Un animale selvaggio
di Joël Dicker
La Nave di Teseo, 2024
di Joël Dicker
La Nave di Teseo, 2024
Traduzione di Milena Zemira Ciccimarra
pp. 448
€ 22,00 (cartaceo)
€ 11,99 (eBook)
€ 22,00 (cartaceo)
€ 11,99 (eBook)
«Un animale selvaggio è un libro fondamentale per me. Lo sento». Questo ha detto Joël Dicker lo scorso 25 marzo, durante la presentazione tenuta, in occasione dell’uscita dell’edizione italiana (Nave di Teseo, traduzione di Milena Zemira Ciccimarra), a Milano. Ed è effettivamente così, soprattutto perché Un animale selvaggio può essere considerato il libro della presa di distanza dal passato e del desiderio di un nuovo inizio. È il libro della «svolta», in un certo senso, di una svolta che si può cogliere sia all’interno della struttura narrativa, sia all’esterno, aprendo a considerazioni relative all’idea editoriale che pare concretizzare. Partiamo da quest’ultimo punto.
Questo romanzo poliziesco è il secondo in cui Dicker è anche l’editore di sé stesso (il primo è stato Il caso Alaska Sanders, uscito in Italia sempre per la Nave di Teseo nel marzo 2022). Tuttavia, Un animale selvaggio può essere considerato il primo vero romanzo del nuovo corso della casa editrice Rosie & Wolfe (fondata nel febbraio del 2022), la pietra di una nuova costruzione ancora da ultimare ma con un progetto ben delineato. Semmai si possa parlare di un prima o un dopo nella produzione dickeriana, questo poliziesco ne è la linea di confine.
Il punto di «svolta» è stato sicuramente la morte dello storico editore di Dicker, avvenuta, come è noto, nel 2018. Questo evento esterno ha prodotto prima il progressivo allontanamento dalla casa editrice francese Bernard de Fallois (casa editrice che ha chiuso dopo la separazione con Dicker), poi l’allontanamento di Dicker dal personaggio di Goldman (L’enigma della camera 622, La Nave di Teseo 2020, ne è un altro esempio, seppur ancora in linea con gli schemi precedenti). Se il primo è avvenuto nel 2022 con la fondazione della Rosie & Wolfe, di proprietà dell’autore (fatto di per sé incredibile, che dimostra una volta di più l'intelligenza imprenditoriale di Dicker, che adesso ha interamente i diritti delle sue opere), il secondo è avvenuto nel 2022, dopo la chiusura del «ciclo di Goldman» con l’ultimo romanzo del ciclo Il caso Alaska Sanders, ed è concretizzato pienamente proprio con questo libro.
Un animale selvaggio, dunque, è da questo punto di vista il libro della separazione e dello strappo da una famiglia editoriale che ha funzionato per decenni e che ha portato milioni di copie vendute, è il libro del passaggio alla maturità, appunto il libro della «svolta» editoriale. Non è un caso, infatti, che lo stesso Dicker abbia usato più volte una terminologia che richiama all’entrata all’età adulta, che abbia parlato di maturazione e che abbia inserito all’interno della trama situazioni nuove, mai affrontate prima e sottolineate nelle interviste promozionali dell’opera: «Ma c'è, credo, qualcosa di più: la dimensione psicologica? la densità dei fatti? oppure il fatto che i protagonisti hanno dei figli (per me è la prima volta!)? Non lo so esattamente, ma sento che la mia scrittura si sta evolvendo, il che è abbastanza normale: col tempo, maturo io e con me il mio lavoro». Che Dicker stia crescendo, questo è indubbio; che il prodotto sia diverso rispetto ai precedenti, non si può negare; che questo romanzo risulti migliore, però, dei precedenti è tutto da vedere. In ogni caso, Un animale selvaggio è realmente il libro che segna un confine, un prima e un dopo editoriale nella carriera di Dicker.
Ma la «svolta», come ho detto all’inizio, non è solo esterna, non è solamente imprenditoriale: è anche interna alla struttura dell’opera. Se lo stile rimane quello tipico di Dicker, quello che gli ha consentito di raggiungere un successo europeo (la narrazione è quasi del tutta priva di descrizioni, sincopata ma non musicale e sembra voler ricalcare le procedure cinematografiche, nonché le inquadrature dei film polizieschi), la macrostruttura dell’opera è diversa dai suoi libri precedenti. E, proprio per questo, che può risultare anche sorprendente. Abbandonato Goldman, alter ego dell’autore, abbandonati la figura dell’editore e l’intero congegno narrativo dell’inchiesta da scrivere (la metanarrazione è sempre stata il punto di partenza delle opere dell’autore), il libro mette in scena una rapina a una gioielleria, e lo fa senza nessuna cornice. Il romanzo si apre con la cronaca giornalistica di una rapina, come a dimostrare che solo la storia, solo i fatti nudi contano, non la cornice, non l’aver narrato. E questo funziona per buona parte del libro, che si muove verso l’epilogo rapidamente e narrando solo la trama principale, finché non interviene nuovamente il click. Perché il congegno usuale, il marchio autoriale non può essere a lungo nascosto. E la cornice si palesa nuovamente nelle righe di un racconto nel racconto, nelle righe di una novella di un finto autore italiano del XX secolo che dà pieno significato al titolo. È l’impronta digitale autoriale, la prova inconfutabile che apre all’ultima fase del libro, al momento dell’agnizione e porta il lettore verso l’epilogo (momento in minore, che può dividere i lettori). Chi è l’autore della rapina? Chi tradisce chi? Chi ha più scheletri nell’armadio? Il narratore, esterno e onnisciente, ha mentito nel corso del racconto o ha semplicemente spinto il lettore nella direzione premeditata? Dicker, così, dimostra ancora una volta la sua bravura in questo tipo di scritture, la sua capacità nella costruzione di una trama (non inutilmente contorta) e nell’uso preciso della lingua a servizio della fruizione rapida e piacevole, nel consegnare una storia che, al di là della tipizzazione dei personaggi, si legge sempre senza fatica.
Dicker racconta, con l’intelligenza affinata dal collaudato metodo del suggerito ma non detto, con la tecnica dell’alternanza dei piani temporali e con i flashback esplicativi di un passato che si mostra a scaglie, i fatti di una trama che procede giornalmente verso l’evento centrale della trama (la rapina). Il libro si muove tra la quotidianità, i drammi e le ossessioni di due famiglie che abitano in un quartiere residenziale nei pressi di Ginevra, tra le delusioni e gli scheletri nell’armadio, tra voyeurismo e intimismo.
Un animale selvaggio è un libro che si legge molto velocemente, che scorre come un film e che procede per opposizioni più o meno forti, più o meno volute. Un romanzo dicotomico, diviso in tesi e in antitesi alla ricerca di una sintesi possibile tra due fazioni opposte: realtà e finzione; desiderio non appagato, e per questo irrefrenabile, e desiderio appagato, e per questo deludente; piccola borghesia e borghesia ricca; fortuna e sfortuna; ricchezza grande e media ricchezza; poliziotti e ladri. È un romanzo che procede per opposizioni, e che per opposizioni non risolvibili (perché nemmeno affrontate) raggiunge rapidamente, e solo in minore, una sintesi non sempre appagante.
Giorgio Pozzessere