di Federico Riccardo
Edizioni Effetto, 2024
Solo oggi capisco la cosa più ovvia e crudele di tutte: siamo capaci di gesti di disinteressata tenerezza pochi minuti prima di farci fuori. (p. 63)
Che la trama non fosse importante, lo aveva già compreso da piccolo sbucciandosi le ginocchia. (p. 95)
Dietro Tender c'è Federico Riccardo, mente di TopsyKretts (fortunata rivista di racconti per autori affermati ed esordienti), che, dopo la raccolta Erotica liquida, prodotta col socio Simone Sciamè e pubblicata sempre da Edizioni Effetto (2023), si mette in proprio con otto ministorie più una bonus track, accompagnate dalla prefazione di Valentina Mira e dal saggio di Alberto Bergamini.
Sono in tre ma poco dopo diventano cinque. Io me ne sto, immerso di terra fino al collo. Sono quello che fa ridere. Rettifico, sono quello che vuole far ridere ma non ci riesce. Troppi film, forse. Poca spontaneità. Citazionismo da quattro soldi. Non le capiscono le battute, loro. Non mi capiscono. (p.19)
Federico Riccardo racconta le ossessioni, le dipendenze - specificatamente nel quarto racconto, il più denso, riflessivo, ipnotico -, la solitudine (con un'efficace rappresentazione del fenomeno hikikomori, difficilmente rintracciabile nella narrativa italiana). Uno scrittore che provoca dichiara i punti in cui è vulnerabile, e provocatori e vulnerabili sono i protagonisti di Tender, ognuno a modo suo incline alla sconfitta: alcuni la accettano di buon grado, altri progettano di tirarsene fuori a ogni costo. Bullizzati e bulli, paranoici e misantropi sono esasperazioni di un mondo alienante e insostenibile a cui forse stiamo tendendo. I trent'anni spaventano, i quaranta terrorizzano. Il futuro appare troppo incerto per attenderlo serenamente: Riccardo coglie questi timori facendone fobie da dare in pasto a un lettore che potrà sentirsi solidale e partecipe. Restituisce i cortocircuiti, le pose, i compromessi e i paradossi che compongono le nostre giornate.
Avevo ragione io, quindi. Non è necessario pensare a qualcosa, nella vita. Ci si può spegnere da un momento all'altro. Sono apparso tenebroso agli occhi di molte persone nel corso della mia vita. Non capivano che in realtà stavo solo dormendo a occhi aperti. Il fatto è che adesso non so proprio cosa dire, fare, pensare, accennare. Nella vita qualcosa è sempre accaduto. L'idea che invece mi sto facendo mentre mi ritrovo a casa mia, in qualche modo in ostaggio della Gatta, è quella di un immobilismo perenne. Potremmo rimanere qui tutta la vita senza accorgercene. (p. 60)
Tender s'avvicina allo stile di Chuck Palahniuk e Bim Bum Bam Ketamina di Claudia Grande, e sa misurare spietatezza, vibrazioni acide e cinismo concedendosi momenti di forte introspezione e sensibilità. E di dolcezza. Sembra quasi che il disincanto della raccolta spinga il suo stesso autore a cercare il suo opposto: la tenerezza, l'amore. In quel misto di esagerazione, provocazione, inadeguatezza, pessimismo, noia e nichilismo nasce una tensione alla tenerezza - nascosta, sottaciuta, negata, innegabile - che tiene insieme tutto in maniera un po' rude; è un'ambizione, assimilabile a una reazione, a una rivolta a un mondo deturpato. Un romantico seme di speranza.
Li vedo alle undici del mattino, seduti all'esterno del bar nella via principale del quartiere in cui abito. Un quartiere di vocazione partigiana. Se sono marito e moglie, lui consuma un bianchino e lei un cappuccino. Se sono due amici, un bianchino a testa. Parlano del programma condotto da Barbara Palombelli su Rete4, discutono del caso di cronaca presentato in trasmissione la sera precedente, senza rendersi conto che non si tratta di un romanzo a puntate di quelli in bianco e nero, ma di una notizia che il giorno dopo puzza di vecchio, esattamente come loro. (p. 33)
Andando nel dettaglio tecnico, va sottolineata la varietà dei racconti. Alcuni sono più fluidi e ritmati, altri più lenti o, al contrario, istantanei. Denso di riferimenti pop e stoccate ai media e a noti personaggi della contemporaneità televisiva, Tender ha stoffa, ispirazione. Affascina e colpisce. Provoca e stranisce. Sa farci ridere, anche tanto (anche in questo ricorda Palahniuk): è un lavoro maturo, compiuto, diretto, onesto. Ecco, se c'è qualcosa che probabilmente colpisce più di tutte, questa è la sincerità con cui l'autore sa raccontare. Non ci sono trucchi, maschere, ma solo interpretazioni letterarie di una visione del mondo disillusa ma non arrendevole, all'interno di un lavoro che oscilla tra il diritto a non prendersi troppo sul serio e improvvise, profondissime prese di coscienza.
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