Nuova luce sulle stragi politiche italiane: "La tigre e i gelidi mostri", una verità d'insieme a cura di Gianfranco Bettin e Maurizio Dianese



La tigre e i gelidi mostri. Una verità d’insieme sulle stragi politiche in Italia
di Maurizio Dianese e Gianfranco Bettin
Feltrinelli, novembre 2023

pp. 320
€ 19 (cartaceo)


“Cavalcare la tigre.” È, questo, un detto estremo-orientale, esprimente l’idea che, se si riesce a cavalcare una tigre, non solo si impedisce che essa ci si avventi addosso, ma, non scendendo, mantenendo la presa, può darsi che alla fine di essa si abbia ragione (p. 30)
In questa nuova uscita edita da Feltrinelli, a pochi mesi dalla sentenza definitiva della Corta d’Assise di Bologna che ha condannato Gilberto Cavallini all’ergastolo per la strage del 2 agosto 1980, gli scrittori Gianfranco Bettin e Maurizio Dianese ricostruiscono i fatti storico-politici di un tragico ventennio italiano.
Nella nota introduttiva al testo, Carlo Feltrinelli spiega il sottotitolo e imposta un’utile premessa sull’importanza di pubblicare oggigiorno un libro in cui si torna ancora una volta, dopo innumerevoli, a parlare delle stragi italiane:
Questo nuovo libro racconta episodi sconosciuti, o reinterpretati alla luce di fatti nuovi e di nuove chiavi di lettura; episodi cruciali di una storia che inizia ben prima e finisce molto dopo piazza Fontana. Una storia le cui ombre e i cui artigli giungono fino a oggi. Per questo è bene, è giusto, è necessario continuare a cercare quella “verità d’insieme” invocata dal giudice Mario Amato proprio alla vigilia della sua uccisione, che era anche la vigilia della strage di Bologna, da parte dei neofascisti sui quali indagava. (pp. 10-11)
Articolato in tre parti principali, che indagano le tre stragi più gravi della storia italiana, piazza Fontana, piazza della Loggia e la stazione di Bologna, ognuna di esse ripercorre gli avvenimenti seguendo le orme di una figura chiave, di un protagonista stragista (“Il ragazzo con la camicia nera”, “Il ragazzo che fotografa le ombre”, “Un fascista in più il 2 agosto”), svelando dei nomi ancora mai pubblicati dentro a un libro, esponendo episodi nuovi all’interno di un intreccio storico senza alcun dubbio complesso, ma di cui gli autori riescono a tenere le fila con ordine e accuratezza, tornando più volte sugli stessi episodi, mostrandoceli da angolazioni diverse e generando così una mostruosa scultura a tutto tondo, popolata da mille volti, taluni ben conosciuti o poco esposti, altri celati ma dai tratti intuibili.

Il primo capitolo si focalizza sull’esecutore della strage di piazza Fontana, sul ragazzo con la camicia nera che il 12 dicembre 1969 entrò nella Banca Nazionale dell’Agricoltura per lasciare sotto al tavolone centrale un borsone in pelle carico di tritolo, partito da Mestre con Zorzi in una Fiat predisposta da Maggi. Un ragazzo veronese vissuto nell’omertà, Claudio Bizzari, il paracadutista militante di Ordine nuovo, poi latitante. Ma i nomi sono tanti, molti di più oltre a quelli già ben noti, protagonisti e burattinai, menti e braccia, per delle “azioni” (come militarmente erano chiamate da certi ordinovisti) compiute «con la complicità di uomini da cui lo Stato e i cittadini avrebbero dovuto ricevere difesa» (p. 26), come disse Sergio Mattarella nella Giornata della memoria delle vittime del terrorismo il 9 maggio 2023.

Ma nel capitolo si parla anche di un «film mai visto» (p. 109), della squadra Uar (Ufficio Affari Riservati) di Roma che indaga sui «capri espiatori designati, costruiti con metodo» (p. 41), del convegno del Pollio: «il momento in cui il percorso di integrazione tra neofascisti e apparati di Stato viene legittimato dal centro stesso di quegli apparati» (p. 63). Si parla della Nato, dell’alleanza a guida statunitense, dei finanziamenti a partiti e organizzazioni anticomuniste, di Gladio e degli armamenti di guerra nascosti in caso di invasione dall’est, del “Piano Solo”, così chiamato perché «attuabile anche “solo” dai carabinieri» (p. 52), richiesto dal presidente della Repubblica Antonio Segni due anni prima del quasi colpo di Stato del ’64, quando Segni ipotizzava di dare l’incarico per formare un “governo del presidente”. 

