di Gaëlle Nohant
Neri Pozza, 23 gennaio 2024
Traduzione di Luigi Maria Sponzilli
pp. 332
€ 20 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
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Il passato è un cimitero. Il futuro, tenue fiamma, non può esistere che sotto un altro cielo. (p. 55)
Che cosa rimane delle vite spezzate nei lager nazisti? A distanza di più di ottant’anni, le conseguenze e il peso di quelle azioni sembrano acquisire, di anno in anno e di epoca in epoca, un valore diverso; quello che non cambia mai è l’imperativo del ricordo. Non si può e non si deve dimenticare. E, sebbene sembri che riesumare quelle esistenze sia sempre più difficile, esiste ancora un filo invisibile che unisce il nostro tempo a quello della Seconda Guerra Mondiale; un filo invisibile che, fortunatamente, permette di evitare l’oblio.
Irène è una donna francese che lavora, ormai da molto tempo, presso l’Its (International tracing service), un istituto di ricerca in Germania, nato dopo la fine del conflitto per aiutare i profughi a tornare a casa. Nel corso del tempo, però, si è trasformato in qualcos’altro, con una missione, a dir poco, complessa: indagare la sorte di tutte quelle persone che non avevano più fatto ritorno dai lager nazisti. L'Its, tuttora funzionante, si occupava e si occupa di ricercare e dare una risposta ai parenti che, ancora oggi, aspettano una traccia dei loro nonni, bisnonni, zii o zie. Irène, dunque, lavora in un luogo dove passato e presente si sovrappongono quotidianamente; l’impiego non è dei più semplici perché chiarire, a distanza di decenni, la sorte degli internati nei campi di concentramento può essere complesso e non sempre d’immediata soluzione. Questo si complica quando il suo capo le affida l’incarico di restituire alcuni oggetti che sono conservati presso l’istituto: un pupazzo scolorito di Pierrot, un medaglione o un fazzoletto ricamato sono solo alcuni di questi.
Quando sono partiti per questo lungo viaggio verso l’ignoto, hanno portato con sé dei preziosi che non pesavano. I loro documenti d’identità, qualche talismano dal grande valore sentimentale. Ricordi di una vita che speravano di ritrovare intatta dopo l’arresto, la prigione, le torture, il vagone piombato. […] L’Its ha ereditato quasi quattromila oggetti all’inizio degli anni Sessanta. (p. 23)
Da questo momento, Irène percorrerà a ritroso le esistenze di questi oggetti e, nel farlo, scoprirà le vite degli internati e si scontrerà frequentemente con «la catena delle responsabilità» (p. 125). Non si tratta solo di semplici oggetti, come un giocattolo o un capo di abbigliamento; questi diventano la porta d’accesso verso quelle atrocità così violente e crude che pesano su ognuno di noi ancora oggi. E, se da una parte, Irène deve fare i conti con documenti falsificati o manomessi, dall’altra, saranno proprio le testimonianze dei sopravvissuti a darle un aiuto consistente nelle sue ricerche, ponendo al centro il ricordo e dando di nuovo una voce a tutte quelle vittime a cui fu tolta.
L’archivio dei destini procede dunque per filoni paralleli che intrecciano passato e presente e raccontano non solo storie di solidarietà, coraggio, determinazione, ma anche il grande peso dei discendenti dei soldati nazisti, dei collaborazionisti o di tutte quelle persone che, in un modo o nell’altro, hanno contribuito allo sterminio, come nel caso del medaglione. Irène inizia a occuparsi di questo oggetto quando nel suo ufficio arriva la lettera di un nipote che le racconta che quel gioiello era stato rubato dalla nonna, sorvegliante presso un campo di concentramento. Queste ricerche, dunque, non interrogano solo la memoria, ma anche le singole responsabilità e il ruolo che alcuni ebbero nello sterminio. Non è facile per Irène (e nemmeno per il lettore) affrontare quelle storie, perché il lavoro dell’Its non è una semplice ricerca d’archivio, ma diventa qualcos’altro: una missione collettiva e al tempo stesso personale. È un lavoro investigativo che, però, lascia impronte indelebili nell’animo della giovane francese, tanto che non riesce a staccare da quelle storie pur di ridare un volto, una voce o un destino alle vittime delle persecuzioni naziste («Irène ha la sensazione che la stiano chiamando. Deve sceglierne uno, o farsi scegliere», p. 23).
Quella che racconta Gaëlle Nohant in L’archivio dei destini è una storia che andrebbe letta tutto l’anno e non solo in occasione della Giornata Della Memoria perché lo scopo dell’Its è quello di «riannodare i fili spezzati dalla guerra» (p. 266). Non è solo una questione di offrire una tomba “ideale” ai discendenti delle vittime, ma di rievocare esistenze che rischiano altrimenti di essere dimenticate; esistenze che sono state annientate dalla follia nazista e questo - soprattutto oggi - il mondo non può permetterselo. Ecco, perché le parole dell’autrice risuonano come un avvertimento, attraverso momenti, giornate e istanti rievocati da oggetti all’apparenza insignificanti, ma che sono una testimonianza diretta di quelle atrocità.
Tra romanzo e ricerca storica, L’archivio dei destini è un libro diretto che lascia tanto spazio alla ricerca quanto alla verità e si pone come strumento della memoria perpetua dello sterminio nazista, non dimenticandosi nemmeno di quel «senso di colpa nascosto» (p. 170) che grava da sempre.
Giada Marzocchi
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