Vita privata e pubblica delle "Cortecce": in viaggio con Cédric Pollet alla scoperta della dimensione più intima degli alberi


Cortecce.
Viaggio nell’intimità degli alberi del mondo
di Cédric Pollet
L’ippocampo, 2024

Traduzione di Ombretta Romei

pp. 192
€ 25,00 (cartaceo)

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L’associazione dell’immagine di una corteccia al concetto di intimità sembra avere tutte le caratteristiche del paradosso perfetto: in che modo potrebbe mai alludere al “privato” qualcosa di così spontaneamente “pubblico”? Se però si è Cédric Pollet, fotografo naturalista francese con l’animo innestato di estetica e poesia, il rimando a mondi interiori risulterà del tutto ovvio, al netto di esteriorità così esibite: ogni corteccia, del resto, è nuda, e se non lo è ha senz’altro in programma di spogliarsi prima o poi davanti ai nostri sfacciatissimi o pudicissimi occhi. Bando a ogni malizia: perché è la sua natura che glielo impone, e a noi, voyeurs della prima e dell’ultima ora, non resta che goderci lo spettacolo. Con una consapevolezza: che quanto di più spesso, duro, ruvido, liscio, corrugato e colorato stiamo ammirando è il racconto – per immagini – di una vita che si perpetua e si ripete secondo cicli antichissimi che sono il risultato ultimo di processi di adattamento, miglioramento, evoluzione. Sono, insomma, risposte visibili a domande invisibili, ennesima conferma di come gli alberi ci dicano molto di sé a partire dai loro tronchi. Ci sarà pure un motivo, d’altra parte, se sono proprio questi ultimi – e non i rami, le foglie e gli eventuali fiori e frutti – a essere così anatomicamente disponibili alla confidenza di un abbraccio.

Appena pubblicato da L’ippocampo a due anni dall’edizione francese – ma già al 2002 risaliva il primissimo esordio nelle librerie d’oltralpe, seguito di lì a poco dal debutto in traduzione italiana –, Cortecce è un libro che rivela e ribadisce quale sia la caratteristica distintiva del suo autore: non tanto la capacità di vedere, quanto quella di vedere oltre. Dunque non il risultato autoriale di un’indagine dello sguardo (anche perché Pollet è un fotografo, e questo è il minimo che da lui ci si possa aspettare), bensì un invito ad andare al di là delle figure e ad avere nei loro confronti lo stesso approccio che veniva richiesto nel caso di Giardini d’inverno (2017): se lì si trattava di osservare da una nuova prospettiva “una stagione reinventata”, e dunque di percepire energia e vitalità laddove tutto, come un dogma, ci era sempre stato consegnato morto e sepolto (dalla neve e dal fango, soprattutto), anche qui si viene esortati a immaginare, interpretare, divagare. Perché sì, sulla pagina ci sono inequivocabilmente i dettagli di scorze, sugheri, gocce di resina e punte di spine, ma nulla di impedisce di leggerci timidezze, mancanze, lacrime e dolori. Un catalogo per spiriti malinconici, dunque? Forse, anche, ma non esclusivamente. E non solo perché il nostro Cédric, per comporlo, ha vissuto una delle esperienze più entusiasmanti della sua intera esistenza – e cioè il giro del mondo –, ma perché da quelle stesse emozioni e conseguenti catarsi non potranno che derivare gli esiti più virtuosi di ogni fatica e sofferenza: pensieri d’estetica e, in fin dei conti, d’amore.

Introdotto da un breve preambolo in cui l’autore racconta la genesi del progetto e il modo in cui quella che sembrava una mera passione ha finito col diventare una professione, il volume è suddiviso in cinque parti, tante quanti sono i continenti e le tappe dell’itinerario seguito dal fotografo: Europa, Americhe, Oceania, Asia, Africa. Per ogni sezione Pollet ha selezionato gli alberi con le cortecce più rappresentative o più particolari, fornendo di ciascuno la classificazione tassonomica, la denominazione scientifica e comune (a cui rimanda anche un comodissimo indice di consultazione in fondo al volume), un breve identikit (comprensivo di leggende, aneddoti, vicissitudini, usi e consuetudini relative ai singoli casi) e una serie di immagini che testimoniano momenti dell’evoluzione o varianti della specie con indicazione topografica; non mancano nemmeno alcune doppie pagine di approfondimento dedicate alle famiglie più presenti e popolari del nostro pianeta. È la colonna visiva, però, che si impone quasi di necessità su quella testuale, con una netta prevalenza di pagine intere in cui trovano spazio espansioni e ingrandimenti, piani ravvicinati e dettagli esasperati, dando vita a rettangoli che invitano automaticamente a fare paragoni artistici: dalla pittura “a campi di colore” che sconfina, in potenza, oltre i limiti fisici e geometrici dell’opera, alle versioni più materiche della ricerca, fatte a propria volta di astrazioni e cromatismi, rientranze e fuoriuscite dal quadro. Una conferma, per chi già ne condivide la convinzione, di come la natura preceda – e di ben meglio – la cultura, e di come non ci sia sfumatura, stacco, tono, gradazione, chiaroscuro, disegno e motivo che non sia già perfettamente in essere nell’indipendenza e nell’indifferenza dell’apporto antropico.

Tutto questo, però, Cédric Pollet non lo dice: le ragioni della sua avventura, così come questa viene da lui riepilogata in apertura, sono prive di ogni giudizio e polemica, e del resto basta intravederne la sagoma in alcune foto – piccolissima al cospetto dei grandissimi “patriarchi verdi” che sono stati e ancora sono il motivo del suo peregrinare appassionato – per comprendere l’assurdità di ogni eventuale competizione da parte del più ambizioso degli eroi e degli imitatori. 

Se è vero che un messaggio, uno scopo, un intento didattico ci sono, questi non vanno oltre il desiderio di una sempre maggiore sensibilizzazione rispetto al tema cardine della salvaguardia dell’ambiente, e dunque della conoscenza e delle tutela di ecosistemi e habitat. Cortecce, libro radicato nel rispetto e nella venerazione per la natura, vive così di un barocchismo paradossale, in cui le reazioni di incanto e meraviglia da parte del fruitore non derivano dall’estrema raffinatezza dell’artefice (che anzi ne condivide alla pari stupore e ammirazione), ma sono già nell’essenza e nell’apparenza stessa di cose che sono forme di vita: quelle che da millenni creano e strutturano il mondo, e senza le quali non esisteremmo nemmeno.

Cecilia Mariani

Tutte le immagini presenti nell'articolo sono pubblicate per gentile concessione della casa editrice L'ippocampo.