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Ma-trimoni culturali da recuperare: scoprire altre narrazioni e altre versioni delle opere letterarie liberandole dal “male gaze” con Jennifer Tamas

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I no delle donne. Liberare i classici dallo sguardo al maschile
di Jennifer Tamas
Marietti 1820 editore, 1 dicembre 2023

Traduzione di Giulia Frare

pp. 256
€ 28,00 (cartaceo)

Mi sarebbe piaciuto che mi avessero insegnato la letteratura diversamente, che mi avessero fatto scoprire le opere di donne, che mi fossero spiegati i racconti e le favole attraverso il prisma femminile, e spero che per i nostri figli sia così. Questo saggio aspira a offrire a tutti la possibilità di ripensare la storia letteraria attraverso il rifiuto femminile, non per abolire il passato, ma per farlo uscire dall’imperscrutabilità. La letteratura è un mezzo potente per pensare il mondo; poiché imita da molto vicino l’esperienza della vita, si sbaglierebbe a a minimizzare i suoi insegnamenti. (pp. 238-239)

È da qualche anno che si fa sempre più acceso il dibattito sul rapporto donne e letteratura insieme alla consapevolezza che la quasi totalità della produzione letteraria è stata ad appannaggio solamente maschile. Sapevate però che anche le fiabe come quella di Cappuccetto Rosso, della Bella e la Bestia e miti come quello di Elena di Troia, di Andromaca sono stati filtrati dalla prospettiva maschile? Quest’ultima ha dominato al momento della codificazione scritta di narrazioni che in realtà in origine erano diverse. Ebbene sì, anche le fiabe, proprio quelle che si raccontano ai bambini prima di dormire, così tanto famose grazie alle trasposizioni cinematografiche tra cui quelle della Disney, con buona pace delle varianti, non sono neutre e tradiscono il male gaze”, cioè lo sguardo maschile, una visione del mondo che esclude totalmente la prospettiva femminile della realtà, insabbiandola e oscurandola, grazie al potere e al privilegio di cui ha goduto il maschio dalla notte dei tempi, in virtù di una presunta superiorità fisica e intellettuale sulla donna. 

Jennifer Tamas insegna Letteratura francese dell’Ancien Régime a New Jersey, negli USA, si occupa di gender studies e da qualche anno sostiene il movimento #MeToo in Francia: in questo saggio, con uno stile accessibile, con entusiasmo e passione per la letteratura, ci indica la strada per «decostruire i meccanismi del discorso femminile svelando gli ingranaggi messi a punto dagli uomini» (p. 12) stringendo il focus nell’ambito della cultura francese del XVII secolo, in pieno Ancien Régime.

Per cambiare la nostra percezione dei testi del passato, per riconoscere che possono servirci a pensare il nostro presente, per accettare il loro valore indipendentemente dagli schemi maschili dei quali siamo state fin troppo a lungo prigioniere, è necessario leggere diversamente e adottare una prospettiva femminista. Si tratta evidentemente di un atto politico che presuppone non soltanto di cambiare l’insegnamento dei grandi testi, ma anche di affrancarsi dagli stereotipi ai quali le donne sono state ridotte. (pp. 21-22)

La letteratura non è un terreno neutro per la donna, è un vero campo minato. La letteratura classica, sostiene l’autrice, è piena di stereotipi da sfatare, soprattutto quelli che raccontano di donne silenziose, miti, obbedienti, che subiscono la volontà e il desiderio maschile, sottomesse, ridotte a corpi da conquistare, donne di cui è stato cancellato il rifiuto, la resistenza ferma: lo sguardo maschile ha messo a tacere voci di donne dissidenti che nel passato hanno provato ad affermare il proprio talento, la propria presa sul mondo, facendole apparire creature fragili e prive di qualsiasi potere di azione. Per questo Tamas, riferendosi a queste narrazioni altre, sulle tracce di disobbedienza e di resistenza femminile che sono rimaste in opere letterarie gettate nell’ oblio, parla di “ma-trimoni” - controcanto femminile al termine pa-trimonio - culturali da restaurare e riscoprire nella loro pienezza. Si tratta di tesori, validi sia dal punto di vista letterario che storico e sociale.

