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Il ritorno di un classico della semiotica: "La svolta semiotica" di Paolo Fabbri

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La svolta semiotica
di Paolo Fabbri
La Nave di Teseo, 2023

a cura di Gianfranco Marrone

pp. 320
€ 20,00 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)


Torna in libreria un classico ormai introvabile della semiotica: La svolta semiotica di Paolo Fabbri, edito per la prima volta nel 1998 e arricchito in questa edizione della Nave di Teseo di un'ampia appendice di testi inediti.

Il testo prende le mosse da una serie omonima di seminari tenuti da Fabbri a Palermo, dal 25 al 27 novembre del 1996 e mantiene la freschezza dello stile delle lezioni, e il suo carattere argomentativo e interlocutorio. Alle tre lezioni (La scatola degli anelli mancanti, Lo scibile e i modelli, Corpo e interazione) seguono infatti le domande e le risposte del dibattito. 
Si parte dalla delimitazione e dall'identità della semiotica come disciplina:
Quel che mi interessa è invece ricostruire l'affermazione della semiotica come disciplina, ossia come piano di consistenza teorica che assume un certo numero di enunciati in un'epoca precisa. Ora possiamo datare una tale affermazione della semiotica come disciplina autonoma agli inizi degli anni sessanta, non più di una generazione fa. (p. 25)

Fabbri ripercorre velocemente la distinzione, che è un punto basilare, fra la semiologia e il paradigma semiotico.  La prima, che riconosce in Roland Barthes il suo mentore, è una critica delle connotazioni ideologiche presenti nella lingua, una decostruzione delle sovrastrutture che un sistema sociale ha imposto sul linguaggio, per liberare il grado zero della scrittura. Nella semiologia prevale la predominanza del linguaggio verbale su tutti gli altri sistemi semiologici. Da questo punto di vista essa si presenta come una disciplina che anticipa l'ermeneutica. Il paradigma semiotico, che trova invece in Umberto Eco e in Charles Sanders Peirce i suoi padri, è uno studio di tutti i tipi di segni, non solamente quelli linguistici. Da questo punto di vista, la semiotica si appropria delle riflessioni sul segno presenti fin dall'origine della filosofia. L'assunto della svolta semiotica è che non è possibile

scomporre il linguaggio in un unità semiotiche minime, per poi ricomporle e attribuire il significato al testo di cui fanno parte. È necessario, al contrario, aver chiaro che non riusciremo mai a fare un'operazione, a priori, di questo genere, e che invece possiamo investire degli universi di senso particolari dentro cui ricostruire specifiche organizzazioni di senso, di funzionamenti di significato, senza vantare la pretesa di ricostruire generalizzazioni valide in ultima istanza. (p. 50)

Gli anelli mancanti della semiotica, a parere di Paolo Fabbri, sono quelli che devono collegarla ad altre discipline che si occupano di significazione e quelli che legano epistemologia a una teoria. 

Si coglie, in questo testo imprescindibile per chiunque si occupi di tali tematiche, che Paolo Fabbri interpretò la semiotica come una disciplina a vocazione scientifica e “interstiziale”, capace cioè di fare interagire discipline sorelle, quali l'antropologia, la filosofia, la sociologia, la storia dell’arte, la linguistica, ecc. Questo approccio si coglie dal calibro dei personaggi con cui Fabbri dialogò, molti dei quali si trovano qui citati:  Lotman, Benveniste, Deleuze, Barthes, Jakobson, Saussure, Ricœur, Lévi-Strauss, Hjelmslev, Foucault, Lyotard.

Un "dialogo" a parte è quello con Eco, che addirittura lo rese personaggio de Il nome della rosa nelle vesti di Paolo da Rimini, bibliotecario ed erudito soprannominato abbas agraphicus.

La svolta semiotica si interroga sia sul versante interno della disciplina che su quello esterno, che implica - come abbiamo già notato - il rapporto con discipline limitrofe. La proposta di Fabbri è che la semiotica possa proporsi come un organon, ossia che fornisca modelli e massime per il funzionamento delle conoscenze delle discipline della significazione.

Deborah Donato