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«È una donna, no?»: di solidarietà femminile, suffragiste e storie dal passato che dialogano con la nostra contemporaneità ne "Il pennino", di Elin Wägner

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Il Pennino
di Elin Wägner
Harper Collins, febbraio 2024

Traduzione di Valeria Gorla

pp. 272
€ 15 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)

«Perché fai tutto questo per me?» […]
«Sei una donna». (p. 230)
È intorno a questo nucleo che ruota Il pennino, un romanzo del 1908 (ma che per troppi versi potrebbe essere scritto oggi) di Elin Wägner, autrice svedese molto nota in patria e appena tradotto in italiano da Valeria Gorla per Harper Collins. Preceduto da Ragazze di città (Harper Collins, 2022), Il pennino è un testo ricco, stratificato, fotografia di un’epoca – la Stoccolma degli anni Venti – e della condizione femminile all’inizio del Novecento, dai numerosi spunti autobiografici pur mantenendo una certa autorevolezza letteraria. Giornalista, suffragista, attivista per la pace e l’ambiente in un’epoca in cui tali argomenti erano tutt’altro che mainstream, Elin Wägner ha vissuto molte vite, animando il dibattito letterario svedese e prima di tutto quello politico e sociale, con un impegno costante che non è mai venuto meno. Sarà la seconda donna a entrare a far parte dell’Accademia svedese, una delle prime giornaliste nel suo paese, attivista impegnata fino all’ultimo. Una prima parte della propria vita passata in città, a Stoccolma, si ritira poi in campagna e qui fonda una scuola che organizza corsi di formazione per donne su argomenti che mirano a fornire consapevolezza sociale, facendo di loro cittadine attente, istruite, consapevoli appunto. Ed è stata, soprattutto, una femminista, spendendo molto impegno nella lotta al diritto di voto, conquistato in Svezia nel 1921. Il Pennino, questo romanzo finalmente tradotto in italiano, risuona di moltissimi echi personali, tra impegno politico e scelte personali, ma sarebbe un peccato leggerlo come specchio dell’esperienza dell’autrice, perché è un testo che pur con qualche limite strutturale – e, ahimè, un poco di trascuratezza editoriale – ha una valenza letteraria che va oltre le contaminazioni tra fiction e memoir.

L’edizione italiana, la primissima, si inserisce nel progetto di riscoperta dell’autrice da parte di Harper Collins ed è introdotta, come già per Ragazze di città, da un’interessante prefazione a cura della prof.ssa Camilla Storskog, docente di Lingue e letterature nordiche presso l’Università degli Studi di Milano. Sapete bene quanto personalmente trovi importante un apparato critico-bibliografico adeguato, soprattutto per certi testi, e l’opera di Wägner merita appunto un’introduzione adeguata, così che il lettore anche non esperto possa collocarla nel giusto contesto storico e culturale, cogliendone sfumature, intenzioni e il dialogo con altri testi e autori. Da parte mia è stato interessante scoprire che Il Pennino è considerato il primo esempio di New Woman Fiction svedese, avendo dedicato a tale filone letterario – nello specifico al suo sviluppo nel corso della fin de siècle inglese – numerosi studi e ricerche.

Barbro Magnus, aka Pennino, è una Nuova Donna, una donna libera, istruita, autonoma e indipendente, che si mantiene facendo la giornalista per un quotidiano progressista, partecipa al movimento suffragista e si muove liberamente per le strade della città. È in movimento che come lettori facciamo la sua conoscenza, mentre rincasa a tarda ora al pensionato nel quale alloggia, di ritorno dal lavoro e da qualche avventura a caccia di storie da raccontare. È giovane, saldamente ancorata alle proprie convinzioni, determinata a farsi strada in un mondo che sta cambiando. Ma ciò che rende il personaggio di Pennino – e il romanzo tutto – ancora particolarmente interessante è il dialogo con la contemporaneità: quello di Wägner non è solo il ritratto fedele della condizione femminile di inizio Novecento e della lotta delle suffragiste per il diritto di voto, ma un romanzo che tocca tematiche e spunti che riescono a trascendere il tempo e lo spazio. La lotta per il diritto al voto si intreccia quindi a una più ampia riflessione sulla questione femminile – al centro, questa, di tutta la New Woman Fiction – e, tra le altre cose, si sofferma su un nodo che non smette di essere centrale: la realizzazione professionale e il ruolo di compagna, moglie, madre. Nella figura di Pennino ma forse ancora di più nelle donne che la circondano, vive questa complessità di aspirazioni, difficoltà e frustrazioni che non è tanto diversa da ciò con cui ancora ci confrontiamo, nel desiderio di conciliare ambizioni e affetti e non essere giudicate per questo.

