Storia dei nostri «Antenati»: da Lucy alla mummia di Similaun insieme a Giorgio Manzi



Antenati. Lucy e altri racconti dal tempo profondo
di Giorgio Manzi
Edizioni Il Mulino, gennaio 2024

pp. 224
€ 16,00 (cartaceo)
€ 11,43 (ebook) 

Vedi il libro su Amazon

Parliamo di evoluzione umana e della scienza che se ne occupa: la paleoantropologia. Lo faremo attraverso la sua (giovane) storia. (p. 17)

Quello che Giorgio Manzi propone al lettore è un viaggio, o meglio una visita guidata nel tempo e nello spazio per fornirci le indicazioni di massima per comprendere le nostre origini in quanto esseri umani.

La visita guidata – che assume inevitabilmente e, aggiungeremmo, fortunatamente, toni piuttosto divulgativi – inizia nel secondo Ottocento, con un racconto su Charles Darwin e sul suo incontro più o meno fortuito con Alfred Russell Wallace. I due, ci racconta Manzi in poche pagine, sono arrivati in maniera indipendente alla teoria dell’evoluzione delle specie attraverso la selezione naturale e alla fine la pubblicazione della nuova teoria viene fatta a nome di entrambi, sebbene oggi si tenda a conoscere solo il nome di Darwin.

Da qui, da questa premessa obbligatoria che pone le basi per una ricerca scientifica rigorosa, inizia in poco tempo la storia della paleoantropologia. Darwin, infatti, nel suo libro L’origine delle specie dedica ben poche parole sull’origine dell’uomo: sa bene che i tempi non sono ancora maturi e che già di per sé la teoria dell’evoluzione è un enorme passo avanti. Ma la scienza non si ferma, dice Manzi, e in breve cominciano a comparire scheletri e fossili non solo di dinosauri e specie estinte, ma anche di quelli che prendono subito il nome di ominidi.

Nei vari capitoli, Manzi racconta la scoperta di vari esemplari che nel tempo hanno contribuito a creare quel cespuglio genealogico che costituisce il nostro passato. Si parla della famosissima Lucy, esemplare di Australopitecus afarensis risalente a oltre tre milioni di anni fa scoperto in Africa. Si parla del ragazzo del lago Turkana, sempre in Africa, appartenente all’Homo ergaster, quindi, per quanto in una forma ancestrale, già facente parte della nostra specie. Si parla ovviamente dei Neanderthalensis e dei Cro magnon, provando a ipotizzare cosa abbia portato alla loro scomparsa. E si parla – fatto meno noto – anche di una vera e propria truffa paleoantropologica portata avanti da due sedicenti esperti e che è stata smascherata decenni dopo grazie alle nuove tecnologie.

Il saggio di Giorgio Manzi coniuga bene le specifiche tecniche e la narrazione divulgativa. Delle prime sono apprezzabili i riferimenti alle tecniche utilizzate per stabilire la datazione dei reperti, così come gli studi accademici che sono seguiti alle scoperte e che hanno alimentato – e continuano ad alimentare – il dibattito intorno ai fossili. Della seconda invece fanno parte i racconti intorno alle scoperte, così come il “gossip” universitario che le ha caratterizzate.

Un poco carente è invece l’apparato grafico. I capitoli sono attraversati da disegni, anche ben fatti, di alcuni esemplari di homo che, tuttavia, non sembrano corrispondere all’argomento trattato nel capitolo stesso. Capita ad esempio che accanto alla descrizione dello scheletro di un Cro magnon vi sia l'illustrazione di una scimmia antropomorfa, cosa che può causare qualche perplessità. Molto più utile sarebbe stato, ai fini di una maggiore comprensione, avere delle ricostruzioni attendibili degli esemplari rivenuti; ricostruzioni che, oltretutto, possono essere facilmente rinvenute con una ricerca sul web.

Poco utili – se non del tutto irrilevanti – sono invece le due lettere fittizie usate a mo’ di introduzione ed epilogo e che rappresentano, secondo le intenzioni dell’autore, una «ricostruzione archeologica a posteriori del presente, come da parte di chi venisse dopo di noi e si trovasse a maneggiare frammenti sparsi con cui provare a ricucire le vicende attuali» (p. 8). Ma le poche pagine dedicate e la relativa estraneità rispetto ai racconti dei vari capitoli rendono queste due parti, appunto, irrilevanti.

Nel complesso, pur considerati questi piccoli difetti, il libro di Manzi è un bellissimo viaggio nel tempo, nonché un ottimo punto di partenza per esplorare l’argomento più a fondo.

David Valentini