Il ritorno è lontano
di Alessandra Sarchi
Bompiani, febbraio 2024
pp. 240
€ 19 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)
La stanza rimbombava ora che era vuota. Come una conchiglia, come un osso cavo. Difficile dire se a risuonare fosse il residuo di ciò che l’aveva riempita o la sua assenza. (incipit, p. 7)
Inizia con una mancanza Il ritorno è lontano, l’ultimo romanzo di Alessandra Sarchi, tra le penne più raffinate del panorama italiano, in libreria per Bompiani. È il vuoto lasciato da Nina, studentessa universitaria e attivista che è partita per completare gli studi ad Amburgo, lasciando i genitori, soprattutto la madre Sara, a fare i conti con un’assenza assordante.
Nina se n’era andata. Sarebbe tornata a Natale, forse a Pasqua e in occasione di qualche altra festa comandata, ma non viveva più lì, non ci avrebbe mai più vissuto […]. I suoi passi, i suoi respiri, le sue parole, il suo sonno, la sua fame, le sue lacrime, le sue risate e i suoi silenzi non facevano più parte della casa. Adesso erano solo suoi, di Nina. Sara avrebbe dovuto esserne felice o almeno soddisfatta, e a tratti lo era, ma a volte si sentiva come se le avessero tolto un polmone. (p. 9)
È qui, in questa mancanza, che lo sguardo dell’autrice si posa per raccontare una famiglia, le distanze, la cura, il cambiamento. Il desiderio di maternità, quando questa non sembra più possibile. Sarchi intreccia una storia stratificata e densa di riflessioni, attraversata da una pluralità di interrogativi con cui fare i propri conti: una narrazione disseminata di domande, interrogativi e spunti su questioni diverse, di cui sembra rifiutare di fornire risposte e semplificazioni. Come se risposte univoche, assolute, non fossero possibili, per questioni tanto personali e allo stesso tempo universali, complesse. Il significato di famiglia, la cura, l’emergenza ambientale, il trauma, la distanza.
[Alessandra Sarchi] Credo che compito della letteratura sia quello di addentrarsi dentro la vita e provare a descriverla, darle una forma, attraverso la lingua e la struttura, che ci permetta di percepirla nella sua prismaticità. Non c’è nessuna forma di sapere che sia dogmatico, il sapere vero è sempre percorso dal dubbio e dall’apertura a più ipotesi. Credo in una letteratura che abbia un valore conoscitivo, che allarghi la conoscenza proprio nel suo presentarsi multiforme e spesso contraddittorio. Nina spera di potere incidere con il suo attivismo ecologista, Sara vorrebbe continuare a fare la madre, Paolo con maggior pragmatismo cerca di assecondarle nei loro progetti, ma tutti commettono degli errori, proiettano nel gesto, anche in quello all’apparenza più altruistico, un bisogno di affermazione. Noi umani siamo così, mai del tutto bianchi mai del tutto neri. Poi, certo, una parte di me si rispecchia nell’idealismo di Nina, e un’altra parte nel conservatorismo di sua madre Sara, entrambe hanno intenzioni nobili, entrambe sbagliano, come accade a molti. Nel loro agire e pensare e farsi domande ho voluto riflettere l’incertezza della nostra epoca: se siamo davvero sull’orlo di una catastrofe climatica come e cosa dobbiamo salvare? Non credo ci sia una risposta unica, ma forse tante da collegare insieme in una visione certamente diversa da quella che ci ha portato fino a qui.
Nina e Sara, il loro rapporto fatto di amore incondizionato, incomprensioni, distanze, gelosia, parole e silenzi: è il centro nevralgico di questa storia, da cui si irradia tutto il resto. Una storia che è anche una riflessione sull’incontro di generazioni diverse: Nina, attivista e solida nelle sue posizioni come solo la gioventù sa essere; Sara, lacerata dalla distanza, persa in quel vuoto che la figlia ha lasciato. Due generazioni, ma il desiderio di comprendersi, di trovare un punto di contatto. Sulla questione ambientale, ma la sensazione è che Sarchi stia facendo riferimento anche ad altro.
[A.S.] Il tema del romanzo è, come già nel mio romanzo d’esordio “Violazione”, il difficile rapporto che l’umanità intrattiene con la natura. Da una parte la specie umana si è sottratta a molti vincoli biologici attraverso la tecnologia, dall’altra nel rinnegare la propria animalità si trova in un grande disequilibrio. Siamo l’unica specie che distrugge in maniera così forte il proprio habitat. Sara rappresenta la conservazione attraverso la cura materna – l’unica pratica in cui crede fino in fondo – , Nina come tutti i giovani della sua generazione non crede che questa sia più sufficiente, allo stesso tempo si rende conto che le singole azioni del suo attivismo ecologico non bastano a scuotere l’atteggiamento predatorio che abbiamo tutti assimilato nei confronti del pianeta su cui viviamo. La risposta paradossalmente le viene da Gregor, figlio di industriali del fossile, che a un certo punto le dice di avere fede. Che significa inventarsi una nuova fiducia, un nuovo patto con il vivente in tutte le sue forme. Per avere fede occorre avere una visione del mondo e del futuro che sia condivisa da molte persone; i miei personaggi sperimentano su di sé la difficoltà di trovarsi soli davanti a questi interrogativi. Quando usiamo l’espressione madre-natura non implichiamo forse che da questa madre a un certo punto vorremo staccarci come da tutte le madri è giusto fare? Allo stesso tempo dobbiamo riconoscere che è solo elaborando il rapporto con chi ci ha amato e cresciuto che possiamo ri-generarci ad altri rapporti, a nuova vita.
