«Perché noi due non possiamo amarci? Sogno che il principe sia diverso da tutti e che non gli importi di cosa dice la gente o di come è fatto il mio corpo, che soltanto mi ami e mi cerchi e cerchi le mie parole, le mie carezze. Sogno che ci sia, quando lo voglio, quando devo confidargli i miei pensieri, quando provo a capirci qualcosa, di questa vita di cui non si capisce mai niente».
Tutti pensano di conoscere la storia della Sirenetta di Hans Christian Andersen, ma in realtà nessuno la conosce davvero. Come una sirena è la storia avventurosa della vita di Andersen scritta nel romanzo di Giovanni Montanaro, non solo un racconto di riscatto sociale e culturale, ma anche fonte di indizi fondamentali per comprendere l'opera di un autore. Figlio di una donna alcolizzata e nipote di una prostituta, che, cresciuto quasi analfabeta, a quindici anni lascia la cittadina di Odense per trasferirsi a Copenaghen sognando un futuro da ballerino e fallendo miseramente. Costretto a studiare in classi con bambini più piccoli, nonostante una vita di disagi rocamboleschi, riesce a guadagnarsi la stima e l'amicizia di alcune illustri famiglie fino ad auto-pubblicarsi i suoi primi libri e diventando uno dei migliori scrittori del suo tempo. È proprio nell'ambito della cultura contadina, nei suoi aspetti più rituali e mistici, che Andersen sviluppa una poetica favolistica che contiene anche una denuncia imminente dello stato sociale da cui proviene. Attraversato da una spinta di fuggire da una condizione disagiata e di estrema povertà, Andersen non ripudierà mai le proprie origini, ma vivrà in un ricordo straziante della madre e del suo affetto sincero.
Hans Christian Andersen raggiunse il successo a trent'anni e scrisse alcune delle fiabe più memorabili come Il brutto anatroccolo, il cui protagonista è Andersen stesso, La piccola fiammiferaia, la cui protagonista è Andersen, ma in più di tutte lo è ne La Sirenetta. Con le sue fiabe, lo scritto rivela ciò che non può essere raccontato in altro modo, in particolare gli amori mai compiuti, per ragazzi e ragazze: soprattutto il sentimento per il suo migliore amico Edvard Collin, figlio del suo protettore.
La scrittura dà forma alla sua fantasia, ai suoi turbamenti più intimi, trasfigurandoli in racconti che sono specchio d'acqua dove tutti riescono a riflettersi, a scoprirsi, in qualche modo a vedere di sé anche quello che è più difficile riconoscere o confessare. Giovanni Montanro, dopo anni di scoperte e ricerche, con delicatezza, profondità e allegria, restituisce alla fiaba de La Sirenetta la sua storia. Andersen non capisce, ma sente il suo corpo a metà come quello appunto di una sirena, una creatura spezzata a metà che cerca disperatamente di amare. La storia de La Sirenetta tocca temi come l'accettazione e il desiderio di possedere un nuovo corpo per far parte di un mondo in cui ci si sente esclusi, quando la Sirenetta, nella storia, ottiene le gambe per raggiungere il mondo umano, perde per sempre la voce e diventando donna perde quell'immortalità che riuscirebbe a riconquistare solo uccidendo il principe. Una tentazione a cui resiste guadagnandosi però l'immortalità dell'anima, come se "vendendo" la sua voce, volesse evidenziare che certi sentimenti non si possono dire fino in fondo. Andersen è più interessato alle anime che ai corpi, cerca di capire come raggiungere l'altro a prescindere dalla corporeità per amarsi e amare.
La storia inedita di Hans Christian Andersen, il suo tormentato e irrisolto rapporto col corpo e la sessualità, la sua complessa identità di genere e l'amore di tutta una vita per il suo migliore amico rivelano l'estrema contemporaneità di un'intramontabile fiaba.
