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Toni surreali per un tema drammaticamente reale: Tom Hofland, "Il cannibale"

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Il cannibale (De menseneter, 2022)
di Tom Hofland
Carbonio editore, 2024

Traduzione di Laura Pignatti

pp. 201
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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Ci sono molti modi per raccontare splendori e miserie del mondo, antico o moderno che sia, e riuscire ad agganciare un tema spinoso quale la precarietà sul lavoro a una storia narrata con toni surreali non è proprio impresa facile.

Toni surreali, sì, perché questo romanzo di Tom Hofland sorprende e si rivela interessante proprio grazie a questa commistione fra reale e immaginario, elementi che compenetrandosi creano sconcerto e dipendenza.

La storia: un’azienda farmaceutica olandese, oggetto di acquisizione da parte di una multinazionale straniera, deve “sganciare” il reparto Vendite e Qualità, cui il compratore non è interessato. Lute, il responsabile di questa sezione, viene quindi incaricato di disfarsi dei dipendenti, possibilmente ricollocandoli o, meglio ancora, convincendoli a dimettersi in modo da evitare problemi di carattere sindacale, non potendo appellarsi al licenziamento per giusta causa.

Un compito gravoso, tremendo e ingrato, che manda Lute in crisi nonostante Klara, la direttrice dell’azienda, gli assicuri che il suo nome non sarà nell’elenco degli operatori in esubero.

In soccorso dell’uomo arriva uno strano tizio vestito di una giacca a frange da cowboy a bordo di un enorme pickup con il cassone coperto, incontrato (all’apparenza) per caso in un bar. Reiner, questo il nome del tizio, lavora per una società di scouting professionale, e a Lute non pare vero di poter delegare a uno specialista il compito di trovare una risistemazione, qualsiasi essa sia, ai colleghi di cui deve disfarsi. I due concordano un incontro con il signor Lombard, titolare della società, che si occuperà del problema.

Da qui prende il via una vicenda che vede protagonisti, oltre a quelli già illustrati, una serie di personaggi inquietanti e grotteschi che si muoveranno sullo sfondo di una trama straniante e tesissima, che mostrerà un antagonismo fra razionalità e sogno, fra bene e male, fra ciò che è accettabile e ciò che non lo è.

Duecento pagine circa che si leggono in una full immersion che è difficile interrompere, un narrato che passa dai toni del noir a quelli del romanzo contemporaneo e addirittura a quelli del fantasy o dell’horror. Pagina dopo pagina ci si immerge nell’inaspettato, nell’inconoscibile; a tratti tornano alla mente alcune “scene dal sottosuolo” di Twin Peaks o di Stranger Things, e i personaggi più oscuri come Reiner e Lombard sembrano fare l’occhiolino al meraviglioso Ole Munch dell’ultima stagione di Fargo.

Ma ciò che rende particolarmente interessante questo libro è, come dicevo all’inizio, la capacità di trattare con toni insoliti e allegorici il tema del lavoro, soprattutto nei suoi aspetti peggiori. L’ambiente lavorativo asettico e rassicurante (un'importante azienda farmaceutica, scelta non casuale) cozza con la lussureggiante e sanguigna foresta con cui confina, metafora di due visioni della vita parallele che non riescono a incontrarsi. Le persone sono considerate pedine senza valore di cui liberarsi una volta esaurita l’utilità, nulla più di un elenco di nomi paradossalmente anonimo, rifiutando la consapevolezza che quei nomi rappresentano una vita, degli affetti, una storia personale oltre che un valore professionale.

Personale/professionale: ecco, questa opposizione (che poi opposizione non è) viene ripresa più volte dai personaggi negativi della storia, che giustificano il proprio agire chiarendo che si tratta di una questione professionale che in nessun caso va presa in termini personali: un vero e proprio mantra, usato come uno straccio per ripulirsi la coscienza, un atteggiamento disumanizzante che, come vedremo, arriva da lontano e si sviluppa ramificandosi in modo capillare: nessun attore di questa tragedia rimarrà immune dall’infezione e a nulla varrà il tentativo estremo di due donne che si ribellano agli eventi.

Un tema drammaticamente attuale, trattato in modo inconsueto ma estremamente efficace; Il cannibale è un faro puntato su tutto ciò che striscia dietro i termini edulcorati cui la cronaca ci ha assuefatti: dietro ogni acquisizione, ogni ricollocamento, ogni ristrutturazione si celano tragedie personali, soprusi, iniquità, profitto e la completa assenza di ogni principio etico, sia da parte di chi sta al vertice delle organizzazioni sia a causa dell’ignavia di chi potrebbe opporsi e proteggere dai soprusi le persone assegnategli (del Lute di turno, tanto per rimanere nel libro). Ma in definitiva l’ingiustizia peggiore, il crimine assoluto sono la distruzione, addirittura la negazione di quell’identità che, a ragione o a torto, il lavoro (o la sua mancanza) cuce addosso a ognuno di noi.

Stefano Crivelli