Oscura foresta
di Tatiana Salem Levy
La Nuova Frontiera, marzo 2024
Traduzione di Annabella Campanozzi
pp. 121
€ 16,50 (cartaceo)
€ 11 (ebook)
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Divenne chiaro che avevamo tutti bisogno di aggrapparci a un obiettivo per tornare a galla. Per respirare. (p. 25)
È possibile dimenticare e superare una violenza? Sentiamo testimonianze, nelle quali le vittime di stupro sono riuscite ad andare avanti (questo non significa, però, aver superato emotivamente il trauma) e che riescono in qualche modo a riprendere in mano le redini della loro vita, per quanto sia un percorso complesso. Tutto questo accade alla protagonista di Oscura foresta di Tatiana Salem Levy: Júlia è una giovane donna che, dopo essere stata violentata, si obbliga «a farcela» (p. 11), scrivendo una lettera ai figli su quello che le è successo.
Nel 2014 Rio de Janeiro pare una città all’avanguardia. Le prossime Olimpiadi hanno costretto l’amministrazione a inaugurare nuove strutture sportive; la delinquenza e la povertà sembrano scomparse all’improvviso, ma è, proprio in questo periodo, che Júlia (all’epoca era poco più che ventenne) va incontro a un trauma che influenzerà tutta la sua vita. In un parco del centro città, la ragazza è assalita e violentata. In questo lungo flusso di coscienza, la donna, con la “scusa” di raccontare l'episodio drammatico ai figli, ripercorre i momenti immediatamente successivi allo stupro, le indagini e quel senso di disagio che non la abbandonerà mai. Dal senso di colpa fino alle reazioni dei famigliari, la donna racconterà anche se stessa, svelandosi pian piano, alternando il passato a quel preciso momento, diventato uno spartiacque nella sua vita. C’è una vita prima della violenza e ci sarà una vita dopo la violenza: due vite e due donne diverse che non riescono più incontrarsi, che fuggono l’una dall’altra in attesa di trovare un punto d’incontro per andare avanti. La Júlia, quella prima dell’incontro nefasto, era una ragazza come le altre, laureata in architettura, lavorava proprio alla progettazione del nuovo (e immaginifico) villaggio olimpico; e poi c’è l'altra Júlia, quella violentata, madre di due figli, che cerca di trovare la forza per riappropriarsi della propria vita, del proprio corpo e del suo “essere” donna.
Non voglio cambiare argomento. Oggi sono uscita di casa con l’obiettivo di raccontare. Sono già passati tanti anni, e io non sono ancora libera da questa storia. Non so nemmeno se me ne libererò mai. Ce la farò? (p. 68)
Se da una parte si sforza di essere quella di prima, d’altra parte dovrà ammettere con se stessa, con il marito e con il resto della famiglia che niente sarà uguale, nonostante tutti gli sforzi per sembrare la stessa. Gli sforzi di ricordare (e sentendosi in colpa quando non riesce: «voglio ricordare tutto», p. 12) e quelli per il riconoscimento durante le indagini potrebbero essere i primi passi verso la metabolizzazione del trauma, ma nella realtà si scontrano con qualcos’altro: un blocco emotivo che non riguarda solo il senso di colpa del non ricordare, ma qualcosa di più profondo, che impedisce a Júlia di riconoscere il suo aggressore («Che cosa è più importante di una persona, l’insieme o i dettagli? Ciò che ricordiamo o ciò che dimentichiamo?», p. 13).
Oscura foresta è una lettera, una testimonianza, un flusso di coscienza apparentemente rivolto ai figli, ma che, nei fatti, ha un’altra doppia valenza. Le sue parole sono rivolte, da una parte, a lei stessa e dall’altra a tutte quelle donne che subiscono, o hanno subìto, violenze. Júlia sfrutta la volontà di spiegarlo ai figli per raccontarselo: ripercorre i giorni dopo lo stupro serve a rendersi conto di quello che le è accaduto. La scrittura diventa uno strumento potentissimo per sfogarsi, metabolizzare e prendere atto di quel trauma; per quanto la lettera sia indirizzata a «Antonia e Martin, amori miei» (p. 1), il vero destinatario è Júlia stessa.
L’autrice riporta tra le parole della protagonista un tema attuale e lo fa non limitandosi alla violenza in sé e alle ferite fisiche, ma concentrandosi su quelle emotive, ben più difficili da rimarginare. L’ossessione per alcune parti del corpo dimostra la sua fragilità ma pure quella voglia di mettere un punto a quella storia, anticipando anche i tempi di ripresa psicologica.
Sullo sfondo ci sono il Brasile e Rio de Janeiro, che, nel 2014, mostravano tutte le disparità sociali possibili, delineandosi come una nazione e una città camaleontiche che ostentavano nuovi progetti, ignorando (più o meno consapevolmente) la delinquenza e l’emarginazione. E così, attraverso la storia di Júlia, scopriamo luci e ombre di un Paese in cui la bellezza convive con la brutalità, dove in una «una foresta [...] tropicale, lussureggiante, immensa» (p. 12) può avvenire uno stupro.
Giada Marzocchi
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