Imprenditoria, coraggio e pazienza in “Le formidabili donne del Gran Hötel” di Ruth Kvarnström-Jones

 


Le formidabili donne del Grand Hôtel
di Ruth Kvarnström-Jones
Editrice Nord, maggio 2024

Traduzione di Francesca Toticchi

pp. 480
€ 19 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Vedi il libro su Amazon

È formidabile, a detta di chiunque. Riesce a capire quant’è grande il portafoglio di un uomo solo guardandolo negli occhi, o almeno così dicono. [...] Questa persona è proprio la persona di cui abbiamo bisogno.» (p. 17)

Oggi, quando sentiamo parlare d’imprenditoria al femminile, appare di solito un atto rivoluzionario, un’impresa non consueta; eppure agli inizi del Novecento, una donna svedese lanciò (forse per prima) il management al femminile, gestendo -tra l’altro con enorme successo- più di un albergo nel paese nordico. Questa storia di coraggio (e di tanta pazienza) è al centro di Le formidabili donne del Grand Hôtel di Ruth Kvarnström-Jones.

Agli inizi del Novecento, il Grand Hotel di Stoccolma versa in pessime condizioni, tanto che il direttivo chiama Wilhelmina Skogh, nota imprenditrice che già si occupa di altri alberghi, per risollevarne le sorti. D’altronde, la richiesta è semplice: risanare le finanze dell'albergo ormai in rovina, dandogli nuovo lustro e rendendolo un’attrattiva turistica. E solo Wilhelmina può davvero riuscire in questa impresa: nata in una famiglia poverissima, fin da giovanissima inizia a lavorare come lavapiatti, riuscendo a farsi largo in un mondo maschile, nel quale alle donne erano permesse solo posizioni subordinate e mai quelle direzionali. Quella del Grand Hotel è quindi una sfida cui Wilhelmina non può rinunciare, sebbene tutto faccia presagire un disastro: dai conti in rosso che non le permettono (almeno in linea teorica) una decente ristrutturazione fino al personale, soprattutto di genere maschile, che tenta di tutto pur di mandare all’aria i suoi piani («se gli uomini volevano sfidarla, che lo facessero pure», p. 131). E se da una parte la donna è affascinata dalla richiesta, tanto da farla diventare una sfida personale più che lavorativa, dall’altra, Wilhelmina deve fare i conti con pregiudizi e stereotipi, talmente pressanti da non riuscire a gestire il nuovo incarico. Il vecchio personale dell’hotel è ancorato a una concezione antica per cui una donna non può essere a capo di una struttura turistica né tantomeno di qualsiasi altro servizio alberghiero: «[...] adesso era arrivato il momento di dimostrare a tutti questi uomini cos’era in grado di fare questa donna» (p. 63).

Wilhelmina, dunque, come primo atto deve cercare di scardinare questi pregiudizi, così da poter svolgere il proprio lavoro. La risposta sarà semplice e verrà quasi naturale alla nuova direttrice: affidarsi alle donne. Fin dai suoi primi giorni, si circonda di un personale quasi del tutto femminile (fatta eccezione del cuoco, del maître e di pochi altri) e tra queste, una giovane donna spicca: Ottilia, già sua dipendente, che diventerà la coordinatrice dei banchetti e delle cerimonie dell’hotel, seguendo le orme così della sua guida. Quello che ruota intorno a Wilhelmina è un microcosmo, specchio di una società, nella quale era impensabile per una donna essere a capo di qualsiasi struttura, ma che all’interno dei saloni e delle stanze trova finalmente la propria voce. Intraprendenza, coraggio e tanta solidarietà sono gli ingredienti, non solo di Wilhelmina, ma di tutto il personale per vincere questa importante sfida, far risorgere dalle ceneri il Gran Hotel di Stoccolma e offrire un esempio di emancipazione.

Le formidabili donne del Gran Hôtel è una storia di rivalsa femminile che fece di questo albergo un simbolo di una lotta per i diritti perché, se all’interno il personale di Wilhelmina si muove in cerca di una rivincita personale, fuori, le donne svedesi iniziano a rivendicare i propri diritti. Il Gran Hotel, dunque, non fu solo una semplice struttura alberghiera, ma molto di più: diventò un simbolo di lotta per l’emancipazione
Ruth Kvarnaström-Jones riporta alla luce una storia passata ma dal sapore attuale, raccontandoci le sfide di una donna (e di tutto il suo personale) che non si lasciò sottostare alle regole sociali, che cercò di oltrepassare i pregiudizi, dando voce solamente al suo lavoro e al successo del Gran Hotel. Se Wilhelmina, insieme alle sue collaboratrici, è riuscita, ai primi del Novecento, a vincere una sfida così ardua, perché oggi si continua a sorprenderci se una donna apre un’impresa o riesce laddove un gruppo di uomini magari ha fallito? L’autrice, in questo romanzo corale, apre una porta sulla storia svedese che sembra molto lontana nei modi, ma che rimane legata, sia nei fatti sia nei contenuti, ai nostri tempi. 

Quella del Gran Hotel è una storia tutta al femminile che dimostra quanto possa essere complesso - ma non impossibile - far cambiare idea e quanto possano dimostrare le azioni quando le parole non sono ascoltate. Così, a fine lettura, risuona solo una domanda: «perché una donna non dovrebbe ricoprire un ruolo del genere?» (p. 49).

Giada Marzocchi