Il quindici novembre del 2018 quattro scrittori provenienti da diversi Paesi europei muoiono in una lussuosa villa di Manarola, arroccata in cima a una scogliera a strapiombo sul mare. Avvelenamento, rivelerà l’autopsia: capace di rintracciare in tutti i cadaveri le tossine di quello stesso fungo con il quale furono assassinati, fra gli altri, un imperatore romano, un papa e la vedova di uno zar. A cucinare il risotto letale è stata la scrittrice sarda Antonina Pistuddi: una donna esile, alta appena centocinquanta centimetri e talmente miope da dover indossare occhiali spessi dalle lenti deformanti. (p. 9)
Il giallo è un genere inflazionato, ne abbiamo visto e continuiamo a vederne di tutti i gusti e in tutte declinazioni possibili. Ma il libro di Nicola Lecca merita un discorso a sé, perché non si limita alla narrazione di un omicidio plurimo misterioso avvenuto per avvelenamento da funghi - ecco spiegata l’immagine di copertina -, ma approfitta di questa veste “gialla” per lanciare strali contro il recente mercato editoriale, che, nella gran parte dei casi, non pubblica più libri di qualità, ma lancia libercoli scadenti, che assicurano un facile guadagno in termini economici, in virtù del fatto che questi recano il nome di un influencer o di qualcuno che sui social network ha un vasto seguito a cui consigliarne la lettura.
«Che il gusto delle persone cambia: e che la qualità, oggi, non è più necessariamente desiderabile. Questa sua nostalgia per come andavano le cose venti o trenta anni fa è anacronistica! È vero, glielo concedo: un tempo gli editori selezionavano con pazienza da cercatori d’oro i pochi libri che valeva la pena pubblicare tra i milioni di manoscritti».«Vendevano i libri che stampavano, Lady Coleman. Oggi, invece, stampano i libri che si vendono». (p. 30)
Dunque, come già detto, Scrittori al veleno non è il solito giallo, con un agente/investigatore che ricostruisce l’accaduto riappropriandosi del bandolo di una qualche matassa più o meno complicata. Lecca ha pensato a qualcosa di più piacevole, amabile e a volte comico, ma di quella comicità che però lascia spunti di riflessione e talvolta amarezza.
Immaginate un servizio della BBC nientemeno che a Cagliari, nel palazzo viceregio, e che a parlare ai telespettatori da casa vi sia una certa Lady Doris Coleman, donnona corpulenta e parecchio in là con gli anni, mostro sacro delle tv di tutto il Regno Unito per la sua lunga carriera nel corso della quale ha intervistato personalità del calibro di Madre Teresa, della divina Callas, di Fidel Castro! Lady Coleman si improvvisa poliziotta e cerca in tutti i modi, convinta della colpevolezza di Antonina Pistuddi, di estorcere alla donna la confessione del reato. È stata davvero la scrittrice sarda a uccidere quei quattro giovani cucinando per loro un risotto ai funghi risultato poi fatale? Il libro sviluppa e ricostruisce la storia attraverso una sorta di “duello” verbale tra la conduttrice e la scrittrice sarda: la prima cerca di guidare l’intervista-confessione, ma non vi riesce, poiché la seconda manda in frantumi ogni suo tentativo di portarla su un terreno scivoloso che possa comprometterla. Il libro ricostruisce la storia soprattutto tramite questa lunga quanto costosa (per l’emittente televisiva, s’intende) intervista alla scrittrice sarda Antonina Pistuddi, sospettata di essere l’autrice dell’omicidio di ben quattro scrittori nella residenza di lusso di Manarola, Villa Solitudine a picco sul mare, nel magnifico scenario del Levante ligure, quello delle Cinque Terre. Pistuddi è una scrittrice vecchio stampo, appartiene a una scuola in via d’estinzione, quella che mira alla qualità di scrittura e intrattiene rapporti col pubblico solo grazie ai suoi libri e non come i nuovi scrittori che ingannano e abbindolano sui social network schiere di followers senza spirito critico, né senso della bellezza. Il suo romanzo d’esordio, L’isola del rancore, scritto quando era appena ventenne, le era valso la vittoria in un colpo solo dei due più prestigiosi premi letterari italiani, il Premio Strega e il Premio Campiello. Antonina è una sarda molto tenace, tosta, senza peli sulla lingua, che domina la serata televisiva con il lungo discorso, che talvolta diventa monologo, sulla realtà che sta dietro ai quattro sedicenti scrittori, padri di incredibili bestsellers e lo fa intercalando spesso qualche termine sardo che fa infuriare la conduttrice.
