Violenza e dilemmi morali negli Anni di Piombo: "Ci siamo traditi tutti", il convincente esordio di Maddalena Crepet


Ci siamo traditi tutti
di Maddalena Crepet
Solferino, 2024

pp. 400
€ 19,50 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)

Il confine fra il bene e il male, fra il giusto e lo sbagliato, in quel giro di anni balordi, era tanto labile da essere spesso, ai nostri occhi affamati, impercettibile. (p.15)

Fra l'estate e l'inverno del '69 bazzicavo spesso Torino. Le sommosse operaie mi eccitavano come i giochi preferiti di un bambino. Andare in missione alla Mirafiori era come andare al parco divertimenti. Entrare nell'epicentro delle proteste, toccarlo con mano, assaporarne il sapore amaro, annusare quell'aria accesa e ottimistica dell'esercito vincente in una guerra ancora da avviare, mi faceva sentire importante, e utile. In quegli anni tutti, in un modo o nell'altro, volevamo sentirci utili. (p. 35)

Nell'Italia in tumulto di fine anni Sessanta, le forze dell'ordine soffocano le contestazioni nella violenza spingendo Giorgio, operaio milanese, e Costanza, figlia della Roma benead abbandonare Lotta Continua, gruppo di sinistra ritenuto troppo morbido. Insofferenti verso un sistema statale repressivo, i due insorgono in nome della missione politica, e fondano Prima Linea, di cui si pongono a capo insieme a Valeria e Raffaele, e individuano nella violenza lo strumento per liberare le masse oppresse dall'egemonia dei governi capitalisti. Prima Linea è radicale ed estrema: Giorgio e Costanza, ormai coppia, in successione uccidono un magistrato a colpi di pistola, gambizzano un caporedattore giudicato ostile, attentano alla vita della persona sbagliata. La deriva sanguinaria sgretola la compattezza del movimento in espansione. Giorgio metterà a tacere non solo i nemici politici ma anche le voci che ne fanno burattino nelle mani di Costanza, considerata da molti come vera guida del gruppo. Isolato dai compagni di lotta e ostracizzato dai genitori, a conoscenza dei crimini commessi, l'uomo vivrà in clandestinità mettendo in discussione gli ideali per chi ama, temendo di perderla.  

Con un esordio convincente, Maddalena Crepet fa rivivere la cruenta stagione del terrorismo italiano. Adottando una prima persona maschile ruvida e credibile, racconta l'ascesa e la crisi di un movimento politico di estrema sinistra tra violenza, omertà e pentimenti, e indaga gli interrogativi morali scaturiti da scelte radicali, addentrandosi nel dilemma etico che attanaglia due persone in bilico tra un'attrazione viscerale e idee politiche gradualmente divergenti. Entrambi scelgono la via della repressione violenta - la stessa violenza aspramente contestata allo stato che osteggiano. Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare un mostro, scriveva Nietzsche, e avanzando nella lotta, concetti come giusto e sbagliato smarriscono il loro significato.  

Maddalena Crepet traccia con polso l'estremizzazione della lotta politica, originata da manifestazioni di piazza represse con durezza e degenerata nella lotta armata in clandestinità. Gli Anni di Piombo sono raccontati con maturità narrativa, accortezza storica e un linguaggio concreto che sa restituire la temperatura rovente di quell'epoca. Se le strade sanguinano, certe pagine di Ci siamo traditi tutti scottano. L'autrice non si risparmia nelle scene più cruente, restituendo con fermezza l'agitazione di quegli anni concitati. Si tratta di un'opera prima seria e rigorosa, ragionata e con picchi d'intensità, nella quale la vicenda sentimentale si staglia nell'orizzonte di sangue e consuma tra bunker e stanze abbandonate. 

Per mio padre, ero un criminale a piede libero, che meritava di essere denunciato. Un sovversivo, un rivoluzionario che si trincerava dietro cause fittizie, per combattere una guerra che, di cause reali, non ne aveva. Per mia madre, alla meno peggio, un figlio cresciuto male. Cresciuto talmente male che le aveva fatto perdere un polmone, per cercare in ogni modo di salvarlo. Un polmone consumato dalle fabbriche, un altro dal dolore. Nella migliore delle ipotesi, sarei stato la causa di metà della sua morte. E per Costanza? Chi ero per Costanza? Un fidanzato rivoluzionario? Un compagno di lotta? Un ex operaio armatosi per combattere la stessa battaglia? Un elemento di fascinazione proletaria? Il sogno proletario? Tutte queste cose insieme? E per me, per me chi ero? Operaio della Breda, ex militante di Lotta continua, fondatore di Prima linea, il comandante Husky, il figlio degenere, il rivoluzionario, l'anarchico, il sovversivo, lo sfasciafamiglie, il P38ottista, il criminale, l'amico fedele, l'innamorato pazzo, il pazzo, il figlio pazzo che si mette a sparare alla povera gente. Chi ero io, davvero? (p. 160) 

Non solo non eravamo più amici, non eravamo più compagni, ma, peggio, eravamo diventati - tutti - ricatti umani, oggetto inconsapevole di ripicche, rivalse, mortificazioni, umiliazioni e annientamento. Esattamente ciò che fino a quel momento condannavamo e rimproveravamo ai nostri nemici. Almeno, a quelli che finora avevamo individuato come tali. Dunque, la vera domanda non era quanto ognuno di noi conoscesse dell'altro, ma quanto questa conoscenza fosse corruttibile. Quanto ognuno di noi, in questo gioco perverso che chiamavamo guerra e chiamavamo rivoluzione e chiamavamo giustizia, quanto ognuno di noi in tutto questo era diventato ricattabile, fragile e frangibile? E quanto ognuno di noi era, ancora, giusto? Dalla parte giusta? (pp. 303-304)

Ci siamo traditi tutti suggerisce inoltre un confronto tra generazioni. Se infatti alcuni elementi sanno resistere a ogni cambiamento - l'amore, l'odio, la cattiveria, la pietà e la sua mancanza -, lo stesso non si può scrivere dello slancio idealistico che accomunava ragazze e ragazzi che, aggrappati a idee granitiche, trovavano una collocazione nel mondo. Il coinvolgimento politico, chiaramente presente in differenti gradazioni, riusciva far sentire tutti quanti, a proprio modo, utili. Il divario con una generazione attuale che ha meno in cui credere, trovando complicato ritagliarsi un proprio ruolo in un'esistenza vissuta con disillusione, sembra profondissimo.

Daniele Scalese