Ricorda. Se un malato è incerto chiedigli cosa ha sognato. Se è sicuro, chiedigli in cosa ha sperato. Curali partendo non dai loro corpi, ma dai loro lutti. Curali senza sottovalutare gli intoppi, dando più importanza al nascosto che al visibile. E se guariscono di' loro che sono migliorati da soli. Se muoiono, di' ai parenti che è stato per tua negligenza. Addossati le colpe che non hai e dimentica i tuoi meriti, ma soprattutto amali, figlia mia. (p. 31)
Nel 1376 a Palermo, una donna, la Virdimura del titolo, si trova davanti a una Commissione di giudici. È ormai anziana e malferma sulle gambe; tra le mani stringe un filo di lana, il cui significato si capirà più avanti. Non sappiamo ancora per quale motivo ha ricevuto un decreto di comparizione, ma avvertiamo fin da subito la determinazione con cui chiede ai giudici: «Lasciate i miei ricordi a scricchiolare» (p. 9). Ed è proprio sulla scia della memoria che si dipana un racconto avvincente e lirico, appassionato e pieno di devozione verso la professione medica, intesa anzitutto come vocazione.
Fin dall'inizio, appare a dir poco fulgida l'immagine del padre di Virdimura, Urìa, medico stimato in tutta Catania, nonostante le sue origini semitiche mettessero in sospetto alcuni concittadini. Urìa è una sorta di padre e medico modello: privo di alcun tipo di pregiudizio o di ombra, risponde all'urgenza di aiutare chiunque soffra, a prescindere dall'estrazione sociale, dalla fama o dalla nomea del paziente. Illuminato dall'esperienza ben più che osservante dell'ipse dixit, Urìa è anche straordinariamente moderno: il suo approccio privilegia la scienza, in un secolo ben lontano dall'applicazione del metodo sperimentale. La conoscenza delle erbe e dei loro poteri medicamentosi (di cui troviamo una traccia lirica, quasi poetica tra le pagine), unita a una grande capacità di ascolto dei sofferenti, ha reso noto il suo nome in tutta Catania. Qualche volta tristemente noto, perché Urìa è un metro di paragone scomodo per i suoi colleghi: non è affatto venale e, rinunciando spesso alla parcella, rovina "gli affari" dei colleghi; pur senza rinunciare alla religione, ha una visione laica della professione medica; non esita a mettere in dubbio le conoscenze pregresse e a riaggiornarle prendendo appunti su quanto vede sul tavolo operatorio.
Per Virdimura, la cui madre era morta di parto, Urìa ha sempre rappresentato una presenza insostituibile, di cui desidera l'ammirazione. Le è stato concesso di camminare tra i letti dei malati, di assistere alle cure fin da bambina, affinché si avvicinasse sempre di più alla professione medica. Ma come può Urìa pensare di passare il testimone a Virdimura, se è diffusa l'opinione che una donna sia «razza di scartati, di unicorni, di mostri» (p. 78)? Se a questo aggiungiamo che Virdimura è anche ebrea, è facile capire quanti pregiudizi si assommino nelle menti dei benpensanti dell'epoca.
Tuttavia, questo non ha mai impedito a Urìa di cambiare opinione o a Virdimura di interrompere il suo apprendistato. Perseveranza inossidabile e autentica dedizione sono due bellissimi Leitmotiv che attraversano tutta l'opera: tante sono le prove che Urìa e Virdimura devono attraversare, tra pregiudizi, angherie e molto altro, comprese due epidemie, in cui ognuno di loro si sentirà una Cassandra. Eppure ogni difficoltà non fa che rinsaldare il desiderio di portare avanti la propria missione.
In questa sua crescita così stravagante, Virdimura è molto sola: Urìa è il suo unico amico finché la ragazzina non conosce Pasquale, figlio di un altro medico, amico di famiglia. Pasquale si distingue immediatamente per le sue attitudini cosmopolite: abituato a viaggiare al seguito del padre, ha uno spirito aperto verso scoperte e invenzioni provenienti da altri popoli. E le affinità sono tali che presto Virdimura arriverà a pensare:
Era intatto, Pasquale de Medico, come qualcuno che ha appena assaggiato la luce. Era pieno di solitudine. Era bello. (p. 55)
Non si fa nessuna colpevole anticipazione nel dire che Pasquale è un altro uomo straordinario che sarà affianco a Virdimura, anche se in modo non convenzionale. Il loro è soprattutto un'unione di intenti, rinsaldata dalla fame di sapere e da una sorprendente capacità di rialzarsi, avversità dopo avversità.
Ispirato a un documento conservato nell'archivio storico di Palermo, Virdimura è una biografia storica romanzata, dal momento che si sa pochissimo su questa prima donna medico trecentesca. Simona Lo Iacono, intessendo alla narrazione parole di siciliano antico, ci riporta in una dimensione in cui in mezzo a tante discriminazioni e ad altri tentativi di emarginazione, la sua protagonista e i comprimari rilucono di determinazione e passione. Forse è possibile intravedere nel romanzo anche un desiderio di omaggio a chi ha sfidato i pregiudizi per radicarsi - con forza - nelle proprie convinzioni. In ogni caso, è certo che Virdimura, senza mai farsi stucchevole o edificante, ha il potere di metterci davanti a esempi di fermezza e abnegazione che curano dalla disillusione.
GMGhioni
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