L’estate breve
di Enrico
Macioci
TerraRossa,
marzo 2024
pp. 126
€ 15,00
(cartaceo)
La verità è che si può morire un sacco di volte: tante quante si osa vivere. (p. 99)
La
collana Fondanti della casa editrice pugliese TerraRossa ripropone le «opere che
hanno segnato un’epoca o hanno rappresentato un tassello fondamentale nel
percorso narrativo di autori di talento». La riedizione di un libro già
pubblicato e i cui diritti sono tornati in possesso dell’autore (vuoi perché la
casa editrice è fallita, vuoi per la risoluzione di un contratto editoriale che
non ha soddisfatto l’autore o l’editore) può essere però non soltanto l’occasione
per dare seconda vita a un testo che magari è stato pubblicato in un periodo
poco vitale per quel tipo di storia, bensì fornisce anche la possibilità all’autore
di dire qualcosa di nuovo, di diverso, rispetto a qualche anno prima.
È il caso di Enrico Macioci, che per TerraRossa ha già pubblicato Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia, un racconto romanzato della vicenda del piccolo Alfredo Rampi, rimasto intrappolato in un pozzo nel 1981 (ne abbiamo parlato qui). La nuova opera portata alle stampe in questo 2024 è un romanzo breve – o racconto lungo – pubblicato per la prima volta da Mondadori nel 2015 con il titolo Breve storia del talento. Come l’autore stesso ammette nella prefazione, «i libri invecchiano» (p. 7), a volte bene e altre male. A volte è necessario rimetterci mano dopo anni, andando a compiere una vera e propria opera di speleologia, inabissandosi nelle profondità del testo per tirarne fuori un cuore diverso. Breve storia del talento, dunque, diventa L’estate breve. Personalmente non ho letto l’opera originale ma qui, in questa nuova versione che vede completamente riscritta la seconda parte, l’autore si concentra sì sul “grande Michele”, un ragazzino coetaneo del protagonista e che mostra doti elevatissime nel calcio – tanto da muovere l’invidia del giovane protagonista, anche lui appassionato di calcio –, ma il focus della narrazione è in effetti, più che il talento, l’estate, o meglio: l’ultima estate trascorsa nel paese natio.
Fra pomeriggi assolatissimi,
prime cotte e occasioni sprecate, l’autore guarda in retrospettiva questi anni
spensierati, queste giornate lunghissime in cui tutto sembra dover accadere,
salvo poi venir rimandato a un’altra epoca, posteriore, adulta. Le domande che
sembrano aleggiare in tutto il romanzo – soprattutto nella seconda, breve parte
– sono fondamentali: che fine hanno fatto quei bambini innocenti? Che adulti
sono diventati? C’è modo di recuperare qualcosa di quel tempo che sembra perso
per sempre?
È appena il caso di sottolineare come il fil rouge del libro sia la nostalgia. Il passato – questo luogo antico e fragile, fatto di rovine bellissime – è descritto con la solennità dell’epica ma anche con l’incertezza del sogno. Tutto ciò che è accaduto in quel crogiolo di mondi che è la fanciullezza sembra destinato a restare lì per sempre eppure è già svanito, eclissato dagli anni selvaggi dell’adolescenza e da quelli frammentati della prima giovinezza.
Ogni cosa è perfetta, ogni
sentimento purissimo, ogni amicizia destinata a durare per sempre, ogni amore
irraggiungibile. Macioci descrive bene tutto questo e mentre si sfogliano le
pagine non possono non tornare alla mente l’odore dei temporali estivi, il
dolore delle ginocchia sbucciate, la lentezza delle merende pomeridiane a casa
dei nonni. È qualcosa di prezioso che tutti noi conserviamo ma che rischiamo di
perdere ogni giorno. Libri come quello di Macioci servono a tenerli saldi nella
memoria.
L’estate breve è in sintesi una lettura piacevole, densa e calda. È qualcosa che fa bene all’animo.
David
Valentini