In letteratura (così come nella vita, d'altronde), parlare della fine di una storia d'amore è sempre difficile, sia perché si possono richiamare precedenti illustri, sia perché è difficile farlo senza cadere in qualche cliché narrativo ormai trito e ritrito. Quindi, Museo di un amore infranto partiva da un presupposto difficile, ovvero raccontare una rottura, argomento quotidiano e ricorrente, senza incappare in banalità stantie, e, di fatto, ci riesce. Infatti, uno dei punti forti di tale pubblicazione è sicuramente l'originalità: difficilmente incasellabile in categorie precostituite, essa si mostra al lettore in una fisionomia del tutto particolare.
Ma andiamo con ordine: di cosa parla Museo di un amore infranto? La storia che sta al centro della narrazione è quella di Veronica e Giacomo, una coppia che è giunta ormai al capolinea della loro relazione. Una sera Giacomo torna a casa e ad aspettarlo trova Veronica accompagnata da un uomo, tale Giovanni, ed entrambi sono in attesa poiché vogliono parlargli. Qui comincia un dialogo alternato, in cui i capitoli, contrassegnati dai simboli del maschile e del femminile, presentano il punto di vista di ognuna delle due parti. A inframezzare tali sezioni sono riportati le nutrite didascalie di alcuni oggetti contenuti al Museum of broken relationship (realmente esistente a Zagabria), che raccoglie reperti legati a storie d'amore ormai finite, in un ideale viaggio attraverso le sue sale. In tal modo, leggendo tali contribuiti, la fine della relazione tra Giacomo e Veronica si fa racconto multisfaccettato, ideale molteplice che non racconta solo una storia ma ne ospita potenzialmente un'infinita quantità, se non addirittura tutte. Infatti, è innegabile che a leggere le parole di Giacomo e Veronica si vedano in controluce sentimenti comuni, che in tanti hanno provato in occasioni simili: dolore, tristezza, nostalgia, rancore per qualcosa che poteva essere detto al momento giusto e invece si è rimandato troppo a lungo, fino alla rottura inevitabile.
Bonetto ha uno stile che è decisamente in grado di tenere l'attenzione sulla pagina e che riesce a enfatizzare i sentimenti dei protagonisti, facendoli esplodere nella loro forza dirompente: spesso i pensieri dei due diventano una linea verticale, che corre veloce, in una cascata di recriminazioni oppure in un vortice di disillusioni.
Altrettanto notevole, a mio parere, è il fatto che si sia scelto, mediante l'organizzazione delle sezioni sopra esposta, di proporre in maniera alternata i due punti di vista, creando, praticamente, due soliloqui. Significativamente, Giacomo e Veronica non si parlano. Ognuno espone la propria verità ma nelle pagine del libro non viene accolto un confronto costruttivo, un ultimo tentativo di mettere insieme i cocci rotti della relazione, tutt'altro. Sebbene nell'azione narrativa i fatti vengano esposti, o da uno e dall'altra, e quindi uno scambio tra i due (anzi, tra i tre) ci sarebbe, di fatto non c'è dialogo. Ognuno resta sulla propria posizione, arroccato in una torre d'avorio di recriminazioni e insoddisfazioni di vario tipo.
Ricordatevi però che, se è vero che chi trascura ha sempre torto, chi si lascia trascurare non si è reso conto di quanto abbia contribuito a lasciarsi trascurare, con gli atteggiamenti quotidiani, con l'entusiasmo che scema ad ogni iniziativa altrui, quel placcaggio continuo e implacabile delle scelte del partner, una lima scientifica che appiattisce tutto. (p. 12)
In tal senso, è chiaro che il terzo incomodo, Giovanni, non ha chissà quale importanza: del personaggio vengono dette poche cose, quelle necessarie, e anche sulla storia con Veronica non si indugia granché, lasciando anche spazio alle fantasie di Giacomo. Tutto ciò, tuttavia, non è una mancanza ma anzi è perfettamente in linea con la storia che si vuole proporre, perché capiamo fin da subito che a rendere felice Veronica forse non sia Giovanni in sé e per sé, ma più esattamente il fatto che lui non sia Giacomo.
Quella sera, dopo la gita, avrei voluto telefonarti, tale era l'eccitazione, per raccontarti quello che mi aveva reso felice di nuovo per un giorno, quasi per farti capire che poteva ancora succedere, anche senza di te. (p. 43)
Sembra che in Veronica il focus sia sempre sul marito, anche nella relazione con Giovanni, e questa scelta è estremamente interessante perché apre a tutta una serie di riflessioni sulla fine di alcune storie d'amore e sulle dinamiche che talvolta possono avere luogo.
Ma quindi, davvero ci si deve rassegnare a veder crollare ogni speranza di amore romantico in nome di una concretezza disillusa? Ogni amore finisce inevitabilmente male? Non lo sappiamo e di certo non è l'obiettivo di Museo di un amore infranto; nel libro si vuole rappresentare semplicemente la fine di un rapporto che si è consumato lentamente, anno dopo anno, scomparendo piano e lasciando spazio solo al suo ricordo. E ci riesce, bene anche.
Come già accennato in precedenza, lo stile di Bonetto è molto buono poiché gestisce abilmente la materia narrativa, accelerando e rallentando secondo necessità. Si passa da punti in cui anche la punteggiatura è stata usata o addirittura rimossa per creare un ritmo vorticoso ed esprimere in maniera efficace gli sfoghi velenosi delle due parti, ad altri in cui il dettato si fa più morbido, lento, per portare in sé un messaggio di struggente nostalgia.
Ho sempre pensato alla coppia come a un albero. All'inizio, è un unico fuscello, poi cresce per formare i due rami principali attaccati al fusto, che tenderanno ad andare in due direzioni diverse perché gli individui crescono, maturano.Ogni coppia ha due scelte: far nascere dei rami proiettati verso l'alto, trovare linguaggi, modi di stare assieme, interessi che si intersechino, oppure può continuare a far crescere i rami nella direzione opposta, aumentando per sempre una distanza che non si colmerà mai. Noi siamo cresciuti in questo modo, nessuno dei due si è sforzato di tendere verso il compagno e ora sono qui, cinica ragioniera, a rendicontare il risultato. (p. 112)