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"Maleuforia" di Deborah D'Addetta è una favola umana smaliziata e dolorosa, un romanzo d'esordio di fughe e trasformazioni

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Maleuforia
di Deborah D'Addetta
Giulio Perrrone, maggio 2024

pp. 348
€ 20 (cartaceo)

Potevo concedermelo: lì dentro, circondato - circondata - da femmine, potevo imparare a esserlo anch'io, per imitazione, emulazione, semplice contagio. (p.51) 

Tieni il demonio dentro, diceva sempre nonna Porzia. Io guardavo la mia figura allo specchio e lo cercavo, immaginavo di nascondere nell'involucro del corpo un altro me in forma di femmina. Se fissavo a lungo senza battere le palpebre riuscivo quasi a vederla emergere; lo specchio era un foglio di cartacarbone, ne sfioravo la superficie con le dita allungandomi gli occhi verso l'esterno, come una mandorlamara. La punta del naso sollevata, le labbra morse ripetutamente per lasciar combaciare la mia bocca con la sua, non riuscivo a stare del tutto immobile e allora quel mezzo centimetro di scarto, la sbavatura di contorni tra me e ciò che si nascondeva dentro di me, rivelava un calco impreciso. (p. 15)

L'esordio di Deborah D'Addetta per Giulio Perrone, Maleuforia, racconta la transizione da Raffaele a Lèmon, figlio abbandonato della Campania d'inizio anni Ottanta (quella trafitta dal terremoto) e partito alla ricerca di se stesso. Nel bordello di Donna Sofia si libererà delle fattezze da uomo imparando a essere donna, istruito e stuzzicato tra complicità e rivalità, dissidi e infatuazioni; cercherà a ogni costo di scordare chi è stato e di trovare riscatto o almeno una speranza. 

S'era presentato al vascio coi capelli sfregiati. Era 'na pena a vederlo. Teneva gli stessi vestiti della prima volta, si vedeva pari pari che erano stracci vecchi, e manco suoi. E però io aggio capito. Si chiamava Raffaele ma nun voleva essere Raffaele, lo teneva proprio scritto n'faccia. Tutte quelle comm'a lui lo tengono scritto n'faccia, si capisce da come ti guardano, da come camminano per strada che pare ci sta arrivando 'na mazzata dietri i reni. Quelle. Al bordello di Donna Sofia ce ne stava sempre qualcuna. Maschi che non volevano essere maschi. Pure Raffaele era accussì, allora chiamiamo le cose col nome loro. (p.37) 

Maleuforia è uno sfacciato, dolente romanzo sulla ricerca di sé, narrazione di formazione e trasformazione, solenne e smaliziata, un po' Supersex (Rovere, 2024) nelle sequenze erotiche, un po' Uvaspina (Acito, Bompiani 2023) nella verve e nella cazzimma, sia commedia che dramma, Via Crucis esistenziale diretta alla rinascita e guidata da un sentimento, la maleuforia, cioè «tutte quelle cose che sembrano trascinare il male e la tristezza e la nostalgia, ma che nel fondo fangoso della loro natura lasciano intravedere la grazia, l'incanto, la perfezione delle cose incompiute» (p. 345). 

Deborah D'Addetta narra con ritmo e teatralità un intreccio corposo ma mai sfilacciato, ibrido nel linguaggio (mescola italiano e gergo napoletano) e dando spazio, oltre che al personaggio principale, ai suoi compagni d'avventura, ai quali viene concessa la prima persona: ognuno di loro nell'altro trova punti d'incastro e cerca un rifugio da un mondo esterno randagio e insensibile, in cui ciò che è diverso spaventa e un po' affascina. Insieme si può essere corazza, diventare più forti, scoprire uno scopo.
Non t'affezionare troppo alla gente se vuo' fà 'stu mestiere. (p. 288)
L'autrice resiste alla seducente tentazione di fare di Napoli il cuore del racconto; la città è misterica, capricciosa cornice di una favola umana dolorosa, stratificata, metaforica. Lèmon incarna chi in se stesso non si ritrova e stravolge ogni aspetto a partire dal corpo, contenitore inadatto a rappresentare ciò che si è, perché interiorità ed esteriorità possano convivere in armonia, e che del cambiamento non mette in mostra solo il fascino ma anche il rischio; è infatti anche l'altra faccia dei percorsi di trasformazione, incarnandone le resistenze, le umiliazioni, la goffaggine, la solitudine. Va incontro al suo destino da femmina di strada come a una penitenza necessaria. Capisce che può essere donna e basta, essere umano per sé e per nessun altro, dopo essere stata zimbello, oggetto di scherno, poi di fascino o di sfogo, gioco sessuale da mille e una notte, desiderio inaccessibile. Ma se questo è necessario a capire chi si è, allora ne deve valere la pena: si va a tentativi e a volte si ha fortuna, magari può persino accadere di sentirsi un po' felici. 

Daniele Scalese