato fuori da letto. Ormai i chiodi infilzati nella spalla di Pinocchio sono sette; ognuno è un ricordo, un'eruzione, un'espiazione, come se quei colpi potessero compensare il dolore subito. [...] Ora è il momento del chiodo otto. Marco guarda il braccio di legno e lo accarezza. Trasmette autorevolezza di una mazza chiodata e la sicurezza di una corazza. Con quel braccio Marco si difende, sapere di averlo con sé gli permette di sopportare le umiliazioni peggiori, di subire senza indebolirsi, di diventare sempre più forte». (pp. 83-84)

Quel braccio di legno chiodato diviene esattamente la protesi emozionale di Marco, l'unico mezzo col quale alienarsi dalle cattiverie del mondo sfogandole in chiodi di rabbia. Per Marco la solitudine è una sfida per restare vigile sulla Terra, è la prova autentica che dichiara la sua autonomia e indipendenza assoluta a se stesso. Allo stesso tempo però vorrebbe che le cose cambiassero, che Sara si decidesse a parlargli, che i compagni di classe lo stimassero, che la madre trovasse del tempo per ascoltarlo; Marco vorrebbe più di tutto non essere invisibile. E il custode, d'altro canto, non fa nient'altro che dimostrarsi identico a Marco. Forse burbero e con qualche anno di troppo, ma con la stesso senso di ingratitudine appiccicato addosso. Fra il bambino e il custode, entrambi emarginati, nascerà un breve dialogo intergenerazionale dagli incastri drammatici e imprevedibili e si scopriranno più simili del previsto.

Così torniamo sempre lì. Al limite del confine sfocato tra l'essere bambini e il capire come stanno veramente le cose. E spesso, quando ci si trova su quel bordo, si è soli, senza mani a cui aggrapparsi e si rischia di cadere molto prima di riuscire a gridare. Con Chiodi, edito da Fazi Editore, Antonio Schiena scrive un romanzo di formazione che incorpora elementi della fabula per rappresentare le difficoltà di crescere e di confrontarsi con le modalità di una società dominata dal branco. Marco Torre è infatti un protagonista credibile. Il suo andirivieni tra casa, scuola e cimitero è un vagabondare tra frane e precipizi in cui tutti si riconoscono. La sua inquietudine è lo specchio di un'esperienza condivisa e il suo rapporto con il custode è un intreccio di silenzi, imbarazzi e rivelazioni che scalda il cuore.

Il male in Chiodi è qualcosa di reale e di profondamente concreto, eppure proprio per questo, qualcosa con cui ci si può confrontare. Il romanzo non racconta solo la storia di un ragazzo, ma parla a un pubblico che non è solo di ragazzi. È un atto di ricostruzione e di cura, un tentativo onesto di rimodellare il rotto, di dare forma agli errori commessi, di farne nuovo materiale, non necessariamente da soli, ma grazie a un trampolino di lancio utile per risalire dal baratro. I temi scelti da Schiena sono delicatissimi e sempre attuali, dalla rabbia al bullismo, dall'isolamento alle ondate sismiche di agitazione. Lo scrittore scrive in punta di penna una storia dai tratti lugubri e malinconici e riesce a tenere incollato il lettore nell'attesa dello sciogliersi di quel mistero che è perenne in tutta la narrazione; dà al lettore il giusto finale amaro non troppo leggero servendosi di tinte forti che non sono né così cupe da turbare chi legge né così luminose da dare speranza agli afflitti. 

Un po' come il suo protagonista, tutta la storia resta al bivio tra infanzia e adolescenza, in una zona da limare, dove anche Pinocchio lotta per diventare un bambino vero, ancora una volta nel vuoto di un'occasione mancata. 

Serena Palmese