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Le nostre piante, le nostre terre, i nostri disastri: «Il fuoco invisibile» di Daniele Rielli

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Il fuoco invisibile
di Daniele Rielli
Rizzoli, marzo 2023

pp. 304
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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Quell’incontro mi darà da pensare, perché mostra come in questa complicata vicenda, oltre alle persone in palese malafede, ce ne siano state almeno altrettante che hanno agito secondo logiche perniciose ma mosse da un’assoluta, candida e apparentemente fondata buona fede. Mi sono chiesto a lungo se non sia quello che succede nel cuore di ogni catastrofe umana. (p. 175)

Da lettore perlopiù incentrato sulla narrativa, la proposta e la successiva candidatura del libro di Daniele Rielli al Premio Strega 2024 fa un certo effetto. Solitamente, infatti, a comporre la famosa dozzina sono principalmente romanzi – la più classica forma di letteratura contemporanea – e, di rado, le raccolte di racconti. Il libro di Rielli invece è qualcosa di diverso. Di certo non è un romanzo o una raccolta di racconti; ma non è neanche un saggio, un lungo articolo, un reportage. È tutto questo insieme, probabilmente, come ha detto Antonio Pascale nelle motivazioni che l’hanno portato a proporre il libro al premio di quest’anno: «Utilizzando vari strumenti narrativi, dal reportage d’autore, all’inchiesta giornalistica, all’autobiografia, alla riflessione saggistica, al racconto narrativo vero e proprio, Rielli costruisce così facendo un magnifico romanzo corale, una narrazione che mostra da subito una filiazione diretta con modelli alti».

La coralità è senz’altro ciò che contraddistingue il testo. L’epidemia da Xylella – un batterio che si insinua nei vasi xilematici delle piante, ossia gli apparati conduttori della linfa grezza, impedendogli così di trasmettere acqua e sali minerali e conducendoli di fatto alla morte per disseccamento – ha colpito milioni di alberi nel Salento, e con loro migliaia di contadini e agricoltori che con quegli alberi avevano e hanno un rapporto quasi simbiotico. Per alcuni erano fonte di reddito, per altri – come la famiglia stessa di Rielli – un legame col passato e con la terra. È inevitabile che, per raccontare il disastro annunciato legato alla Xylella e mostrare come sia stato anche e soprattutto umanitario, l’autore abbia affondato i denti nella coralità. Coralità che è tipica della cultura contadina e della tradizione orale, e che dunque è strumento perfetto per parlare di un “noi” che coinvolge tutti, lettori compresi.

La componente del reportage si rivela direttamente nelle interviste agli attori principali della vicenda: dai contadini stessi alle associazioni di categoria, dagli scienziati che per primi si sono impegnati per individuare le cause degli “incendi” – ossia i disseccamenti delle piante d’ulivo – ai commissari speciali, dai giornalisti coinvolti ai politici che su Xylella hanno fondato intere campagne elettorali. La loro presenza è diretta, frutto di ore e ore di registrazioni e successive sbobinature.

Anche l’aspetto dell’inchiesta giornalistica è presente: per dieci anni, ossia dal 2013 quando il caso era appena agli albori e fino al 2023 quando il libro ha visto le stampe, Rielli ha indagato cosa stesse accadendo in Salento. La motivazione è certamente personale: gli alberi di famiglia sono stati fra i primi a essere colpiti, ma c’è di più. Il legame con la terra, il ricordo del nonno che apre il libro, ma anche quel sentimento d’ingiustizia davanti a una pessima gestione degli eventi devono aver spinto l’autore a voler approfondire, negli anni, cause e motivazioni che hanno impedito il contenimento e la cura.

Degli elementi autobiografici s’è detto, e sono forse i momenti più belli: quando i tecnicismi e le indagini lasciano spazio ai ricordi, alle descrizioni di territori quasi selvaggi che sembrano lontanissimi dalle metropoli in cui molti di noi sono cresciuti e tuttora abitano. Rielli racconta un Salento mitico ma che fa i conti con un presente di turismo e sfruttamento; in lui convivono la nostalgia per un periodo storico ormai svanito e la consapevolezza che, come tanti altri territori preda della gentrificazione, anche qui le cose stanno cambiando e non c’è modo di tornare indietro.

Il libro è anche un saggio, seguendo le parole di Pascale. Lo è nei momenti in cui ci si inabissa negli aspetti scientifici della questione, spiegati attraverso una narrazione divulgativa che non appesantisce la lettura ma anzi fornisce anche a chi non è esperto i rudimenti per comprendere l’evoluzione degli eventi. Rielli ha intervistato e interrogato tutte le parti, dai negazionisti alle élite scientifiche, e per ciascuna ha tentato – con una trasparenza notevole – di comprenderne le motivazioni. Essere partigiani è inevitabile ma, almeno per buona parte del libro, ha provato a lasciare ai lettori il compito di farsi un’idea prima che le enormi evidenze scientifiche confermassero che sì, il batterio c’era e andava estirpato attraverso delle procedure specifiche.

E dunque romanzo corale, memoir autobiografico, giornalismo d’inchiesta e quant’altro. Classificare Il fuoco invisibile non è semplice e forse neanche necessario se non per un approccio critico alla lettura. A livello di godimento, invece, non c’è quasi nulla da dire: la lettura è piacevole, interessante e in grado di coinvolgere anche chi non è stato colpito dagli abbattimenti, anche chi abita lontano da territori poco conosciuti. È l’elemento umano, il senso condiviso di ingiustizia, catastrofe e perdita che unisce i lettori da nord a sud. Rielli ha scritto un libro meraviglioso al quale è impossibile trovare una pecca.

David Valentini