Zerocalcare e Serena Dandini a Più libri più liberi 2023



Prima di iniziare, qualche numero che emerge direttamente dai comunicati stampa di Più libri più liberi, la fiera della piccola e media editoria che si tiene come ogni anno durante il ponte dell’Immacolata a Roma all’interno del centro congressi dell’Eur, in quella meraviglia architettonica progettata da Massimiliano Fuksas: secondo l’AIE, «nel 2023 sono il 74% le persone tra i 15 e i 74 anni che hanno letto almeno un libro a stampa», un numero in aumento rispetto al 2022 e ai valori prepandemia, sebbene «cala la percentuale di lettori che legge almeno una volta a settimana». C’è poi da dire che l’edizione di quest’anno può contare ben 115.000 accessi, più del 2022: lo confermano i classici ingorghi nei corridoi del padiglione e la difficoltà incontrata nell’accedere agli eventi, così come le shopper colme di libri dei visitatori che se ne vanno contenti verso l’uscita.

E in effetti proprio di ingorgo si può parlare quando ci avviamo al primo evento della giornata, anche se, dati i due personaggi presenti, era cosa scontata. Così, nonostante la coda lunghissima, riusciamo a salire le scale mobili che conducono all’interno della Nuvola, attraversare la serpentina di facce eccitate e trovare posto fra le prime file nella sala auditorium per assistere all’incontro che vede protagonisti Michele Rech (in arte Zerocalcare) e Serena Dandini. Che sia l’Auditorium con la A maiuscola, ossia quello vero in via della Conciliazione, o questa sala all’interno di un centro congressi, Zerocalcare riesce comunque a fare tutto esaurito. Gli applausi si sprecano quando i due si manifestano sul palco. C’è una bella sintonia fra il fumettista la conduttrice: entrambi spigliati, si abbandonano sulle poltrone e parlano senza nascondere la calata romana (non che Zerocalcare ne faccia mai segreto; Serena Dandini, più abituata alla televisione, sembra invece volersi rilassare un po’ attraverso questo confronto). Il titolo dell’evento è R come Roma ma entrambi ci tengono a precisare che non c’entra nulla con quello di cui parleranno. Forse, scherzano, è stata una burla di Chiara Valerio.

Serena Dandini esordisce affermando: «Michele è stato l’unico, a parte Corrado Guzzanti, che è riuscito a farmi ridere». E l’altro replica con un secco «Se, vabbè» che fa partire la prima di tante risate dal pubblico. Parte la prima domanda, che riguarda l’ultimo libro pubblicato di Zerocalcare da Bao, Enciclopaedia calcarea, una “mappa emotiva per capire il mondo di Zerocalcare”. «A chi è rivolta?» chiede. «A chi la vòle» risponde Rech, che poi approfondisce: l’idea di raccontare i personaggi che popolano i fumetti nasce tempo prima, quando in edicola compaiono dei volumetti contenenti la storia di un singolo personaggio e corredati da tavole inedite e dai pupazzi dei personaggi stessi. «La gente se lamentava che nun voleva i pupazzi» dice Zerocalcare, e quindi la soluzione è semplice: un libro senza pupazzi dedicato a chi segue l’autore da sempre e a chi ha iniziato a conoscerlo con Netflix.

Arriva poi la prima domanda seria: «Quali sono le regole per non tradire il pubblico?»

«Ho cercato di agire in buona fede, di essere sempre chiaro. Ho avuto tre regole allinizio: no coi nazisti, no con chi vuole manda’ in galera gli amici mia, no cose elettorali». Ma è ovvio che le cose cambiano col tempo e soprattutto per l’ambiente in cui è cresciuto sono stati due i principali problemi: da un lato far convivere l’elemento dell’impegno sociale (e dunque pubblico, comunitario) con quello della ritrosia che da sempre lo contraddistingue; dall’altro venire a patti con gli errori e gli scivoloni che uno schieramento ideologico e politico necessariamente comporta. «Ho provato dove possibile a essere sempre chiaro e trasparente, a chiedere scusa per gli errori» continua. «Oggi seguo un principio unico, ossia non peggiorare il mondo con la roba mia». Un’affermazione semplice solo in apparenza, ma sappiamo tutti che non è così e infatti parte l’applauso.