Pennino è giovane, ha solide convinzioni, dicevamo, e desidera vivere i propri sentimenti in modo libero e autentico, contemporaneamente realizzandosi professionalmente. Alla fine della storia, di cui chiaramente non voglio svelarvi più del dovuto, non sapremo con certezza quale sarà il futuro della ragazza, quanto profondi i compromessi che dovrà accettare; le auguriamo che possa avere tutto, una famiglia, la fermezza delle proprie convinzioni, una carriera, ma possiamo anche facilmente intuire quanto la strada sarà impervia, negli anni Venti del secolo scorso, nella realtà contemporanea dove ogni cosa sulla carta sembra possibile ma di fatto ci si scontra ancora con un certo retaggio culturale e il giudizio sulle nostre scelte.

E che succede, poi, se ti innamori? Se siamo abbastanza fortunate incontreremo un uomo che non ci ostacoli mai, ma supporti le nostre scelte, qualsiasi esse siano; Pennino decide di educare il giovane uomo che si innamora di lei, farlo diventare il compagno adeguato a una Donna Colta Autosufficiente, come si definiscono e sono definite le New Woman svedesi, anche se non sarà facile e scontato. E sceglie di vivere i suoi sentimenti con la maggior libertà possibile. Il romanzo di Wägner, tuttavia, ci ricorda quanto ideale e realtà siano spesso in contrasto e la via verso l’emancipazione lastricata di pericoli, difficoltà. Per quanto moderna, giovane, forte, Pennino è una donna che vive in una società sì in mutamento ma non ancora davvero pronta a una New Woman che si aggira autonoma per il mondo, fuma, si interessa di questioni politiche e sociali e, soprattutto, vive una relazione fuori dal matrimonio. Le stesse suffragiste che compongono il suo mondo e la sua rete di affetti, sono divise – e tale divisione si acuirà nel finale, per varie ragioni – tra condizionamento sociale e desiderio di libertà, in un mondo teso tra vecchio e nuovo ordine.

A vegliare su di lei, per tutto il romanzo, Cecilia che, ferita dalla vita, cerca di proteggere l’amica dall’imprudenza che deriva dall’amore.
«Mia cara ragazza» disse Cecilia alla fine, «sei una bambina, non conosci il pericolo, hai così tanta fiducia in te stessa, ed è come se fossi nata per andare dritta verso la rovina senza rendertene conto prima che sia troppo tardi». (p. 108)
L’esperienza personale, un segreto del proprio passato, sono il filtro con cui Cecilia osserva la realtà e intravede nel comportamento di Pennino il pericolo della rovina, in una società che sembra ancora lontana dall’accettare che una donna e un uomo possano avere un rapporto paritario. Ecco, è questa la forza di Pennino: prima ancora che con l’uomo che sceglie quale compagno di vita è con gli uomini tutti che mira ad avere un rapporto che non sia mai di sottomissione ma egualitario, parlando loro da pari a pari, poco importa perfino se appartengono a classi sociali distinte. Ma su questo torneremo. Cecilia, dicevamo: l’esperienza negativa e dieci anni in più le fanno guardare con affetto e apprensione alle scelte di Pennino. Per certi versi sembra essere la voce razionale – certo piuttosto sfiduciata – e adulta che frena entusiasmi e impulsività della giovane amica, ricordandole che saranno forse a un passo dall’ottenere il diritto di voto ma il mondo è un luogo ancora prevalentemente maschile e una donna è costantemente oggetto di giudizio.
«Sembra tutto così bello» disse Cecilia stanca, «ma per quanto ti faccia coraggio, non puoi liberarti del fatto di essere una donna. Il mondo, in ogni caso, è lo stesso di prima, quando aveva il potere di imporre a una donna il suo giudizio. Ti ricorderai che i nostri peccati non vengono mai perdonati e mai dimenticati […]». (p. 112)
Risuona ancora tristemente familiare per certi versi e le riflessioni di Cecilia sono anche lo spunto per ragionare sul nostro di mondo, sulle società che abitiamo, ancora impregnate di giudizio, laddove anche la lingua stessa ha un vocabolario discriminante, sessista.
Interessante, poi, come Wägner intrecci in questo romanzo il discorso di classe, legandovi il tema della solidarietà femminile, centro nevralgico come si diceva in principio di questa storia. Il microcosmo entro cui si muove Pennino è popolato di ragazze e donne di ceto sociale differente, in maggior parte accomunate dalla lotta per il diritto al voto, ma ognuna di loro con un background culturale, un vissuto, personali desideri e idee; e anche fuori dalla cerchia stretta delle suffragiste, la realtà di Pennino è fatta di donne comuni e principesse, mogli e madri devote e ragazze cadute in disgrazia. Donne. Questo basta a Pennino per essere solidale con loro.
[…] lei è una donna, no? Klara ricordava che questo “è una donna, no?” era stata l’unica spiegazione che Pennino aveva ritenuto necessaria quando l’aveva aiutata, e le si riempirono gli occhi di lacrime, vicino al fornello a spirito, quando capì che quello era il semplice punto di vista da cui Pennino vedeva principesse e prostitute. (p. 252)
Lungi dal diventare sentimentale, Wägner costruisce una storia in cui la solidarietà femminile si scontra con ideologie diverse e disaccordi, ma resiste e accoglie, protegge e offre nuove possibilità. E questa, probabilmente, è una lezione che dobbiamo ancora imparare.

Debora Lambruschini