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L'incubo della perfezione è consacrazione alla solitudine in "Ultracorpi", saggio narrativo di Francesca Marzia Esposito

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Ultracorpi
di Francesca Marzia Esposito
Minimum Fax, 2024

pp. 387
€ 18 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)

Un corpo troppo grosso o troppo magro vive della stessa illusione di sentirsi al sicuro dagli attacchi esterni. Si confina. La massa crea un argine invalicabile, così come le ossa. Il corpo diventa un'isola protetta. Si vive nell'idea confusa che la chiusura serva a protezione. Lui si è sentito forte ricoperto dai muscoli, io mi sono sentita inattaccabile svuotata dalle carni. (p.17) 
L'ossessione per i corpi nutre la produzione di Francesca Marzia Esposito, che riappare in libreria dopo Corpi di ballo (Mondadori, 2019) con un folgorante saggio narrativo col piglio e i guizzi del romanzo, sviluppato in 17 capitoli frutto di spunti autobiografici e documentazioni approfondite che indagano i desideri opposti di esplosione muscolare e di sottigliezza assoluta - i corpi forti e i corpi deboli - con buona pace del body positivity. Ultracorpi brilla di aneddoti, concetti, puntualizzazioni e quesiti esistenziali, morali ed estetici - uno tra tutti, il bivio tra vita larga o lunga, ovvero tra un mood propenso all'esagerazione muscolare (e i guai che produce) e una via che comporta meno rischi e in un certo senso indirizza l'asticella verso il basso (la ragionevolezza è la vittoria accomodante del piano b, scrive l'autrice).
Che fossimo sani e belli si dava per scontato, di conseguenza bisognava coltivare un'elegante disattenzione all'aspetto esteriore. La priorità doveva essere il dentro. La priorità era creare un individuo intellettivamente brillante, con un futuro promettente. E' singolare che in una famiglia dove si è sempre data la precedenza al contenuto piuttosto che alla forma, dove l'identità maschile e e quella femminile sono state determinate da adulti che hanno usato il corpo senza preoccuparsene mai molto in termini estetici, in una casa dove il cibo è stato essenzialmente vissuto come un momento di aggregazione e di resa alle fatiche della giornata siano cresciuti da due individui che in termini opposti e speculari hanno costruito, ricercato e cesellato la stessa ossessione per il corpo perfetto. Io la magrezza, mio fratello l'enormità. Io la danza, lui il body building. (p. 14)
Scrivendo di corpi che tendono all'enormità e di altri che mirano alla scomparsa, F. M. Esposito penetra nei costrutti sociali più radicati e nelle dinamiche umane più subdole e nocive. Emerge ad esempio una differenza politica tra corpi maschili e femminili: in sostanza, F. M. Esposito afferma che ogni corpo femminile abbia un valore collettivo e non solo singolo. Se un bodybuilder gareggia per sé, una bodybuilder lo fa per l'intero movimento femminile. 
Siamo figure in quanto esiste uno sfondo e, a meno che non si perda completamente il senno, o non si finga un'artificiosa superiorità, quello che penseranno gli altri di noi ci interessa eccome. Il nostro corpo non appartiene mai solo a noi. Le nostre scelte non sono mai completamente di nostra responsabilità. La valutazione che fai personalmente di te stesso è gestita comunque da un Grande Fratello che ha cento occhi puntati su di te. Non importa poi quante pupille stiano effettivamente fissandoti, importa invece questo ipotetico rimando agli sguardi alieni ti dia la percezione che lo stiano facendo. Forse riuscirò a fregarmene di buona parte dei cristiani che circolano sul pianeta, ma all'interno della cricca nella quale vivo, piacere mi interessa eccome. (p. 74)
Ma questo aspetto non riguarda solo i cultori della forma estrema ma anche i corpi più canonicamente normali. Gli ultrauomini e le ultradonne (culturisti, ballerine, eremiti digitali) dopano l'ossessione comune di vedersi, a modo proprio, bellissimi. Nella società delle performance, la ricerca dell'eccellenza ammicca a chiunque ed è difficile sottrarsi all'attrattiva del bello uguale felice. Nel testo è però condanna duplice: all'estemporaneità (i corpi che inseguono la proporzione ideale perpetua si scontrano con la loro biologica tendenza all'imperfezione; di conseguenza, ci si affanna per produrre un solo momento che possa ripagare degli sforzi autoimposti); alla solitudine. Non importa che il corpo vada gonfiato o sgonfiato, esposto alle luci di un palco o nascosto nella penombra di una stanza appartata, perché c'è un elemento che connette tutti i proprietari dei corpi estremi: lo stare da soli. Non sembra esserci spazio per l'altro nell'esistenza di chi vive nell'incubo della perfezione.

