Melancholia I-II
di Jon Fosse
La Nave di Teseo, dicembre 2023
Traduzione di Cristina Falcinella
pp. 448
€ 22 (cartaceo)
€ 22 (cartaceo)
€ 11,99 (e-book)
Leggere questo libro non è stato facile. Si tratta di un romanzo densissimo, folle, che trascina il lettore in un vortice di pazzia e genio artistico. Jon Fosse, Premio Nobel per la Letteratura 2023, scrive Melancholia I nel 1995 e Melancholia II nel 1996. Questa versione edita da La Nave di Teseo riporta entrambi in un unico volume.
La prima parte viene presentata secondo il punto di vista di Lars Hertervig, un pittore norvegese realmente esistito con il quale Fosse (e Vidme, protagonista della parte finale di Melacholia I) vanta di avere dei legami parentali alla lontana. Lars è mentalmente instabile e tutta la sua maniacalità, la sua schizofrenia, prendono forma in un lunghissimo monologo interiore fatto di ripetizioni ossessive, paratassi, frasi reiterate in continuazione, visioni irreali, ricordi del passato e trip quasi allucinogeni. Le questioni su cui maggiormente insiste sono due: la pittura e Helene.
E il maestro di pittura Tastad mi urla Lars, tu adesso vieni con me, c'è una porta da dipingere. M'incammino verso Tastad e lui mi mette la sua mano grande e sottile sulla spalla. E una porta nel cielo. Lars, tu dipingerai una porta in cielo, ma prima dobbiamo passare dallo studio di pittura a prendere la tinta e i pennelli. Ed è luce che dipingerai, ragazzo, quella luce che tu e io possiamo vedere. E poi lei è lì, nel suo vestito bianco, così pallida, con le sue dita sottili. E io dico che sei così bella oggi. E lei dice che anche tu sei bello, Lars. (p. 78)
Lars crede di essere l'unico di tutta l'Accademia delle Belle Arti di Düsseldorf a saper dipingere. Subito dopo si contraddice, credendosi un inetto. Ha il terrore di incontrare il maestro Hans Gude per paura che gli dica che è un incapace, eppure quando Gude gli comunica che il suo quadro è bello, lui non ci crede. Lo stesso altalenante senso di distaccamento dalla realtà avviene con Helene, la figlia della sua locataria: la sua ossessione per lei, per i suoi capelli biondi e il suo seno (ossessione quest'ultima reiterata in tutto il romanzo, anche nella parte di Vidme) si potrebbe assolutamente definire patologica, se non fosse per il fatto che Helene lo ricambia (ma sarà proprio così, o è una falsa convinzione di Lars, un ennesimo autoinganno?).
La continua frastornante incertezza sul suo talento viene resa da una scrittura assillante, esasperante, con la quale si entra in empatia non facilmente. Di fatto, ciò che Fosse fa è entrare dentro la malattia mentale di Lars, perché è indubbio che Lars sia un personaggio (e un uomo) bisognoso di cure. Ce lo conferma la stessa narrazione: tre anni dopo la prima sezione, il pittore finisce in manicomio.
Qui lo troviamo ancora disperatamente ossessionato da Helene, ma questa ossessione trova (e non trova) sfogo nella sfera sessuale.
Se i gabbiani non tornano devo mettermi giù la mano tra le gambe, toccarmi lì sotto tra le gambe, come dice il dottor Sandberg, se non vedo subito i gabbiani mi devo toccare un po' lì sotto tra le gambe e no, non devo mettermi la mano lì sotto tra le gambe, toccarmi lì sotto tra le gambe, come dice il dottor Sandberg, e io devo soltanto toccarmi un po' lì sotto in mezzo alle gambe, soltanto tastare un pochino, ché tanto nessuno se ne accorge, neanche il dottor Sandberg, quello che, quando sono arrivato qui, mi ha detto che non dovevo toccarmi lì sotto in mezzo alle gambe, capisce a cosa mi riferisco, no [...] (p. 212)
L'ultima parte di Melancholia I ci presenta un altro personaggio, Vidme, uno scrittore che, nel 1991, subisce una vera e propria sindrome di Stendhal di fronte a un dipinto di Lars esposto alla Galleria Nazionale di Oslo. In quel momento decide di scrivere un romanzo su di lui. E però anche Vidme ha i suoi fantasmi da combattere, fantasmi che si incarnano nella figura di Maria, un prete donna della Chiesa Norvegese.
Infine Melancholia II: una sezione che salta a piè pari nella vita di Oline, sorella minore di Lars. Dopo essere stato in manicomio, Lars torna sull'isola natale e sua sorella descrive come, quali sono i comportamenti del fratello, in che modo si manifesta quella "melancolia" del titolo.
Tutte le parti in cui è diviso il romanzo presentano, chi più chi meno, la stessa scrittura nervosa: soprattutto la prima, quella dedicata alle nevrosi di Lars, è davvero frastornante, un vortice frammentato di follie come Fosse immagina ci sia nella mente di una persona psichiatricamente malata.
I personaggi non vengono descritti, appaiono semplicemente. I salti temporali sono chiari, ma nella narrazione le visioni e le paranoia di Lars rendono la lettura disorientante, effetto assolutamente voluto dall'autore. Come dicevo, non è un testo facile, a tratti anche respingente, ma superato lo scoglio delle prime pagine, poi si cade in un circolo vizioso da cui si esce difficilmente. Per alcune persone potrebbe risultare fastidioso, ma ricordiamo che stiamo parlando di una narrazione che avviene dentro la mente di un pittore melanconico, nell'accezione patologica del termine, quella che fa riferimento alla teoria alchemica degli umori e all'eccesso di bile nera, dunque soggetti fortemente creativi ma anche esposti alla pazzia.
Lo consiglio come lettura da centellinare, da leggere poco per volta.
Deborah D'Addetta