Il rumore bianco
di Yolaine Destremau
Barta Edizioni, 2023
Traduzione di Marta Giusti
pp. 115
€ 10,00 (cartaceo)
Mio padre a volte mi chiede, Ma cosa succede nella tua testa?, con quel suo sguardo dolce pieno di domande e spera sempre in una risposta. (p. 40)
Quella risposta gliela potrebbe il lettore che, lungo tutta la narrazione, sarà nella mente, nel cuore, nell'animo e nella testa di Pablo, 18 anni, affetto da una grave forma di autismo.
Nella Giornata mondiale della consapevolezza sull'autismo, CriticaLetteraria vi propone Il rumore bianco, di Yolaine Destremau, un romanzo, o meglio un lungo racconto, in cui il protagonista e la voce narrante è proprio lui, Pablo. Che vede tutto, capisce tutto e registra tutto nella sua mente, incasellando ogni percezione nel suo personalissimo ordine. Ma Pablo non parla, non sa tradurre in parole il vorticare dei suoi pensieri, la voce è per lui un suono strano, che quasi lo spaventa. Pablo non parla e non ha mai parlato.
Poiché le parole mi negano l'accesso, dietro una sottile parete invalicabile, mi sono rifugiato nei silenzi innevati, quel rumore bianco nascosto nel mio cranio, una nebbia opaca. (p. 22)
Nella mente di Pablo c'è spazio per tutto, assorbe ogni odore, ogni ricordo, ogni impressione, ogni voce, ogni gesto, ma spesso la sua mente si riempie di rumori, come migliaia di uccelli che svolazzano spaventati e sbattono contro le pareti del suo cervello cercando inutilmente una via di fuga.
Pablo è un ragazzo adottivo che i genitori hanno accolto all'età di tre mesi, ignari che il bambino avrebbe sviluppato un disturbo così importante, ma non hanno mai maledetto il destino, anzi hanno accolto il nuovo bimbo e la sua particolare crescita con un amore che trascende ogni limite. La mamma vive in simbiosi con il ragazzo, ne conosce ogni più piccolo desiderio, movimento, pensiero. Sa che Pablo vive di abitudini graniticamente consolidate, che non possono per niente al mondo essere variate. Come quella volta che, messosi a tavola, Pablo non ha trovato la forchetta al suo posto, sul tavolo apparecchiato... era stata dimenticata in lavastoviglie.
Il mio cervello ha cominciato a ribollire. Un vulcano in ebollizione. Lava incandescente. L'assenza della mia forchetta significava che non mi volevano più nutrire, che dovevo morire. Era uguale. Ho iniziato a dondolarmi, a sbattere la testa contro il muro (...). Ero terrorizzato, c'erano urla nella mia testa, e per far tacere quelle voci ho preso il coltello e l'ho lanciato verso i volti spaventati. (...) Poi le grida nella mia testa sono finite, così come erano iniziate. Ho riso dal sollievo. (p. 23)
La mamma sa che Pablo indossa tanti strati composti da diverse giacche e una coperta, agganciata da una spilla, per proteggersi dal mondo. E che anche se fa caldo non si può togliergliene una. Mai. La mamma sa che Pablo non vuole essere toccato, solo lei lo può lavare, vestire e nutrire. La mamma sa che deve accompagnare le mani di Pablo dolcemente nelle tasche perché altrimenti si muovono come impazzite colpendo Pablo, la mamma e chiunque è nei pressi. La mamma sa tutto.
Ma non sa che Pablo ha nascosto, il giorno prima, sotto il materasso un oggetto, un cellulare. Di chi è? Come l'ha trovato? E come ha avuto il coraggio di compiere un'azione così diversa dalle sue solite?
Tutto ha avuto inizio in una bella mattina di primavera, forse quasi estate, nel corso della passeggiata domenicale che Pablo fa con la mamma (a differenza di quella quotidiana nella quale Pablo è accompagnato da Raphaël, l'educatore dell'istituto che frequenta, il suo caro amico Raphaël, l'unico che può toccarlo). A un certo punto la mamma decide improvvisamente di proporre a Pablo una piccola deviazione dal solito percorso, un cambio che Pablo accetta, ma non volentieri. Un sentiero nuovo, girare a sinistra anziché a destra. E proprio in questo cambio accade qualcosa, qualcosa che destabilizza l'ordine di Pablo. Mentre la mamma si china a raccogliere fiori di canna, Pablo sperimenta una cosa mai fatta, si sposta di qualche passo, poi ancora un po' fino ad arrivare a una roccia dove di colpo sente una canzone. Il suono della musica viene da un cellulare alla cui cordicella è attaccato un piccolo peluche che sembra ascoltare in silenzio la canzone.
Dapprima non oso toccarlo. Mentre mi rialzo noto lì vicino una forma rannicchiata, dei capelli neri ricci, una donna che dorme. È tutta graffiata, con i piedi nudi, la testa appoggiata sul braccio ripiegato, tranquilla. Mi avvicino, e il cellulare per terra riprende a cantare Polveri di te. (p. 34)
È un attimo, Pablo guarda la ragazza, sta dormendo beatamente, non c'è pericolo che si svegli, agguanta il suo cellulare e lo mette in tasca. La mamma non sospetta nulla perché nel frattempo Pablo è tornato sul suo solito sentiero, incontro a lei che lo guarda felice con le braccia piene di fiori di canna (e di graffi che si è procurata nel raccoglierli). Una volta rientrato a casa, Pablo nasconde il suo tesoro sotto il materasso.
Ovviamente la ragazza stesa a terra dietro la roccia non è addormentata. È morta. E di lì a poco il bosco è squarciato dalle luci blu della polizia che ha rinvenuto il corpo. La ragazza è stata assassinata. E Pablo ha il suo cellulare sotto il materasso. Ma Pablo non parla e non può raccontare come l'abbia trovato.
L'indagine farà il suo corso e il lettore vivrà questa drammatica situazione dentro la mente di Pablo, perché è sempre lui a raccontare i sospetti, i dubbi, la paura. E chi legge diventa Pablo. In un crescendo di angoscia, dall'interno di una cassa toracica da cui non escono parole, chiuso dentro una mente che è in preda alternatamente a riflessioni lucidissime e a un caos primordiale, il lettore sperimenta l'ansia della malattia, un'esistenza parallela, una vita diversa, che è difficile da capire, se non la si prova.
Ecco vedete, ho un'esistenza parallela alla vostra, non così diversa, un po' esagerata, in una stanza vicina, in un'altra parte della casa, solo una porta ci separa, una sottile parete, basterebbe abbassare la maniglia di porcellana e varcare la soglia per ritrovarmi nel vostro stesso mondo. (p. 21)
L'autrice, raccontando l'autismo con estrema delicatezza e profondo rispetto, abbassa quella maniglia e ci conduce al di là di quella porta. Per tutto il libro saremo nell'altra stanza con Pablo e vivremo le sue emozioni, sentiremo su di noi le sue paure, ricorderemo i suoi ricordi, che si spingono a prima della nascita, e penseremo i suoi pensieri che si inoltrano dopo la morte. E capiremo piano piano chi ha ucciso la povera ragazza nel bosco. Ma non potremo dirlo. Perché Pablo non parla.
Un racconto che terrà avvinto il lettore fino all'ultima... lettera.
Sabrina Miglio
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