Germania, aprile 1961. Elisabeth e Uli sono fratello e sorella, legati da un affetto e un amore talmente intensi che, a prima vista, potrebbero essere scambiati addirittura per una coppia. Insieme ai genitori formano una famiglia felice, macchiata però da un'ombra, la fuga del fratello Konrad nella Germania ovest, ad Amburgo, avvenuta qualche anno prima. Per Elisabeth, che crede ciecamente nei valori della DDR, un affronto quasi impossibile da digerire. Per lei Konrad non esiste più, ha scelto un'altra vita, un'altra fede, ha rinnegato lo Stato e merita l'oblio. Elisabeth e Uli sono invece inseparabili, il legame che li unisce è fatto di vita pura, di storia, di condivisione di ideali, quelli del comunismo che ha consentito loro di studiare e di realizzarsi come persone.
Uli è un ingegnere navale, Elisabeth invece è un'artista, dipinge ed è la responsabile di un circolo di pittori in un kombinat, così si chiamava nella Germania Est un insieme di fabbriche. Lo Stato, che ci tiene alla crescita culturale dei propri lavoratori, consente che nell'ambiente di lavoro ci sia modo di dare sfogo alla propria creatività. Ed Elisabeth adora questa sua occupazione che le offre l'opportunità di essere artista, di esserlo là dove il lavoro si produce e di dare modo agli operai di occuparsi del loro lato più umano. Interpreta e vive il suo lavoro come una missione e sposa totalmente gli ideali del comunismo. Ha una felice storia d'amore con Joachim, giovanissimo dirigente di fabbrica e personalità di spicco del partito. Si sente realizzata, sta al suo posto nel mondo e ama in maniera incondizionata il suo Stato.
Tutto questo però il lettore non lo scopre immediatamente, ma nei flashback che tornano a riavvolgere un nastro che si è drammaticamente spezzato fin dalla prima pagina del romanzo.
Oggi è il martedì di Pasqua; la forsythia è già sfiorita. Domani Uli sarà partito (p. 5)
In tre frasi secche, brevi, istantanee si compie la tragedia. Nei giorni precedenti Uli ha infatti confessato a Elisabeth che il mercoledì se ne sarebbe andato, partito, all'Ovest, anche lui ad Amburgo, dove lo attende un lavoro da ingegnere e una nuova vita.
Mi ero fidata ciecamente di lui, mi ero cullata nella compiaciuta convinzione di conoscere tutti o quasi tutti i suoi pensieri e le sue intenzioni - e in realtà in quel momento, l'altro ieri, non sapevo più niente di lui (p. 26).
Lo shock per Elisabeth è fortissimo, si sente annegare, non può accettare che Uli la tradisca, rinneghi il loro legame, la famiglia, lo Stato, il socialismo, la sua vita. Annichilita dal terrore di perderlo, di perdere la sua metà, Elisabeth si rivolge a Joachim perché convinca il fratello dell'assurdità delle sue intenzioni, un gesto questo che per Uli equivale a una denuncia perché Joachim rappresenta il Partito. Prende corpo da questa, che per Uli è una delazione e per Elisabeth l'ultimo disperato tentativo di trattenerlo, quel conflitto tra fratello e sorella che tanta parte ha sempre avuto nella narrativa e nel teatro di tutti i tempi e che nella secca iconicità del titolo presenta tutta la sua rilevanza.
Il romanzo parte con la discussione tra Uli e Joachim, un confronto acceso che Elisabeth ascolta in corridoio, tremante, investita dall'onda di disprezzo che l'amato fratello le riversa addosso per averlo tradito. Eppure è lei a sentirsi tradita, come fa Uli a non capirlo? Tradimento è la parola che meglio caratterizza questa prova narrativa che Brigitte Reimann, l'autrice, declina a partire dalla propria stessa storia familiare. Anche lei, tedesca della parte Est, soffrì moltissimo a causa di un fratello fuggito di là. Non si poteva lasciare liberamente il Paese in quell'aprile del 1961, il Muro, l'Antifaschistischer Schutzwall, la Barriera Antifascista, sarebbe stato eretto di lì a pochi mesi, in agosto, ma in quel momento la Germania era divisa in settori sotto influenze diverse e scappare all'Ovest non si poteva.
Secondo i nostri canoni attuali potremmo definire Fratelli un'opera di "autofiction". Non è difficile infatti scoprire in Elisabeth, che racconta tutto in prima persona, i tratti di Brigitte. Un romanzo che ha una storia particolare, immagine stessa della difficoltà di essere scrittori e scrittrici nella Germania Est di quel tempo. Fu pubblicato per la prima volta nel 1963, due anni dopo la costruzione del Muro, ma quel romanzo non è lo stesso che leggiamo oggi. Due anni fa, infatti, durante i lavori di ristrutturazione di un palazzo a Hoyerswerda, dove Reimann visse per otto anni, ben nascosto in uno sgabuzzino delle scope fu ritrovato un manoscritto. Come gli operai capirono che non erano fogli di carta straccia da destinare al cassonetto, bensì la versione vera, originale di un romanzo che era stato il simbolo della gioventù degli anni 60, pertiene alla sfera dei miracoli letterari. E così Fratelli, nella sua vera edizione, così come l'aveva pensato la scrittrice, senza i tagli operati dalla censura statale prima della pubblicazione del 1963, ha potuto vedere la luce prima in Germania e quest'anno, grazie a Neri Pozza, anche in Italia. L'autrice, morta giovanissima di cancro nel 1973, non lo potrà mai sapere così come non ebbe la possibilità di sapere che cosa ne sarebbe stato della sua Germania.