«Vede, Lady Coleman, ogni parola produce una suggestione. Più esatte sono le parole che si scelgono, più nitide saranno le immagini evocate nella mente di chi legge. Soltanto le parole perfette riusciranno a ipnotizzare i lettori, incantandosi. Proprio di questo ho parlato a lungo con Julien Corbusier, il giorno in cui mi è venuta brutta voglia e lui è rimasto a farmi compagnia.»«Non capisco, dottoressa Pistuddi. Sta dicendo che le è venuta voglia di fare qualcosa di brutto a Julien Corbusier?»«Ma quando mai, Lady Coleman! Brutta voglia, mala gana: nausea. Voglia di vomitare!»«Ancora una volta la sua lingua sarda?»«Deve perdonarmi. In casa, quando ero bambina, mia madre e mio padre parlavano soltanto in sardo. L’italiano l’ho imparato a scuola. E comunque la mala gana è il mio tallone d’ Achille. La curo con i vasodilatatori periferici». (p. 117)
Alla luce di quanto la scrittrice sarda rivela riguardo ai quattro giovani, senza risparmiare commenti al vetriolo e particolari anche imbarazzanti della loro vita che aveva appreso in quei pochi giorni di convivenza in quella magnifica villa, ci rendiamo conto che essi non meritano di essere chiamati autentici scrittori: son figli della contemporaneità del guadagno facile, della generazione dei “mi piace”, del capitalismo che si è impossessato anche delle case editrici. Molti di questi sedicenti scrittori non sono i reali autori dei libri su cui compaiono i loro nomi. Alvaro Moret, famoso sui social network, ha un ghost writer che ha scritto per lui L’influencer perfetto, caso editoriale per numero di copie vendute anche all’estero, ma lui in realtà è incapace di scrivere perfino la O col bicchiere. Il bellissimo modello francese Julien Corbusier, autore di ridicole poesie raccolte nel libro Camera vista amare, cui Antonina Pistuddi fa la parodia a ogni piè sospinto, non ha proprio idea di cosa sia la vera poesia né della sua bellezza; inoltre si droga e si dà a umilianti orge. Anche con le due giovani donne “scrittrici” (tra doverose virgolette, puntualizzo), la sarda fa delle precisazioni non propriamente tenere e lusinghiere: una di loro era addirittura una escort prima diventare parlamentare in Inghilterra (come era successo alla pornostar italiana Cicciolina, per chi si ricorda). Nessuno pensa alla serietà di chi scrive, alla sua vera arte e al suo talento più autentifico, il pubblico non legge i veri scrittori. Possiamo allora confermare che il detto panem et circenses sia ancora valido, come sostiene con forza la nostra battagliera scrittrice:
«[…] il meccanismo è lo stesso: distrarre le persone da ciò che conta realmente offrendo in cambio ciò che vogliono, ciò che soddisfa le loro pulsioni più elementari e primitive.» (p. 66)
Si tratta di un'affermazione condivisibile, più che mai vera. In qualche modo, stando alla narrazione, questi giovani di oggi sono in parte vittime di loro stessi: «“Quanta fretta di vivere, quanta superficialità. Queste nuove generazioni di impazienti vogliono tutto e subito. Tutto e subito!”» (p. 135). La lunga intervista ad Antonina Pistuddi getta luce e fango su intere categorie “professionali”, quelle nate dai social network che ormai dettano legge sugli argomenti e sui trend, per cui basta avere un elevato numero di followers per essere equiparati ai professionisti, scavalcando le tappe necessarie della preparazione, dello studio e ignorando il talento autentico. La sagace sarda, vera conduttrice del suo interrogatorio televisivo, non è però l’acqua santa, in quanto nel racconto di ciò che è accaduto ai giovani influencer inserisce dettagli e indizi, generando curiosità su ciò che dice e lo fa astutamente, consapevole che il caso mediatico le farà guadagnare la vendita di tante copie del suo libro. Questo non fa che acuire i sospetti su di lei. E Antonina Pistuddi - si badi bene - vuole essere sospettata, ma non accusata: finché sarà sospettata la gente comprerà il suo unico libro pubblicato, che, altrimenti aveva già dimenticato.
Tutto il romanzo, volendo stare in tema, è ben cucinato: è saporito al punto giusto grazie alle arguzie e ai racconti pungenti di Antonina, possiede la leggerezza che viene dai passaggi comici e ironici. È fatto con i giusti ingredienti che rendono l’opera perfetta. Profuma inoltre della Liguria, di una località conosciuta molto bene da Nicola Lecca, che lì ha vissuto molti anni e presenta quelle scene che vivacizzano la narrazione, come i discorsi dei fuori onda con le corse dei truccatori e delle truccatrici che vanno a sistemare le acconciature e il trucco di Lady Coleman e di Antonina Pistuddi. Vi sono anche cambi di scena opportunamente preannunciati da segnaletica a inizio pagina: Villa Solitudine, palazzo viceregio a Cagliari, Parigi, la casa di Alberto Malagamba a Vernazza, sempre nelle Cinque Terre.
Scrittori al veleno attraverso la leggerezza e l’ironia parla di una realtà che dovrebbe farci riflettere: i veri scrittori e i librai sono una categoria in via di estinzione, soppiantati da impostori che spesso non sanno tenere la penna in mano e non hanno letto i libri che consigliano.
Marianna Inserra
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