L’Islam spiegato ai nostri figli e agli adulti che vogliono rispondere alle loro domande
di Tahar Ben Jelloun
La Nave di Teseo, 2024
Traduzione di Anna Maria Lorusso
pp. 232
€ 15,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
L’Islam spiegato ai nostri figli di Tahar Ben Jelloun ha una storia lunga: viene pubblicato per la prima volta, in Francia, nel 2001, in seguito all’attacco alle Torri gemelle, e nasce da un’istanza molto precisa:
Le immagini della tragedia americana non hanno risparmiato i nostri figli. I commenti che hanno sentito ovunque a proposito dei terroristi e della loro appartenenza al mondo arabo e musulmano li preoccupano e li spaventano. (p. 31)
Il desiderio dell’autore è quindi quello di offrire, a partire da una domanda
posta dalla figlia novenne, un inquadramento
storico e culturale dell’Islam in un’ottica
didattica e divulgativa, che si avvalga di parole semplici per tradurre
concetti complessi e per sfatare molti luoghi comuni, benzina per paure e
pregiudizi che dopo l’attentato dell’11 settembre sembrano crescere a
dismisura, con ricadute importanti sull’intera comunità islamica. Pubblicato in
Italia da Bompiani, dapprima nella versione originaria, e successivamente in
una ampliata, che raccoglie una serie di articoli e interventi pubblici tenuti
negli anni successivi, esce oggi in una nuova edizione per La Nave di Teseo.
Una breve introduzione anticipa i temi che verranno affrontati più diffusamente nelle pagine successive, prendendo subito una presa di posizione netta contro il fanatismo di chi vuole interpretare alla lettera il Corano, senza considerare la particolarità della sua genesi e il tempo trascorso da allora, senza porre al vaglio dello spirito critico contenuti che si radicano primariamente in un preciso contesto storico e socio-politico. In questo, spiega Ben Jelloun, è importante separare i tradizionalisti dall’Islam moderato, che si inserisce nel solco delle altre religioni monoteiste, ebraismo e cristianesimo, con cui condivide diversi aspetti fondanti:
Una lettura del Corano condotta alla luce della fede e dell’intelligenza è raccomandata da Dio stesso, visto che l’uomo può scegliere tra fare il Bene e fare il Male, agisce secondo il libero arbitrio e sarà giudicato il Giorno del giudizio universale per le sue azioni. La responsabilità dell’essere umano è chiaramente presente nel testo e nello spirito del Corano. (p. 15)
Punto fondante delle argomentazioni di Jelloun è che non solo l’estremismo non
giova all’Islam, ma che con la natura profonda dell’Islam ha poco a che fare.
Non a caso, ricorda, se si esclude l’attacco al World Trade Center, «la maggior parte delle vittime degli
attentati terroristici della jihad islamica è musulmana» (p. 26). In un
mondo sempre più interconnesso, in un’Europa che deve fare i conti con la
presenza di una comunità musulmana in crescita, anche in relazione agli intensi
fenomeni migratori che la coinvolgono, è importante che i governi e i popoli
imparino a conoscere il diverso per
non averne paura, che la conoscenza e il dialogo abbattano i muri e i sospetti
eretti da un’ignoranza che fa il gioco di pochi intransigenti che si ostinano a
vivere in un passato ormai lontano. Al contrario, infatti, «l’Islam non è incompatibile con la
democrazia, con la libertà e con la laicità» (p. 28).