Il romanzo è saldamente incentrato sulla contrapposizione tra valori e ideali diversi e sui conflitti umani laceranti che tale divisione produceva nel consesso umano della Germania di allora. La scelta della scrittrice di lasciare a Elisabeth il compito di raccontare in prima persona queste pochissime giornate, che contengono però una vita intera, conferisce drammaticità e tensione al testo e porta il lettore a parteggiare per lei, a sperare che il fratello receda dal suo proposito (e come finisce naturalmente non lo dico) anche se razionalmente condivide il desiderio di Uli di fuggire da una cappa di oppressione mascherata da socialismo. Come il conflitto tra due mondi così diversi si riverberi nelle vicende umane e familiari sta alla base della grandezza di questo romanzo che, insieme ad altre prove narrative, tra cui spicca il romanzo Franziska Linkerhand, ha conferito a Reimann il ruolo di scrittrice simbolo della Germania divisa, insieme alla più famosa Christa Wolf, di cui era peraltro carissima amica.
Tra i vocaboli che più ricorrono nel testo c'è la parola "libertà". Tutto ruota intorno a questo desiderio imprescindibile per un essere umano. Un anelito che per Elisabeth è ampiamente soddisfatto dalla coerenza tra le sue idee e la vita che conduce, per Konrad, il fratello "traditore" è una spinta definitiva a lasciare tutto e per Uli è una tentazione. La stessa che ha già portato un ex fidanzato di Elisabeth a trasferirsi di là, non senza aver prima provato a convincere anche lei che, invece, l'ha cancellato dalla propria vita senza alcun rimpianto. Un altro traditore. Sembra quasi che il compito di mantenere la barra dritta, secondo una linea di coerenza, sia affidato a lei, donna, simbolo di continuità, mentre gli uomini, secondo Elisabeth, si lasciano incantare dalle sirene del capitalismo, immemori dello sforzo che il Paese ha fatto per nutrirli e farli studiare.
"Odi la repubblica nello stesso modo ottuso e cieco in cui si odia un creditore. Non le perdonerai mai di dovere a lei la tua formazione e il tuo lavoro. È così. Il lavoro" aggiunsi, "con cui guadagni marchi occidentali" (p. 55)
Così la protagonista si rivolge al fratello Konrad durante un drammatico incontro sfociato in lite. Elisabeth riesce invece a esprimersi e a realizzarsi sia come donna che come lavoratrice nello schema dello Stato, che consente anche, entro certi limiti, un'evoluzione in senso moderno. Lo dimostra la polemica che la vede protagonista contro un anziano pittore, il ritrattista ufficiale del ceto operaio, rimasto attaccato a vecchi schemi espressivi. Offesa come donna e come pittrice, Elisabeth troverà sostegno nei dirigenti del partito. Se però questa vicenda può essere rafforzativa delle caratteristiche del personaggio, a mio parere, si configura come una cesura troppo netta nella narrazione. Il peso (anche banalmente in numeri di pagine) assegnato a questa parte del racconto risulta eccessivo configurando un bilanciamento imperfetto dei pesi narrativi perché smorza, in un racconto diluito nel passato, la tensione del dialogo che è il punto di forza del romanzo. Raffredda la lettura e distrae il lettore. La parte più interessante di questo conflitto si ascrive al modo diverso di intendere l'arte, la rappresentazione plastica del passaggio dal realismo all'espressionismo, l'ingresso dell'essere umano nella produzione artistica non soltanto come soggetto rappresentato, copiato, ma che, grazie alle proprie emozioni e sensazioni, modifica il processo stesso dell'atto pittorico. Il ritratto non è più una fotografia, ma riflette come uno specchio le pulsazioni di chi dipinge e di chi viene dipinto.
Con uno stile asciutto, secco e scevro da qualsiasi barocchismo, moderno nella sua scarna plasticità, Reimann ci restituisce l'immagine di una gioventù lacerata, indecisa se piegarsi al bene comune o realizzarsi nella propria individualità, spezzata tra la difficoltà del lasciare il proprio mondo e i propri affetti e l'anelito alla libertà. Il tutto nel fermento di quel 1961 che, pur senza lasciar trapelare quel che sarebbe poi accaduto (la divisione dell'Europa per ben 28 anni), evidentemente ribolliva di speranze e disillusioni, di scontri e contrasti. Veloce e intenso quasi come un testo teatrale, il libro scatta la fotografia di un preciso momento storico, al contempo irripetibile nella sua unicità, ma archetipico della condizione che ancora oggi accomuna tanti giovani oppressi in vari Paesi del mondo. Vedi al capitolo Iran.
Sabrina Miglio
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