di Valerio Varesi
Neri Pozza, aprile 2024
pp. 236
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Vedi il libro su Amazon
Credo che tutti noi proviamo a seguire una sorta di filo conduttore che ci accompagna negli anni; per Estella, nome di battaglia di Teresa Noce, il filo conduttore sono stati la politica e la lotta contro le ingiustizie in un momento in cui in Italia sembrava impossibile lasciarsi alle spalle gli anni della Seconda Guerra Mondiale.
Estella di Valerio Varesi racconta la biografia di una donna che si dedicò a combattere battaglie che non sono del tutto concluse nemmeno oggi. È impossibile definire la vita di Teresa, talmente è variopinta e sfaccettata: partigiana, deportata, deputata, madre e moglie sono solo alcuni nomi che potremmo affiancarle. È forse tra le personalità femminili più complesse della Storia del secondo Novecento, tanto che, quando arriva a Milano nei giorni della Liberazione, sembra abbia già vissuto molte esistenze. Teresa, infatti, arriva nel capoluogo lombardo dopo anni di reclusione nel campo di concentramento di Ravensbrück, dopo essere stata arrestata per la sua partecipazione nella Resistenza francese e dopo essere stata esiliata dall’Italia fascista come dissidente politica. Le lotte per Teresa però non si esauriscono qui; la donna non si ferma alla battaglia partigiana, ma continua a combattere come se, nella sua mente, la guerra non fosse mai terminata. La Liberazione per Teresa non è rivolta solo verso l’occupazione nazifascista, ma anche verso condizioni di lavoro denigranti (per donne e uomini), dalla fame e la miseria, da una società ancora prettamente patriarcale. E quindi: Teresa come può accettare tutto questo? Come può sottomettersi alle dinamiche di un partito, nel quale la voce degli uomini conta più di quella femminile?
«Le donne devono obbedire e accettare di essere censurate rimanendo in silenzio: a casa come nel partito. Tu non l’hai fatto e per questo ti ritrovi così». (p. 140)
Ed è intorno a queste domande che Estella continua la sua battaglia, iniziando dai cosiddetti “Treni della felicità” (il trasferimento di bambini dal Nord verso l’Emilia, ospitati da famiglie di contadini). È questo il suo primo atto pubblico quando comprende che il suo compito «era difendere gli altri, quelli che non hanno difese, gli ultimi» (p. 37). D’altronde, Teresa si riconosce nelle classi più umili della società: non proveniva da una famiglia ricca, era nata in uno dei quartieri più poveri di Torino e, come ricorda frequentemente la madre di suo marito, era «brutta, povera e comunista» (p. 12). Insomma, la sua vita era sempre stata in salita. Da una parte dunque c’è la Teresa deputata e la partigiana, sempre pronta a combattere e dall’altra c’è la parte più fragile, che vive con difficoltà la sua femminilità: una Teresa che sembra lontanissima da quella donna combattiva che è riuscita a sopravvivere al campo di prigionia nazista.
Non che il mio aspetto mi importasse granché, ma per quanto fossi indifferente, nessuna donna può essere de tutto. C’è sempre un pizzico di amor proprio che viene ferito. (p. 111)
D’altronde Estella non aveva nessuna caratteristica richiesta dalla società dell’epoca: non era bella, non aveva potuto studiare e, soprattutto, non era remissiva. Spesso sbeffeggiata anche dai compagni del partito, sopperisce a queste “mancanze” prendendo a cuore tutte le donne italiane: dalle madri alle mogli fino alle lavoratrici, il suo vero e reale campo d’azione («non ci sarà emancipazione femminile se non si emanciperanno anche gli uomini», p. 24).
Valerio Varesi restituisce un ritratto intimo di una combattente italiana che oggi, al contrario di altre, è ben poco ricordata. E allora viene da chiedersi: perché Teresa Noce e la sua biografia non sono ben radicate nell’immaginario collettivo? Perché non ricordiamo le sue battaglie in difesa dei diritti delle donne? La sua è stata una vita avventurosa, ideologica e vissuta per gli altri. Di là dalle battaglie, Teresa divise il pubblico dal privato, cercando di sopperire ad alcune mancanze, imposte dalla società dell’epoca, con la sua forza, determinazione e tanta personalità. C’è la vita di Estella, ma c’è anche l’Italia, in quel momento storico, «un teatro di vita grama» (p. 119): un paese da ricostruire materialmente e ideologicamente, facendo i conti con gli anni della Dittatura, ancora troppo vicini da comprendere. Libertà e solidarietà sono due parole con cui si potrebbe riassumere la sua vita, senza dimenticare quanti sacrifici e rinunce abbia dovuto affrontare. Estella trova il suo riscatto fuori dalle mura domestiche, prendendosi a cuore le sorti di tutte le lavoratrici italiane.
Giada Marzocchi