Basta con Cappuccetto rosso come ragazzina passiva. Al diavolo la Bella vista come emblema della donna sotto l’ influsso…di una Bestia! Non attribuiamo più ad Andromaca unicamente il ruolo di madre e donna perfetta. Smettiamo di considerare la bella Elena e le sue avatar (ad esempio Marilyn Monroe) come delle femmes fatales diventate vittime consenzienti. (p. 23)

Tamas indaga i meccanismi della costruzione di quel pregiudizio che ha cancellato la resistenza delle donne, la loro forza e la loro saggezza e lo fa analizzando non solo i testi, ma anche i codici culturali dell’Ancien Régime come la galanteria, per identificare i prodromi della cultura dello stupro. Secondo la saggista, che in diversi punti del libro discorre anche della sua esperienza di insegnamento in una città americana, di fronte a una platea di ragazzi e di ragazze che tendono a guardare con sospetto alla letteratura francese classica, la galanteria non è frutto di una mentalità sessista. In un mondo, come quello medievale e moderno antecedente alle prime forme di rivendicazione dei diritti fondamentali, la società era particolarmente violenta e aggressiva: saccheggi, stupri di donne e bambine durante le guerre e i disordini, duelli privati «per una parola di troppo» (p. 26), matrimoni contratti senza amore e senza che gli sposi si conoscessero in precedenza. Giovani donne sposavano, infatti, per accordi prematrimoniali stabiliti dalle loro famiglie, dei perfetti sconosciuti, spesso più anziani di loro e che conoscevano direttamente in occasione della prima notte di nozze, vissuta dalla stragrande maggioranza delle spose come un vero e proprio trauma, un incubo, ma necessario, come veniva loro spiegato dalle donne più sagge. La galanteria non è stata l’ennesima manifestazione sessista, l’ennesimo cliché anzi, è stata una costruzione letteraria elaborata per entrambi i sessi e ha permesso di ingentilire una società violenta, di renderla più “a misura di donna”: un’autentica conquista nei costumi, un modo per cambiarli.
Dire che la galanteria rappresenta una cultura dello stupro è un totale controsenso: è proprio per opporsi alla realtà dello stupro che si sono immaginati altri rapporti. (p. 49)

Prima che predominasse la cultura scritta, quella orale permetteva una maggiore partecipazione delle donne all’atto creativo e alla diffusione di storie, soprattutto fiabe: durante i lavori femminili (ricamo, filatura della lana, cucito) o davanti al focolare, le nonne e le zie tramandavano un ricco e vivace ma-trimonio culturale a figlie e nipoti che a loro volta le avrebbero trasmesse alle nuove generazioni di fanciulle della famiglia. 

Testimonianza lampante della manipolazione maschile delle prime fiabe è proprio la famosissima Cappuccetto rosso, di cui esiste la versione nivernese, cioè di prima fonte, quella folkloristica, che presenta molte differenze con la versione più famosa, a partire dal cibo e dalle bevande che la mamma mette per la nonna nel cesto della bambina fino al lupo che non (corsivo mio) riesce a divorare la protagonista. Nella narrazione originale della fiaba di Cappuccetto rosso è possibile leggere una storia di iniziazione sessuale, prospettiva avvalorata anche dal detto molto diffuso all’epoca «vedere il lupo» che indicava «avere un appuntamento galante». Tamas mette in evidenza che nella versione di Perrault - quella che conosciamo tutti -  è presente lo sguardo maschile che racconta di una bambina che soccombe a un lupo (un maschio) per essere stata disobbediente e che verrà poi salvata dal buon cuore di un cacciatore di passaggio (un altro maschio, ancora!). Interessante leggere la costruzione nivernese della stessa fiaba, dove Cappuccetto rosso è una protagonista attiva e agente, non la solita bambina passiva, ma una fanciulla iniziata ai misteri del sesso che «si salva, […] senza l’aiuto di nessuno. Conquista anche una conoscenza strumentalizzando il lupo» (p. 63) È davvero sconvolgente confrontare le due versioni della fiaba, così come lo è scoprire il male gaze in quelle fiabe così famose che hanno segnato la nostra infanzia: da Biancaneve alle trasposizioni cinematografiche di la Bella e la Bestia, passando anche attraverso la passiva figura della Bella addormentata, ci rendiamo conto di quanti stereotipi sessuali ci siamo nutriti e di quanto il patriarcato sia radicato nella letteratura

