di Melissa Panarello
Ero faccia a faccia con l'attrice che quindici anni prima era stata me. Eravamo entrambe giovanissime, quando esordì nel film tratto dal secondo dei miei libri. Sui giornali, in televisione, alla radio, tutte le volte che parlavano di me dovevano per forza citare anche lei, e viceversa. Le Iene ci avevano fatto l'intervista doppia, come alcune riviste femminili e avevamo posato per servizi fotografici affini, un po' provocanti. Ci avevano anche chiesto che cosa pensassimo l'una dell'altra e avevamo sempre dato risposte vaghe. Mi innervosiva essere associata a lei perché lei era un'attrice e io una scrittrice, ed era chiaro che lei interpretava un ruolo, vai a sapere che ragazza era davvero, eppure per tutti eravamo uguali. (p. 10)
Melissa e Clara, sconosciute legate dal film che ha visto la seconda interpretare la prima, quindici anni dopo le interviste, il clamore, le cattiverie, si riconoscono in un bar di Roma. I soldi dominano il racconto di ascesa e solitudine che l'attrice concede alla donna a cui deve, idealmente, l'avvio di una carriera bruscamente precipitata. Clara racconta la storia di un successo scivolato dalle mani lasciandole in pegno debiti e dolore: adesso fa la comparsa nei programmi tv del mattino per tirar su qualcosa, ha perso tutto e la sua confessione è potente, crudele, spudorata, e spinge Melissa - che si sente in parte responsabile della sua condizione a causa del libro da cui tutto è iniziato - a fissare nuovi appuntamenti per comprenderla e aiutarla. I loro incontri si moltiplicano e le confidenze di Clara sgretolano le certezze più intime della scrittrice e l'armonia raggiunta nel tempo.
Clara T. diventò la mia urgenza, la persona di cui per alcuni mesi non seppi più fare a meno. (p. 21)
Ero sempre stata convinta che quella rotta fosse lei, lei quella bisognosa. L'abisso è stato scoprire che forse non era così. (p. 120)
Melissa Panarello ha scritto un libro diretto, spietato, che intercetta desideri e paure di una società - la nostra - che promette un successo sterile e superficiale senza mettere in guardia sulle sue controindicazioni, e che emoziona a causa dell'autentica, disperata umanità della sua protagonista. Storia dei miei soldi è un collasso personale sullo sfondo di un mondo di star usa e getta che associa la fama alla ricchezza e il valore al possesso, un sistema senza empatia in cui siamo tutti trampolini verso qualcosa che sta più in alto e le persone diventano strumenti da cui ottenere qualcosa.
Ebbi l'immagine di una bocca che si apre sulla terra e ingoia tutte le cose che vi stanno sopra. Percepivo la violenza, la ferocia che doveva aver provocato un gesto del genere e sentii che tutto questo riguardava anche Clara. Non mi aveva mai dato l'idea che stesse per suicidarsi, anche se la sua storia risuonava in me come un testamento; eppure, sentivo che c'era qualcosa di violentissimo che poteva sprigionarsi in qualsiasi momento e risucchiarla. Dovevo tenerla per i capelli, non lasciarla divorare. Mi ero cacciata nel pasticcio di chi cerca di salvare chi non vuole essere salvato. (p. 44)
L'incontro con Clara mi fece cadere in una vertigine di spavento, perché anche io come tutti temevo di vivere nella felicità e quindi nei giorni belli mi mettevo sempre a pensare alle cose storte che potevano accadere, al di fuori del mio controllo. (p. 47)
Rientravo a casa che sanguinavo e mi ripromettevo che non l'avrei più cercata. Poi però tornavo sempre da lei perché ancora volevo soffrire, ancora volevo sapere che dalla disperazione non ci si salva e che ogni cosa ci conduce lontano dal luogo in cui desideriamo stare. (p. 48)
La costruzione narrativa di Melissa Panarello - uno schema sviluppato secondo la dinamica: rivelazione specifica/riflessione che ne deriva - è efficace e avveduta e permette di scivolare con naturalezza in due esistenze unite da una ferita cicatrizzata in maniera diversa. L'ambiguità e l'intimità del rapporto tra le due donne ricordano quelle di diverse produzioni di Roman Polanski, non a caso presente come personaggio del testo (l'episodio di riferisce a quando Clara ottiene un ruolo in un suo film; la sequenza tra Clara e il regista è notevole).
In quegli anni ci hanno messo addosso quello che hanno voluto e noi li abbiamo lasciati fare. Ci hanno truccato come le bambole e trattate come delle incapaci solo perché non ci vergognavamo di stare nude. Siamo state mansuete. (p.117)
Diventa interessante comprendere la psicologia di Clara, una donna ossessionata dal suo estratto conto perché educata dall'infanzia a comprarsi l'amore degli altri (per sua madre, ad esempio, cessa di esistere quando non può più permettersi di sostenerla). Una donna che rinuncia a un figlio in quanto incapace di garantirgli un futuro economico stabile. Senza entrate, Clara sa di essere sola. In generale, lo spettro della solitudine avvolge tutte le figure - alcune scaltre, altre subdole o persino meschine - di questo racconto sui tranelli della fama e sul profondo disperato desiderio di essere amati.
L'amore regola chi sei, ma se non hai amore e non sai chi sei, vuoi solo avere. (p.25)
Sono le cose che costruiamo, e non quelle che possediamo, a contenere la memoria di ciò che siamo stati. (p. 66)
Daniele Scalese