La laicità non è un’ideologia, ma una pluralità di idee, tenute insieme da una omogeneità di fondo. (p. 17)
Augusto Barbera, giudice della Corte Costituzionale e professore emerito di Diritto costituzionale nell’Università di Bologna, affronta in questo saggio un tema interessante e attuale su cui riflettere oggi più di ieri: la laicità. Non è una ideologia, sottolinea il giudice, ma deve essere intesa soprattutto come percorso imprescindibile per la pacifica convivenza in uno Stato e il dialogo con altri Stati, anche quelli che seguono una dottrina o una fede contrapposte alla propria. È un termine complesso che reca in sé una pluralità di modi di vedere la realtà. Figlia del costituzionalismo liberaldemocratico dell’Occidente, inteso in tutto il saggio non come un luogo geografico, ma come topos culturale (p.13), la laicità può essere considerata anche come metodo:
La ricerca di un confronto, cioè, fra persone portatrici, ciascuna, di «verità parziali» (o, se si preferisce, di visioni parziali della verità), aperte alle ragioni dell’altro. (p. 13)
La laicità, per essere tale, ha bisogno che il diritto, cioè il sistema di leggi che regolano i rapporti tra i cittadini e tra i cittadini e lo Stato, sia autonomo da dottrine e credo religiosi. Schematizzando al massimo, a scopo di chiarezza e snellezza, Barbera riassume i progressivi volti della laicità nel tempo in Occidente: il primo percorso è stato quello dell’autonomia dei precetti giuridici rispetto quelli religiosi, poi si è passati a escludere qualsiasi forma di prevaricazione del potere ecclesiastico su quello civile così come su quest’ultimo sulle confessioni religiose, fino al riconoscimento del pluralismo religioso e il rifiuto dello Stato etico e di qualsiasi ideologia di Stato.
Si è trattato di un percorso lungo e tortuoso che ha portato alle fondamenta del costituzionalismo liberaldemocratico:
Un ordinamento non può considerarsi laico se non garantisce l’autonomia del diritto dalla sfera religiosa; se non tiene distinti il potere civile e quello religioso; se non garantisce la libertà religiosa; se non rifiuta verità e ideologie di Stato; se non conosce la distinzione fra ciò che è «peccato» e ciò che è «illecito giuridico». I regimi che pretendono di legittimarli in nome di valori assoluti (un dio, la razza, la classe, la rivoluzione, ma anche l’individuo e il mercato) sono ineluttabilmente oppressivi perché tendono a comprimere tutti gli aspetti della sfera individuale fino all’abbigliamento (il velo, la barba o altro), alle manifestazioni artistiche, alla stessa affettività. (p. 17)
Ed è sulla base di queste premesse che il professor Barbera costruisce il suo lavoro partendo dalle origini del pensiero filosofico greco, passando attraverso i principali eventi storici (il concilio di Nicea, la lotta per le investiture tra Stato e Chiesa, l’origine della monarchia costituzionale in Inghilterra, i concordati in Italia e nella Spagna franchista, eccetera) per mostrare l’eteromorfismo, termine preso in prestito dalle scienze naturali, del concetto stesso di laicità. Non si può rimanere fermi su concetti aprioristici, sostiene Barbera, ma, nello studio dei processi che hanno portato il sistema giuridico di uno Stato all’autonomia da ogni tipo di influenza, religiosa o ideologica che sia, bisogna assolutamente tenere conto dei processi storici che hanno portato agli attuali ordinamenti costituzionali.
L’autonomia del diritto, la sua laicizzazione, è frutto del pensiero greco e della cultura giuridica romana, su cui si è innestato il contributo del cristianesimo. (p. 22)
Ciò è innegabile. Se pensiamo agli Stati teocratici islamici, dove il capo dello Stato è anche il capo religioso, ci rendiamo conto di quanto il cristianesimo, a modo suo, abbia dato una iniziale seppur notevole spinta alla laicizzazione della società. Gesù nel Discorso della Montagna «esalta come principio fondante di tutte le norme l’amore verso Dio e verso il prossimo, svuota il pedante complesso di regole minute, di carattere legalistico, di cui è intriso il Pentateuco» (nucleo fondamentale della Bibbia per gli ebrei): è un grande passo in avanti della separazione tra religione e leggi di uno Stato. Ancora: sempre Gesù, ricorda il professor Barbera, nel celebre passo del Vangelo di Matteo, in cui afferma che bisogna «Dare a Cesare quel che è di Cesare» traccia una frattura ancora più netta tra legge terrena e legge celeste, «Non sempre la violazione delle legge terrena sarà peccato» (p.26). È una considerazione illuminante che ci fa rendere conto che le principali differenze che intercorrono tra le tre più importanti religioni sono da ricercare nel Libro fondativo stesso.