Il capitolo dedicato alla strage di Brescia è tutto incentrato su Silvio Ferrari, il ragazzo che si credeva fosse esploso sulla sua Vespa, tagliato in due, per un ordigno attivato in anticipo per errore, e invece era stato ammazzato perché aveva iniziato a dire qualcosa. Ma soprattutto le pagine raccontano la storia della sua ragazza, la allora diciassettenne Ombretta Giacomazzi, che ha vissuto per decenni nella paura, nel ricatto da parte di quegli uomini da cui si cerca la difesa, come disse Mattarella, da un viavai di carabinieri, dal capitano dell’Arma Francesco Delfino; ma ha anche vissuto nella consapevolezza di essere «viva per miracolo» (p. 171) perché è «stata zitta per quarant’anni» (p. 187), e nel confronto con la propria coscienza e con la sua famiglia. Nel libro vengono riportati lunghi stralci delle sue deposizioni (il titolo del paragrafo è evocativo: “Lo stream di Ombretta”, una sorta di flusso di coscienza) avvenute dal 2014 al 2016: pagine intense, lette d’un fiato, coinvolgenti, pregnanti non solo della verità dei fatti storici, ma anche della verità dei sentimenti, di chi pur non avendo le mani sporche di sangue, sapeva e ha taciuto, di chi per decenni è comunque stato parte del mistero e adesso vuole soltanto essere «Lasciata con i mostri» (p. 212). Anche verso questi personaggi è arduo restare indifferenti.

Infine l’ultimo capitolo, il più conosciuto, il più angoscioso, si apre con la figura del veneziano Gianpietro Montavoci, detto “Mucci” dagli amici ordinovisti, detto “Mambo” dal Sid. Una figura attorno alla quale è calato il silenzio e su cui non si è ancora del tutto fatta luce circa la strage di Bologna e i rapporti con Carlo Digilio, «l’arcipelago nero» e i «ragazzi del Nar» (p. 225), con Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. È forse il capitolo più complesso di tutto il libro, ma pure il più intrigante.

Gli autori Bettin e Dianese seguono un filo narrativo che dà poco per scontato, eppure riesce a non essere didascalico, e s’infiltra lucidamente tra le ombre più oscure di quegli anni, a fornirci un quadro storico molto più ampio delle sole ore in cui avvenne l’esplosione: sulle mazzette che hanno finanziato la strage, registrate nel “documento Bologna”, su Licio Gelli, sul leader di Avanguardia nazionale Stefano delle Chiaie, sul piduista e direttore dell’Uar Federico Umberto D’Amato, «la persona più adatta e affidabile, agli occhi di Licio Gelli, per mettere a frutto l’oneroso investimento strategico di 850.000 dollari effettuato dal capo della Loggia massonica P2 in vista del progetto Bologna» (p. 271).
Come scrisse l’ex magistrato Leonardo Grassi, a lungo impegnato nelle indagini sull’eversione nera:
La strage di Bologna è stata il possente convertitore di un potere occulto in un potere visibile, ma non è bastata. Lo stragismo doveva continuare, nel 1984 con la strage del rapido 904 e poi con le stragi del 1992 e 1993, con la sottostante trattativa fra Stato e mafia, con un filo conduttore che, con Paolo Bellini, parte dal 1980 e arriva sino al 1993, allorquando, stabilito un nuovo equilibrio politico, le stragi non servivano più. (p. 276)
Ai tre corposi capitoli fanno da cornice due capitoletti che introducono e chiudono il quadro storico, spiegando la scelta puntuale del titolo dato al libro, ma soprattutto con l’intento di dare un preciso significato politico degli eventi, per dare un messaggio assolutamente attuale e ricucire insieme una storia che non deve essere soltanto un passato che sentiamo lontano e che ha «prodotto una sorta di retorica e forse anche un immaginario» (p. 9) di cui si pensa che sia stato già detto tutto, ma una lente attraverso cui guardare la tigre e i mostri dell’oggi:
una nuova dinamica attraversa il nostro e tutti i paesi del mondo, segnati dalla fine della Guerra fredda e del bipolarismo, ma soprattutto con le migrazioni spinte dalla naturale volontà di migliorare le proprie condizioni di vita e, sempre più spesso, dall’impossibilità di vivere in aree rese inospitali da povertà, siccità, crisi climatica, regimi tirannici, guerre, sfruttamento e appropriazione delle risorse naturali e umane da parte dei paesi ricchi. È questa tigre che la destra contemporanea ora invece cavalca benissimo. (p. 296)

Federica Cracchiolo