Lo Zen e la cultura giapponese
di Daisetz T. Suzuki
Adelphi, dicembre 2023
Traduzione di Gino Scatasta
pp. 396
€ 18 (cartaceo)
€ 18 (cartaceo)
€ 10,99 (e-book)
Nuova edizione a colori (con inserto centrale ricco di illustrazioni e riproduzioni di stampe) questa di Adelphi del testo di Suzuki, Lo Zen e la cultura giapponese, racconta proprio questo: come la filosofia zen influenzi gli aspetti più tradizionali della cultura nipponica, dalla disciplina dei samurai al confucianesimo, dall'arte della spada alla cerimonia del tè.
La casa editrice ci racconta così la genesi di questo testo: "Daisetz T. Suzuki, massima autorità giapponese nel campo del buddhismo zen, dà avvio nel 1936 a una serie di conferenze in Inghilterra e in America, cimentandosi nella non facile impresa di illustrare al mondo occidentale la più indecifrabile e sfuggente delle dottrine orientali. E due anni più tardi, dopo aver profondamente rielaborato e perfezionato i testi approntati allo scopo, consegna con questo libro le chiavi di accesso a una mirabile tradizione religiosa, senza la quale sarebbe inconcepibile gran parte della filosofia, dell’arte e della letteratura nipponiche".
Il testo dunque viene pubblicato per la prima volta nel 1938 in Giappone e nel 1959 negli Stati Uniti e si presenta come un vero e proprio compendio iper esaustivo e descrittivo, come farebbe un maestro con un alunno. In questo caso il maestro è chiaramente Suzuki e l'alunno è il suo pubblico di lettori.
Scorrendo velocemente l'indice ci si rende conto che le discipline coinvolte sono tutte "tradizionali" (e sarebbe anche strano il contrario considerato l'anno di pubblicazione): quindi troviamo una sezione dedicata allo zen e al mondo dei samurai, della spada; lo zen insieme all'haiku; lo zen insieme alla cerimonia del tè; lo zen e la natura; infine delle appendici e un ricchissimo indice analitico. Nel mezzo, un voluminoso inserto colmo di illustrazioni, riproduzioni di stampe, incisioni, dipinti, esempi di calligrafia.
Il mio maestro, tuttavia, non si sentiva pienamente soddisfatto di quanto aveva imparato. Iniziò a studiare lo Zen con Kohaku, un maestro che era stato abate del Tôfukuji, uno dei principali monasteri di Kyoto. Con lui il mio maestro fece grandi progressi nella comprensione del buddhismo zen, giungendo infine alla seguente conclusione: nessuno dei grandi maestri dell'arte della spada che aveva conosciuto fino allora, compresi Genshin e Kami-idzumi, poteva definirsi a tutti gli effetti un vero maestro, in quanto essi non erano riusciti a comprendere minimamente il principio essenziale della vita; ignorandolo, nonostante conoscessero a fondo le tecniche dell'arte della spada, restavano schiavi di pensieri illusori, privi di qualsivoglia valore. Non potevano spingersi oltre una di queste tre alternative: 1) sconfiggere un avversario più debole; 2) essere sconfitti da un avversario più forte; 3) finire con l'abbattersi o uccidersi a vicenda con un avversario di pari valore (ai-uchi). (p. 148)
Ciò che è curioso in questo libro, un po' saggio, un po' flusso di coscienza, nonostante il capitolo di apertura che s'intitola Che cos'è lo zen?, è che non sembra arrivare mai una spiegazione chiara e precisa, la sua spiegazione dello zen si riduce in gran parte al fatto che lo zen non può essere spiegato perché è individuale e deve essere sperimentato, quindi fornisce molti esempi di zen della storia giapponese nella speranza che si possa intravedere la sua forma. Suzuki si concentra non tanto sulla decodifica, quanto sulla discussione o sulla scoperta.
Come tutti gli scritti di Suzuki, il tono è accessibile e umano. Ho trovato particolarmente illuminanti il capitolo VII dedicato alla forma poetica degli haiku. Suzuki spiega le basi di questa forma d'arte in un modo che aiuta un occidentale ad apprezzarla meglio (anche se sospetto che per apprezzarla completamente sia necessario leggere gli haiku più vecchi nella loro lingua madre giapponese, sigh, a saperlo leggere il giapponese). L'haiku non è qualcosa da intellettualizzare. In sostanza, si tratta di una traduzione diretta di un'esperienza viscerale in una forma verbale.
Molto belli anche i capitoli sulla natura e sulla cerimonia del tè.
Di fondo, c'è una celebrazione del Giappone tradizionale come potremmo riscontrarlo in Tanizaki se facciamo riferimento al suo Libro d'ombra: un pizzico di etnocentrismo attraversa il libro. I concetti e gli ideali occidentali vengono spesso sminuiti a favore delle loro controparti giapponesi, ma, ironia della sorte, molti degli ideali occidentali che Suzuki sminuisce sono ormai radicati nel Giappone moderno, forse in modo ancora più estremo che in Occidente. C'è una bellezza nel modo di pensare che Suzuki descrive in questo libro, e la tragedia potrebbe essere che sta lentamente scomparendo.
Chiaramente si tratta di un'opera erudita, che necessita di molto tempo per essere letta nella sua interezza.
Verrà sicuramente apprezzata molto da chi ama le filosofie orientali e lo zen buddista in particolare.
Deborah D'Addetta