Come sappiamo, i vangeli costituiscono il Nuovo Testamento che non viene incluso nella Bibbia ebraica, ma solo in quella su cui si basano i diversi credo scaturiti dal cristianesimo. Detto questo, il lettore potrebbe porsi questa domanda, lecita, «ma lo Stato di Israele attualmente è uno Stato laico?». Barbera ci illustra con chiarezza e competenza che nel caso di Israele il percorso verso la laicità non è stato completo, poiché la sua autonomia dalla sfera religiosa è ancora incerta. Nonostante la Dichiarazione di indipendenza, contestuale alla fondazione dello Stato di Israele nel 1948, garantisca la parità dei diritti di tutti i residenti a prescindere dalla religione professata, in Israele il diritto ebraico è profondamente ancora legato, poiché ne costituisce patrimonio identitario, alla religione ebraica stessa. Pur potendo per molti aspetti avvicinare Israele alla cultura occidentale, la sua legislazione deve fare i conti con le componenti tradizionaliste e fondamentaliste basate sull’osservanza della Torah e oggi più che mai, con Benjamin Netanyahu al governo, appoggiato dagli estremisti ultraortodossi - tra cui frange sioniste - lo Stato di Israele perde sempre più ogni parvenza di laicità. In Israele l’appartenenza religiosa riconosce diversi statuti personali e nonostante la varietà di religioni e il moltiplicarsi di scuole confessionali, solo una minoranza di persone godono di pieni diritti civili e politici.
Se questo sistema porta a escludere decisamente che Israele sia uno Stato confessionale, intollerante verso le altre religioni, non consente di ritenere che esso si possa considerare un ordinamento pienamente improntato ai valori della laicità. (p. 34)
Nella seconda parte del lavoro il professore, dopo aver ricordato le tre rivoluzioni del mondo occidentale che hanno affermato il costituzionalismo, la Gloriosa rivoluzione inglese e la Bill of Rights (1689), la rivoluzione francese e quella americana, Barbera mostra, attraverso le attuali realtà di alcuni Paesi del blocco occidentale, quanto il concetto di laicità, proprio in virtù del suo eteromorfismo si adatti a situazioni storico-politiche diverse. Vi sono Stati come la Germania a laicità “aperta”, oppure come in Francia a laicità “protetta”, fino ad arrivare all’Italia che il professore definisce “a regime concordatario”. Al nostro Belpaese Barbera dedica un intero capitolo e stringe la lente d’ingrandimento sul suo tortuoso cammino verso la laicità, cominciando dal Sillabo di papa Pio IX e la sua condanna del separatismo tra potere religioso e potere civile fino ad arrivare alla questione dell’esposizione di simboli religiosi negli spazi pubblici.
L’ultimo capitolo è veramente un serbatoio di spunti di riflessione su quelle che sono le più difficili controversie del nostro tempo con cui anche il diritto costituzionale deve fare i conti e su cui non si è ancora pronunciato definitivamente:
Anche chi è portatore di un pensiero laico non può non porsi il problema di sottoporre il diritto a giudizio critico in nome di valori che lo trascendono. Non pochi sono i piani in cui si colloca un intreccio fra diritto ed etica. Stanno a ricordarcelo sia la riscoperta nel secondo dopoguerra del diritto naturale, sia l’esplodere negli Novanta in poi, delle questioni c.d. eticamente sensibili. (p.154)
Diritto naturale e società sempre più multiculturali e multiconfessionali fanno emergere temi che mettono sotto pressione le conquiste laiche: l’assimilazionismo alla francese, il “diritto alla diversità”, il diritto all’autodeterminazione sono legittimi? «È da riconoscere il diritto di disporre della propria vita e quindi di porre fine a essa? Fino a che punto può essere riconosciuto un diritto a disporre liberamente del proprio corpo? La prostituzione va tollerata o è esercizio di un diritto di libertà? Va riconosciuto a donne adulte il diritto alla pratica tribale della mutilazione genitale? Esiste un diritto a assumere droghe, leggere o pesanti che siano?» (p. 166). Queste e tante altre domande vengono poste alle diverse corti costituzionali e non è possibile dare risposte sicure e univoche che possano trascendere la necessità di trovare e salvare ciò che è «bene comune» attraverso il dialogo continuo tra posizioni etiche e culturali diverse e uno scambio continuo di «parziali comprensioni della verità». (p. 178)
Il lavoro del professor Barbera è scritto in maniera accessibile ed è straordinariamente arricchente, poiché permette al lettore curioso e anche allo studioso di allargare la visione della storia dell’Occidente coinvolgendo il costituzionalismo moderno, carta di identità di gran parte degli Stati europei e non solo.
Marianna Inserra
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