Quanta solitudine! Viene da pensarlo subito, leggendo Le città e i giorni di Filippo D'Angelo, da pochi giorni presentato nell'ampia rosa dei titoli per lo Strega 2024. Il romanzo lavora specularmente su due piani spaziali e temporali alternati, mostrandoci ora le vicende relative a Maurizio, ora cosa sta accadendo a suo fratello Emanuele. Se in apparenza i due sembrano diversissimi, in realtà nel romanzo si mettono in scena situazioni che porranno entrambi davanti a scelte difficili, e non di rado scopriremo che entrambi cercheranno di defilarsi dalle responsabilità, proveranno ad annullarsi nel sesso, si allontaneranno cambiando città o addirittura Paese in attesa di una svolta che, forse, non potrà mai compiersi davvero, se non si realizzerà anzitutto dentro di loro.
E questo suona paradossale, se si leggono le primissime pagine del romanzo: vi incontriamo Maurizio che riflette sui suoi conoscenti e si rende conto che tutti gli sembrano «pedine in un gioco senza regole: nonostante i loro sforzi per orientarsi nel presente e dirigersi verso un futuro, avevano smarrito per strada la bussola e l'orologio» (p. 9). Benché non se ne accorga, perché in fondo ha una carriera avviata ed è sia marito sia genitore, lui per primo appartiene a questo gruppo senza meta definita. Infatti, bastano poche insistenze di suo padre, ricco architetto milanese, perché Maurizio decida di lasciare Parigi con la famiglia e di ricominciare a Milano, come responsabile di un grande progetto, ovvero la costruzione di CityDays. Ad aver immaginato questo luogo avveniristico, trionfo del capitalismo, è stato un archistar americano, l'ormai anziano Zieberman, e Maurizio viene incaricato di occuparsi del progetto insieme al figlio di lui, Ariel. E scoprire che Ariel è fuori controllo, più attaccato alla bottiglia che all'architettura, inaffidabile sia come collega sia nella sua vita famigliare non è che la base per un rapporto che va complicandosi. E il futuro luminoso che Maurizio si era prospettato si appanna via via che inizia a macchiarsi di realtà.
Intanto, facciamo la conoscenza di Emanuele, che ha scelto di allontanarsi dalla famiglia per rendersi utile in luoghi lontani dal benessere occidentale. In particolare, dopo essere stato in Congo e in Costa d'Avorio, «va in Centrafrica perché è un posto dove non vuole andare nessuno» (p. 23). Povertà, sporcizia, scarsità di cibo e temperature altissime sono solo alcune delle difficoltà a cui Emanuele negli anni ha imparato ad adattarsi; ha provato anche a scriverne, ma per ora preferisce cooperare sul campo in missioni umanitarie. Tuttavia, neanche per lui la realtà è come si prospettava: agire per il meglio talvolta alimenterà forme di corruzione, sforzarsi per raccogliere testimonianze di abusi su minori da parte dei soldati francesi può nascondere interessi secondari, e i rischi di trasformarsi in una pedina del sistema si susseguono. Tra questi, anche il semplice atto di amare può generare un senso di colpa latente ma costante.
Per quante persone incontrino, per quanti rapporti provino a stringere, Maurizio ed Emanuele sono uomini profondamente soli; tra di loro non si sentono praticamente mai, perché hanno preso strade diverse, e questo pare giustificare la rarefazione dei rapporti famigliari. Eppure, i due fratelli avrebbero così tanto da dirsi, se solo si confessassero vicendevolmente quanto partire abbia dato loro l'illusione di poter ricominciare! O quanto un altro corpo in cui affondare li abbia illusi di trovare pace in una sessualità che talvolta si fa prevaricante ed egoistica. Il risultato, tuttavia, è lo stesso: le loro strade, per alcuni tratti dritte e ben tracciate, si fanno poi sghembe, e viene da chiedersi durante la lettura se Filippo D'Angelo abbia pensato a una soluzione per il zigzagare qualche volta esausto dei suoi personaggi, o se resti a guardarli come dal vetro di un acquario, impotente.
Inutile precisare che, nel delineare la nostra società, l'autore coglie con schiettezza la desolante ricerca di autoaffermazione che ognuno dei personaggi, persino la più defilata moglie di Maurizio, vuole mettere in campo. Anche a dispetto del benessere altrui, il cui pensiero viene spesso allontanato con una scrollata di spalle, prima di un tradimento, di un addio, di un prendersi e lasciarsi piuttosto disinibito. Il denaro entra ed esce dagli interessi dei personaggi, talvolta portandoli a scelte eticamente dubbie. E i sogni, come la riqualifica dei navigli a Milano a cui vorrebbe lavorare Maurizio nel tempo libero, in un progetto no-profit, minacciano di infrangersi contro le richieste del presente. Come occorre mediare tra realtà e ambizioni, così per provare almeno ad allacciare una comunicazione con gli altri spesso è richiesto di abbandonare l'italiano per parlare in inglese o in francese, lingue che si alternano nei dialoghi con personaggi stranieri. E dunque, le battute sono frasi brevi ed essenziali, le discussioni si fanno di servizio e prive di profondità, quasi a suggerire che tutto ciò che si può fare, in questa fretta di emergere a livello globale, è solo tenersi a galla, come si può.
GMGhioni
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