Serena Dandini fa notare che il primo libro è del 2011, Kobane calling, che segna una svolta politica, è del 2016, la prima serie tv viene fuori nel 2021. «Lavoro per piani quinquennali» scherza Zerocalcare, poi più seriamente aggiunge che tutto il lavoro fatto è stato un lento avvicinamento ai temi che veramente lo interessavano. La difficoltà è stata quella di non tradire mai il pubblico iniziale, anche se è ovvio che qualcosa si perde per strada. Ma il tempo necessario per arrivare al grande pubblico, alle serie tv, è stato un lungo percorso che ha richiesto testardaggine («tigna», per usare le parole dei due). Ad esempio, emerge che è stato lo stesso autore a proporre la serie tv a Netflix e non il contrario, come ci si aspetterebbe. L’idea viene fuori dopo il cortometraggio Rebibbia quarantine, pubblicato durante il lockdown. «È stato un modo per sentirsi più vicini alla gente» dice l’autore, e Serena Dandini conferma: «Mi sono sentita più compresa con questo corto che con l’inno nazionale urlato dal balcone».

È stato proprio questo cortometraggio fatto in casa che ha fatto uscire fuori le potenzialità del grande schermo. Senza Rebibbia quarantine, probabilmente, non ci sarebbero state le due serie Netflix; senza il doppiaggio dei personaggi, anch’esso fatto in casa, sarebbe stato impossibile convincere Netflix a far uscire le serie così come le conosciamo, con questo romano che ha richiesto per alcuni l’uso dei sottotitoli. «Che poi» scherza Zerocalcare, «secondo me se sei capace de anna’ a fa’ la spesa al Todis sei capace pure de capi’ il romano.». È stata la tigna, ribadiscono entrambi. E quando lei fa notare che tigna e testardaggine sono necessarie per raggiungere qualcosa, lui risponde «In questo mestiere sono tignoso perché non ho piani B. Non so fare altro.»

Si parla poco di politica. Si parla poco di Israele e Palestina, forse perché non è il luogo adatto, o forse perché tutti sanno da che parte sta l’autore, a maggior ragione dopo gli eventi del Lucca Comics. Si parla invece di un personaggio in particolare, quello di Sara. «Sara è la persona che mi ha salvato, sia nei fumetti che nella vita reale». E la Sara reale, quella che ha ispirato il personaggio, è una persona che non scende a compromessi come fa la sua controparte in Questo mondo non mi renderà cattivo. È una che lotta sempre e comunque. È lei he ha insegnato a Michele, prima ancora che a Zerocalcare, che parlare di sentimenti è possibile, e che esiste un problema col patriarcato.

«Amare le donne è da froci: questo ho letto da bambino. E se ci pensi è un’assurdità», una contraddizione in termini che però dà il tono della questione. «Fare ironia sul patriarcato è un modo per sgonfiarlo. Nessuno è esente da questa roba. Fra maschi non si parla di sentimenti perché qualcuno ci ha insegnato che è così. Fa parte di noi». Ed è giusto parlarne, sempre. Anche scherzarci su, dice Serena Dandini. Perché «se non c’è il femminicidio del giorno, la luce dei riflettori non c’è». Lo dimostra la questione di Giulia Cecchettin, che ha acceso le luci su qualcosa di quotidiano.

Poi la conduttrice chiede: «Perché non riusciamo mai a imparare nulla da quello che succede?». Qui Zerocalcare fa un sorriso imbarazzato prima di rispondere: «Mi sono dato come regola di non dare risposte che non so, quindi: che cazzo ne so». E di nuovo si ride, ma al contempo ci si sofferma su quanto detto: l’impossibilità di dare una risposta semplice a una domanda solo all’apparenza semplice. Com’è possibile che raramente si impara – a livello collettivo, s’intende – dagli errori comuni?

Dopo alcuni scambi di battute più leggeri, fra cui il fatto che l’armadillo è l’unico personaggio a essere stato doppiato non dall’autore bensì da Valerio Mastandrea, che, sembrerebbe, più che proporsi per il ruolo si è imposto non appena si è concretizzata l’ipotesi di realizzare Strappare lungo i bordi, si torna ad argomenti più seri. Si parla della Casa delle donne Lucha y Siesta che, dopo essere stata messa in sicurezza dalla giunta regionale precedente, ora rischia di nuovo lo sfratto, e che entrambi reputano un luogo fondamentale nella capitale per tutti i servizi e il supporto che ha saputo fornire negli anni. Parte l’applauso quando Serena Dandini ribadisce: «Viva l’Italia antifascista» senza che nessun membro della Digos intervenga per identificarla.

Infine arriva l’ultima domanda per Michele Rech, secca e limpida: «Ti senti in colpa per il successo?» Lui ci pensa un po’ – poco, in verità, perché già sa la risposta – poi dice «In parte sì, perché ho amici molto migliori di me, quelli a cui io chiedo le cose che nun so, a cui nessuno chiede niente».

David Valentini