Nel saggio vengono affrontate tematiche come quelle del rifiuto della maternità, della resistenza passiva delle donne, analizzando i personaggi di Andromaca e di Medea, le cui vicende per secoli sono state filtrate da una prospettiva maschile che ha imposto alle eroine il giogo di una logica sacrificale (essere una buona moglie e una buona madre).

Contrariamente agli uomini sulle donne pesa questa assegnazione: essere buone madri e buone spose. Tale esigenza è così fortemente ancorata che una donna che non vuole essere madre è sospettata di non voler essere veramente donna o di avere qualche profonda mancanza nella sue femminilità. Rifiutare la femminilità oggi non è più un tabù, ma continua a non essere pienamente accettato. […] La diffidenza verso ciò che le donne vogliono fare del proprio corpo è una costante nella storia. Concerne tanto il loro ventre quanto i loro desideri, la loro spiritualità e la loro sessualità. Il «male gaze» è una cappa di omertà che distorce i discorsi e favorisce la cortina di fumo attorno alle donne, siano esse madri o giovani figlie, eroine o vittime. (p. 130)

Nel capitolo Dietro il mito, uno stupro: Elena e Marilyn Monroe, fantasmi del «no», Tamas affronta uno degli nodi cruciali del libro e del rifiuto delle donne, cominciando ad analizzare il sintagma ossimorico “vittima consenziente”: secondo la visione maschile, dietro al rifiuto delle donne o dietro al loro silenzio, c’è sempre un sì. È essenzialmente questa la retorica maschile, un consenso forzato, che giustifica la cultura dello stupro. Tamas ci racconta allora di due vittime consenzienti, due icone di bellezza, l’una mitica, l’altra proveniente dal mondo del cinema, accomunate dalla maledizione della loro avvenenza che le rende solo dei corpi, separati dalla loro anima, e da un’infanzia già segnata dallo stupro. Sia Elena che Marilyn hanno provato a resistere alla violenza maschile, rispettivamente al rapimento di Paride e allo stupro di gruppo da parte degli scagnozzi di Giancana (secondo quanto riportato da diversi biografi dell’attrice): rifiuti insabbiati o non compresi che scagionano l’uomo e colpevolizzano la donna, rea della violenza subita. 

Il rifiuto di Elena, così come quello di Marilyn è occultato, perché va contro gli interessi maschili e smentisce l’illusione di un corpo iconico e intoccabile. È anche necessario che queste donne amino il sesso - che siano lascive, leggere - per poterle erigere a miti della sessualità. La loro propria volontà non è che un’ombra. Sotto il sole del desiderio maschile, essa non esiste. (p. 141)

Il lavoro di Tamas apre gli occhi al lettore su narrazioni inquinate, manipolate dalla prospettiva maschile e lo fa analizzando non solo fiabe, ma anche miti, opere letterarie come Le relazioni pericolose di Laclos, La principessa di Clèves di Madame de La Fayette - romanzo denigrato e incompreso anche dall’ex presidente francese Sarkozy - , fino ad arrivare alla storia di Berenice di Racine. Tamas, grazie a una trattazione a catena, in base alla quale nella parte finale di ogni capitolo vengono gettate le basi per quello successivo, costruisce un discorso fluido, organico e convincente e arricchisce ogni analisi anche con considerazioni personali sul rapporto studenti e letteratura dettate da una lunga e solida esperienza di insegnamento.  

Marianna Inserra