L'esclusione sociale tocca chiaramente chi intraprende un percorso professionista da bodybuilder; che sia un mass monster o un'icona della V shape, il bodybuider dovrà sottrarsi alla maggior parte dei momenti ricreativi a causa di una dieta meticolosa che non lascia scampo a grassi in eccesso e alcolici. Ma la vita appartata riguarda non solo chi cerca una notte perfetta - possibilmente sul prestigioso, sfarzoso palco di un Mister Olympia - ma anche chi si consacra a una duratura perfezione online, possibile sulle piattaforme social e a patto che si rinunci alla vita in presenza: lo scarto tra i due piani sarebbe inevitabile e probabilmente insostenibile. Si può produrre un'immagine perfetta, da casa, e gestirla sottraendosi alla vita quotidiana. Quell'immagine, aliena, si porrà su un piano incolmabilmente distante da chi lo guarderà: sopravviverà nella rinuncia al contatto umano. 
Il concetto di rarità ha sempre molto a che fare con il ruolo del vincitore. I primi posti sono di chi detiene una condizione di rarità nello spazio - qualcosa che popola spesso la terra - e nel tempo - qualcosa che avviene e si ripropone con una frequenza molto rallentata. In poche parole: i primi devono essere difficili da trovare in giro. Non unici ma difficili da rintracciare. Pochi. Eletti. Se un elemento è raro allora non è normale. La sua mancata ricorrenza per qualità e quantità lo pone ai margini di quello che viene inteso come valore medio: cioè il normale. (p. 27)

Il fattore estetico, per trovare piena credibilità, cercherà un fedele alleato in quello etico. Esiste infatti un insidioso legame tra estetica ed etica, e il fitness ne è una prova. F. M. Esposito in merito scrive: 

Il fitness applica il culto del corpo a un livello amatoriale. Attraverso un abbonamento annuale o mensile, si frequentano corsi di gag, body work, spinning, step, aerobica, con l'idea di rimettersi in forma, di modellare il c**o piatto e trasformare la trippa in addominali. La meta è migliorare, avere un corpo più sano. Dove la parola sano deve rimare necessariamente con bello. Così starò meglio, camperò di più, sarò più appetibile, e quindi sarò più: felice? Il fitness è una sottocategoria che nasce da un bisogno estetico travestito da sogno etico. (p.184)

Dopo aver analizzato il bodybuilding - e la derivazione fitness - in tutte le sue componenti lecite e illecite (desta particolare interesse il capitolo relativo all'abuso di sostanza steroidee, proposto come intervista a un soggetto vicino all'autrice), il saggio si allarga alla danza: anche la parte relativa a questa disciplina è ricca di aneddoti e considerazioni. L'intuizione relativa al modello proposto da Roberto Bolle, che offre una tipologia di corpo adatto al pubblico generalista, è notevole. Successivamente, l'attenzione si concentra sui disturbi alimentari e sugli eremiti digitali. 

Diventa evidente come Ultracorpi si rivolga a ogni genere di lettore e non solo agli appassionati di weird - a cui questi esempi sembrano appartenere. La lettura sollecita inoltre a formulare un parallelo tra scrittura e cura ossessiva del corpo: se nella prima fase c'è qualcosa che va tirato fuori (la storia, il tessuto muscolare), nella seconda diventa necessario ripulire tutto ciò che è in eccesso (le parole, il grasso). Con un po' di fantasia, la fase di editing di un testo somiglia a quella di definizione muscolare. Bisognerà solo stabilire quale dei due processi, in alcuni casi, causi più danni.

Daniele Scalese