Sarchi sceglie di rappresentare sì la distanza e la difficoltà di comunicazione tra le due generazioni –nel rapporto tra Nina e Sara ma anche e soprattutto il desiderio di Sara di capire, di ascoltare, senza giudicare.
[A.S.] Sara è quella che lo psicanalista e pedagogo Winnicott chiamerebbe una madre sufficientemente buona, ossia interpreta il proprio ruolo al meglio delle proprie possibilità, ma non è perfetta, come nessuna madre d’altronde. Quindi ascolta, cerca di capire la figlia, le ha concesso quella libertà necessaria a essere una persona diversa e autonoma. Per molti aspetti è una figura positiva, poi commette un errore: pensare di poter salvare un bambino che forse non è salvabile, o almeno non come lei penserebbe. Anche da dove arrivi la salvezza è un mistero che tradisce le migliori intenzioni.
Il bisogno di prendersi cura di qualcuno, il desiderio di maternità, spinge infatti Sara a intraprendere la difficile strada dell’affido: Pietro è un bambino di straordinaria bellezza, segnato dal trauma. Contribuisce al ritratto di una maternità complessa, un sentimento totale ma che l’autrice descrive in modo non edulcorato. I traumi dell’abbandono, lo scostamento tra ideale e realtà: non nasconde nulla, si cala tra le pieghe più scomode. La vita, appunto, la realtà.
[A.S.] Pietro è il ‘bambino magico’ che dovrebbe riportare un equilibrio perduto, nella mente di Sara, ma che invece è solo ‘un mucchio di guai’, nella versione più prosaica di Paolo. È l’elemento indomabile, non addomesticabile, la natura nuda che richiede pazienza infinita e che potrebbe rivoltarsi contro da un momento all’altro. Ma ha una sua capacità di sopravvivere, in un certo senso si salva da solo. In lui ho voluto riporre la speranza che nonostante i molti errori che l’umanità compie possa esserci una possibilità di recuperare una sintonia con il creato. È una figura creaturale.
A sei anni Pietro ha già conosciuto molte forme di abbandono. È un bambino difficile e l’esperienza dell’affido molto diversa appunto da quello che Sara e Paolo immaginavano. Sono spiazzati dai suoi ostinati silenzi, la rabbia che cova appena sotto la superficie, i piccoli gesti brutali, la diffidenza.
Quanto impiega un dolore a essere guarito? Quante volte bisogna ripercorrere il solco scavato per suturarlo? Si fanno cose, si guarda avanti, ci si fa carico di una sofferenza diversa. Così ti insegnano, gli adulti. Ma quand’è che cessa il bisogno di ripercorrere il tragitto insensato del dolore? Sara ascoltava la punta del pennarello stridere sulla carta, riga su riga, senza un disegno, senza una forma, puro ripetersi. Un grido prolungato e muto. (p. 156)
«Erano, tutti loro, molto lontani da casa»: ma cos’è casa? che cos’è famiglia? Innumerevoli versioni, sentimenti. Emblematico, a mio avviso, anche il dettaglio tutt’altro che casuale che Sara e Paolo non si siano mai sposati in tutti quegli anni.
[A.S.] Mi ha sempre fatto riflettere il fatto che la parola ecologia, derivi da oikos che in greco significa casa. Che il discorso sull’ambiente sia concepito come un discorso sulla casa, è a parere mio accettabile solo se per casa s’intende non un possesso materiale ma un insieme di relazioni, stare all’interno di un insieme di relazioni significa riconoscere l’altro e gli altri, ammettere di dipendere da e di contribuire a, il contrario dell’individualismo sfrenato a cui siamo stati educati. I personaggi del mio romanzo si sentono lontani da casa, così come il ritorno è lontano, perché hanno abbandonato le loro poche certezze mettendosi in gioco, non sanno quale nuovo equilibrio troveranno, e se lo troveranno, ma forse la ricerca vale di per sé. Come vale di per sé oggi interrogarsi su che cosa sia una famiglia, perché di sicuro non ne esiste solo una versione, e cosa sia il prendersi cura degli altri.
Prendersi cura: degli altri, del mondo che abitiamo. Con questa storia intensa e stratificata Sarchi conduce il lettore tra le pieghe di una famiglia, nelle disuguaglianze di genere, tra incomprensioni, silenzi e distanze che sono tanto fisiche quanto emotive. Lo fa, come sempre, attraverso una lingua lirica e materica insieme, scolpita con cura artigiana. Senza cedere a risposte semplicistiche, Il ritorno è lontano è un dialogo con il lettore, attualissimo e urgente. Un piccolo romanzo-mondo, dalle molteplici chiavi di lettura, che si misura con tematiche diverse, dalla questione ambientale, i rischi dell’attivismo, le ingiustizie del patriarcato, la famiglia come sentimento, senza mai eccedere, senza diventare strabordante. Un testo che parla al nostro presente, ma che allo stesso tempo ne è svincolato.
[A.S.] Siamo sempre nudi davanti alla vita. Forse i romanzi e l’arte in generale ci restituiscono questa nudità senza farcene vergognare, permettendoci di attraversarla.
a cura di Debora Lambruschini.
Ringraziamo l'autrice, Alessandra Sarchi, per averci concesso l'intervista.