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Uno slittamento di senso per esplorare il mondo: "Metafora. La storia della filosofia in 24 immagini"

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Metafora. La storia della filosofia in 24 immagini
Pedro Alcalde, Merlín Alcalde
Dipinti di Guim Tió
L’ippocampo, 2024

Traduzione di Federico Taibi

pp. 61
€ 15,00 (cartaceo)

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Ogni metafora implica un trasferimento. Di campo semantico, e quindi di senso. In ambito filosofico questo produce uno slittamento «da una parola o un enunciato concettuale, e quindi intangibile, a qualcosa che possiamo vedere, che ci immerge nel mare del sensibile. Il concetto diventa immagine» (p. 7). Da questo presupposto nasce il volume da poco edito da L’ippocampo, che vuole esplorare attraverso ventiquattro immagini iconiche le tappe più rilevanti della filosofia occidentale (con una sola sortita a Oriente per lo Yin e Yang di Laozi).

Ogni metafora viene ricollocata, grazie a un breve inserto testuale descrittivo, nel pensiero filosofico più ampio di chi l’ha ideata, e quest’ultimo a sua volta viene riportato alla corrente filosofica, o al sistema di pensiero di cui fa parte. La selezione consente di ripercorrere, seppur attraverso piccole incursioni, l’evoluzione della filosofia dai presocratici (600 a.C) ai contemporanei (con strutturalismo e post strutturalismo, filosofia femminista, filosofia postcoloniale e la riflessione sulla società liquida di Bauman). Per render conto non solo della singolarità ma anche della continuità, ciascun pensatore e ciascun movimento vengono riposizionati, a fine volume, su una linea del tempo che permette di ricostruire il quadro di insieme, contro a ogni tentazione di dispersione.

Ogni doppia pagina (sulla sinistra si trovano il simbolo grafico associato all’autore e alla metafora e la relativa spiegazione, sulla destra una tavola illustrata) è l’occasione per un viaggio, una riflessione, un approfondimento di temi che alcuni di noi potrebbero aver incontrato per l’ultima volta sui banchi di scuola. L’uso di un linguaggio metaforico può rendere necessaria una mediazione (non a caso Eraclito, il primo filosofo ad aver utilizzato un elemento naturale con un significato non letterale – il fiume per indicare lo scorrere delle cose, e quindi del tempo, la continua mutazione del reale –, era detto l’Oscuro). Per questo risulta gradevole l’approccio discorsivo, divulgativo, di Pedro Alcalde e Merlìn Alcalde, che partono da una figura, un nome e una citazione per restituire tramite suggestioni la complessità di un pensiero, non esauribile in uno spazio così ridotto, e che lancia quindi spunti alla curiosità e allo studio personale.

Il tema dell’esplorazione, di sé e del mondo, della domanda che anima la ricerca filosofica, è del resto filo conduttore del volume – una seconda linea che scorre parallela, quasi sovrapposta, a quella del tempo. Dalla caverna di Platone al giardino di Epicuro, dallo specchio di Agostino al viaggio di Montaigne, i filosofi offrono indicazioni su come leggere il mondo, suggeriscono la direzione da seguire e dove cercare. I loro ragionamenti vanno ricondotti al contesto in cui si inseriscono e definiscono ambiti di ricerca mutevoli, in un continuo indugio tra interno ed esterno, io e realtà. Oggetto di interesse può essere anche la società, come nel caso di Hobbes, con la metafora del lupo per descrivere i rapporti umani, di Marx, per cui viene scelto l’oppio (in relazione ai vincoli e alle false promesse che la religione offrirebbe ai popoli), o di Hannah Arendt, che mostra i pericoli in agguato nel deserto che separa gli uomini laddove venga meno il senso di comunità, l’idea di una politica come spazio condiviso e abitabile. Alcuni aprono spazi critici e metacritici (il mare di Nietzsche che diventa spazio di libertà, di indagine tra onde inesplorate, seppur pericolose; o il rizoma di Deleuze e Guattari, che offre una forma, un modello alternativo a quello canonico, arborescente e quindi gerarchico). Avvicinandosi alla contemporaneità vengono ridefiniti i rapporti tra i generi, o quelli tra Oriente e Occidente, o tra uomo e natura.

E sempre la parola è accostata all’immagine (come del resto fa, per sua intima essenza, la metafora). Minuscole figure umane, piccole sagome scure inserite in paesaggi ampi, panorami senza fine, contesti naturali che li sovrastano, li trascendono. Questa piccolezza dice l’uomo davanti ai grandi interrogativi, nella sua infinita ricerca di senso, nel suo continuo interpellare il reale. È interessante però che, nelle illustrazioni visionarie, evocative, di Guim Tió, gli individui rappresentati non appaiano mai colti in momenti di vera immobilità: ognuno nuota, cammina, scava, cavalca, si tuffa, si arrampica, se è fermo contempla concentrato, fa – in fondo – il suo lavoro di essere umano, e tende verso una meta che è l’orizzonte lontano, o del tutto fuori scena, ma non pare arreso, bensì mosso da una forza interiore che si può intuire solo dall’imporsi del suo corpo minimo, ma solido, volumetrico, nello spazio disteso intorno a lui. Come quelle utilizzate dai filosofi, anche queste immagini si fanno allegoria, esprimono il significato profondo del volume, della filosofia di ogni tempo: la necessità per l’uomo di farsi muovere dalla propria mancanza, dal proprio desiderio; di impedire a ciò che può far paura nella sua smisuratezza di diventare alibi o elemento paralizzante.

Ecco perché, nel volume, tutto parte dall’acqua (con il fiume di Eraclito) e torna all’acqua (con la liquidità pervasiva di Bauman), ma gli autori mettono in guardia dal trovare confortante, definitiva questa circolarità, dall’abusare di metafore che forse non sono più sufficienti a spiegare un presente che cambia velocemente:

la generalizzazione dell’idea di “liquidità” e la sua applicazione a tutti gli ambiti della realtà non dovrebbero distoglierci dalla ricerca di alternative concrete ai problemi che segnala. […] È possibile che la nostra epoca abbia presto bisogno di metafore fresche che sostituiscano quelle vecchie: immagini e parole per un nuovo modo di pensare e agire, per un mondo che includa finalmente tutti gli esseri viventi che lo abitano. (p. 56)
Quella che sembra chiusura diventa quindi la massima forma di apertura, un rimandare ad altro, a un oltre, a un altrove. Che sia quello dell’approfondimento dello studio dei filosofi, o dello studio del mondo e dell’esistenza in senso più ampio.

Carolina Pernigo