Il limite della parola di fronte alla cosa in sé: “Disfacimento” di Linnea Sterte

 


Disfacimento
di Linnea Sterte
Add Editore, 2022

Traduzione di Claudia Durastanti

pp. 176 

€ 20 (cartaceo)

Un prodotto particolare, Disfacimento di Linnea Sterte; difficile da definire, soprattutto. Non c’è un andamento romanzesco, dunque non è una graphic novel – al massimo, sono tre romanzi brevi intrecciati in uno. L’unità della vignetta, tipica del fumetto, viene meno di fronte a tavole grandi e ariose, regolari sulla pagina, che interagiscono l’una con l’altra per creare tavolozze di forme e colori; e la parola è così rarefatta che il libro sembra quasi un silent book. Ecco, è proprio nell’assenza della parola che forse troviamo la soluzione a questo enigma di nominazione, che si rivela come, probabilmente, mal posto: Disfacimento è un libro che non possiamo "chiamare", perché il suo scopo è proprio dimostrarci che la parola ha i suoi limiti. Specie se messa di fronte all’organicità delle cose, della biologia, dei corpi, che dentro la parola stanno allo stesso tempo larghi e stretti.

Particolarmente importante, quindi, è che a far fronte a questa rarefazione sia stata chiamata proprio una delle traduttrici più importanti e talentose del panorama italiano, Claudia Durastanti. Sarebbe sbagliato pensare che l'assenza della parola sia un'ammissione della loro scarsa importanza. Durastanti, esperta della parola, l'ha capito subito; e infatti nella sua postfazione dice che “le tavole di Disfacimento contengono poche parole ma appartengono a una lingua segreta, falsamente semplice, geneticamente aliena e inattingibile”. Poche parole ma significative, dunque, corpose come il mondo immaginato da Sterte. Un mondo alieno ma fatto di una flora e fauna riconoscibile, che però si estraniano tramite il loro divenire; piante e animali si mescolano con i corpi umani in modi inediti, e i paesaggi germinano come semi, come embrioni.

Ma Disfacimento non è una semplice ode alla vita, non ci descrive un processo di germinazione fine a se stesso; è un libro pieno di vita, sì, ma che colpisce proprio grazie alla sua consapevole combinazione con tutto ciò che alla vita si oppone – almeno secondo il nostro punto di vista umano, che si rivela come estremamente limitato. Perché la vita non sarebbe niente se non tenesse conto della sua fine, del suo opposto: la morte, il processo biologico della marcescenza, del disfarsi, appunto, diventano il contrappeso ideale di un vero e proprio inno al "fare", al cambiamento continuo, di cui il disfare non è negazione ma ideale compimento, in un processo circolare e mai lineare. In natura, la morte non è mai tragica, e il disfacimento biologico è il terreno fertile della ciclicità della rinascita; sono gli umani, con le loro armi, il loro fuoco inorganico e metallico, che invece distruggono senza mai creare, interrompendo la ciclicità che è la legge non scritta del mondo. Una riflessione molto miyazakiana, che suona estremamente attuale in un momento come il nostro, in cui il legame filosofico tra la distruzione ambientale e il dilagare bellico non può più essere ignorato.

Marta Olivi