Giovanni Montanaro con pazienza e lunghe ricerche attraverso diari originali, lettere e documenti dell'epoca, ha meticolosamente ricostruito la vita del più grande scrittore per l'infanzia, in un romanzo in cui la storia di Andersen è alternata al racconto in prima persona della Sirenetta e dell'amore impossibile per il principe. È lei la protagonista della fiaba più famosa di Andersen, a fare da controvento alla vita del suo autore. Lei e il suo disperato amore, lei non vista, così come Il Brutto anatroccolo, come Il Soldatino di stagno, come... Andersen stesso, solo, povero, imprigionato in un corpo goffo, eternamente innamorato di chi non lo vuole. Addirittura incerto se rivolgere i propri sentimenti al sesso maschile o femminile.
Lo stesso Andersen non rivela quello che non riesce a dire, si innamora di donne e uomini, brucia di desidero e passione, ma non riesce a vivere l'amore, soprattutto in un corpo in cui non si riconosce; la sessualità fuori dagli schemi, l'emarginazione sentimentale, rendono la letteratura e le fiabe un'evasione da una realtà di sofferenza. Andersen, già allora trentenne nel 1830, viveva la contraddizioni, il tormento, la ricerca di un posto nel mondo, condizioni che sono tutt'oggi al centro della modernità. In ogni suo scritto è presenta l'idea del "diverso" nel senso di "non collocabile". Una sensibilità fuori dal comune e uno scetticismo esistenziale per cui Andersen può essere considerato come l'ultimo dei romantici, ma anche il precursore del realismo che grazie alla complessità sublime della sua penna riusciva, attraverso la fantasia, a generare nuovo mondi uscendo da quella condizione difficile che già da bambino lo perseguitava.
Proprio come la Sirenetta protagonista della storia, Hans Christian Andersen voleva in fondo solo essere desiderato e amato. Era pronto a negare se stesso per questo, e lo scritto nella lettera all'amato Edvard Collins che confessò di aver in parte assecondato la passione di Andersen, ma di non essere stato conscio del dolore che questa sua ambivalenza provocava all'amico continuò a devastarlo. Edvard fingeva di non cogliere il desiderio di Hans, lo lasciava riposto nelle parole, confinato alla dimensione letteraria. Sempre in quella dimensione - quella delle storie, che già gli era congeniale - Andersen trovò rifugio dopo essere stato ferito dall'apparente tradimento. Immaginò un mondo lontano, sprofondato negli abissi marini, nel quale una sirena cerca qualcuno da amare.
«Allora cominciò a scrivere. Quando parlava non ci si accorgeva che era un semianalfabeta, ma se provava a scrivere diventava evidente. Però gli sembrava la cosa giusta da fare, doveva almeno provarci, e così aveva chiesto a Fru Jensen un tavolino e aveva comprato una candela, dell'inchiostro, la carta. Se scriveva, stava bene. Così, scriveva in modo frenetico per giorni interi - gli capitava di cominciare in piena notte, quando non riusciva a prendere sonno, o di giorno, quando non aveva niente da fare, o da mangiare - e poi smetteva di colpo, senza più alzare la penna per settimane. Scriveva per calmare la paura della vita, spaventosa come un cane randagio, che lo assaliva verso sera, al buio, ma anche di giorno, in iena luce. Scriveva per capire se stesso, per fantasticare, per raccontare il mondo come voleva che fosse. Scriveva perché gli altri ballavano meglio di lui. Per vendicarsi delle prese in giro. Scriveva per fare l'amore, perché di farlo davvero non se la sentiva. Scriveva perché trovava divertente l sguardo di un cagnotto, il nasone di un droghiere, l'accento di una donna, Perché la vita gli sembrava buffa, e le cose già importanti per lui erano, insieme anche le più ridicole. Si divertiva. Gli era tornata la fantasia, la libertà. E più le cose andavano male, alla scuola, più scriveva. E quando lo espulsero, alla fine - gli avevano permesso di concludere il corso perché ne conoscevano l'animo sensibile e temevano di dargli una delusione troppo grossa - , gli rimase solo la scrittura. Ma cosa doveva scrivere?».
Uno scrittore grande, grandissimo anche per i più grandi, che non perse mia il tocco fiabesco di un'infanzia sempre trattenuta in sé come il sogno di una felicità possibile.
Serena Palmese
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