La sezione che dà il titolo al volume, nonché suo nucleo originario, è la più riuscita. Tahar Ben Jelloun esplicita fin da subito l’intento del suo scritto:
Questo libro non vuole essere una predica né un’arringa. Non cerco di convincere nessuno, racconto il più oggettivamente possibile e nel modo più semplice possibile la storia di un uomo diventato profeta e anche la storia di una religione e di una cultura che tanto hanno dato all’umanità. (p. 38)
I tre elementi su cui si fonderà il suo discorso saranno dunque l’oggettività, la ricerca di una semplicità espressiva e contenutistica e l’impostazione quasi narrativa, che risponde alle necessità imposte dall’espediente prescelto, ovvero la conversazione con una ragazzina preadolescente; questa struttura dona al testo, attraverso le domande incalzanti della figlia al padre, un impianto quasi maieutico, in cui la conoscenza emerge da affondi successivi. Molti sono i temi affrontati: nell’esposizione lineare, cronologica, della nascita dell’Islam a partire dalla figura di Maometto, si inseriscono trasversalmente vari approfondimenti: il rapporto tra la lingua del Corano e quelle parlate oggi, i cinque pilastri dell’Islam, il senso di alcuni divieti, le principali scoperte derivate dall’età d’oro degli arabi nel Mediterraneo, il rapporto tra fede e ragione. In alcuni casi i giudizi di Ben Jelloun sono molto netti:
Gli Islamisti cercano di imporre con la forza un modo di vita, di comportamento e di abbigliamento che rifiuta l’epoca attuale. Dimenticano una cosa semplice: l’Islam è nato più di quindici secoli fa. Nei suoi testi ci sono valori che sono validi in tutti i tempi, eterni. Poi ci sono valori che riguardano l’epoca in cui l’Islam è nato e che non si adattano ai tempi moderni. Vogliono tornare all’epoca del profeta e interpretano in messaggio di Maometto in modo riduttivo, molto schematico e caricaturale. (p. 103)
La decisione di rivolgersi a
un interlocutore giovane, chiaramente, costringe a fare delle scelte nella
strutturazione del discorso: se alcune sezioni risultano particolarmente
riuscite, come quella relativa al lessico
specifico (termini come jihad, fatwa, Shari’am, talebani vengono commentati a partire dalla loro
etimologia e nell’effettivo uso che ne viene fatto), altre risultano
sacrificate, e la spiegazione non è sufficiente a soddisfare il lettore adulto
(solo pochi cenni, per esempio, vengono fatti alla distinzione tra sciiti e
sunniti, su cui si vorrebbe sapere di più). Anche in merito alla visione della
donna nel mondo arabo, su cui pure l’autore si sofferma in più occasioni in
termini critici, le spiegazioni risultano piuttosto generiche, poco ancorate
alla concretezza del presente (siamo ben lontani dalla chiarezza e
l’esaustività che si può trovare, per esempio, in Quello che abbiamo in testa, di cui abbiamo parlato qui).
Una maggiore complessità emerge dalla seconda parte del volume, “Vivere
insieme”, i cui interventi sono rivolti a un pubblico più maturo e che si
presume già consapevole, e appaiono più strettamente legati alla cronaca. Va
detto, però, che il volume non trae necessariamente vantaggio dalla presenza di
questa sezione: l’assenza di riferimenti
specifici alle fonti (in primo luogo date e contesti di pubblicazione degli
articoli – l’unica nota fa un riferimento vago a “testate italiane e
internazionali”) impedisce al lettore di comprendere molti dei riferimenti
interni, e i pezzi finiscono per
risultare disorganici, non solo
nella relazione reciproca, ma anche nella loro struttura interna. Inoltre, non
si può non percepire lo scarto temporale
intercorso tra la scrittura degli articoli e il presente. I riferimenti a
Giovanni Paolo II, le guerre in Iraq e Afghanistan, la giustizia in Arabia
Saudita, la situazione nelle banlieue
francesi in relazione alla decolonizzazione, il referendum contro i minareti in
Svizzera offrono sicuramente spunti di riflessione interessanti anche per il
presente, ma si avverte la mancanza di un contrappunto legato a eventi e situazioni
sociali e geopolitiche più recenti.
Ciò che il volume di Ben Jelloun può dare anche oggi è allora, prima di tutto, il senso profondo del suo messaggio, espresso tanto nella forma prescelta quanto nei contenuti discorsivi: la necessità di un dialogo aperto e costante, di porre domande la cui risposta non è facile, né può essere data a cuor leggero, ma che implica una continua ricerca, un continuo interrogarsi; il confronto interculturale e interreligioso come via per sfuggire al fanatismo; l’apertura e l’integrazione come antidoti al fondamentalismo e alla violenza.
Carolina Pernigo
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