Omicidi, femminismo e l'importanza del cibo: da un caso di cronaca nera al Giappone moderno e misogino


Butter
di Asako Yuzuki
Harper Collins, aprile 2024

Traduzione di Bruno Forzan

pp. 544
€ 18,90 (cartaceo)
€ 9, 99 (e-book)


Il titolo inglese di questo corposo romanzo è Butter: a novel of Food and Murder. Già perché la stessa casa editrice ci rivela che la storia è ispirata a un fatto di cronaca nera noto come "the tonkatsu killer" (laddove il tonkatsu è la famosa cotoletta fritta di maiale) ovvero le vicende di una serial killer giapponese di nome Kanae Kijima che irretiva e seduceva uomini ricchi per poi avvelenarli con il suo cibo.
Nel romanzo questa figura viene incarnata nei panni di Manako Kajii: si trova in galera, condannata all'ergastolo per omicidio, truffa e altri reati. L'altra protagonista è Riko, una giornalista che scrive per una rivista maschile: Riko vuole assolutamente intervistare Manako, inizialmente per affrancarsi da un ambiente lavorativo misogino in cui più che come collega viene vista come segretaria, con tutti i disagi che ne conseguono.
Non deve sorprendere: il Giappone, nonostante la sua aura da Paese perfetto e progressista, è ancora fortemente sessista, specie in ambito professionale. Dunque abbiamo già una nota antropologica e sociale molto spiccata nel romanzo e nella figura di Riko (nonché in tutti i personaggi femminili della storia, anche la stessa Manako e l'amica d'infanzia Reiko).
Riko riesce a convincere Manako a intraprendere degli incontri cadenzati per raccontare la sua storia: tuttavia Manako non ha alcuna intenzione di parlare del suo passato, degli omicidi e del processo. Lei vuole solo parlare di "cose buone", di cucina. Riko, che è una donna che vive sola, di cucina sa poco e niente: mangia come capita, spesso cose confezionate o riscaldate, e non può assolutamente immaginare che il fascino bizzarro di Manako e la sua passione per il cibo avranno grande peso sulla sua vita.
E allora gli incontri tra Manako e Riko si trasformeranno in una serie di lezioni culinarie: Riko comincerà a cucinare, a mangiare burro (ecco che torna di nuovo), a ridefinire le fondamenta della sua vita affidandosi alla malia di una donna - Manako - forse disturbata, ma di fatto, sola.
La solitudine è un altro grande tema del romanzo: tutti i protagonisti, chi più chi meno, sono innegabilmente soli.
Le descrizioni del cibo (piaceranno molto ai foodies e agli amanti della cucina giapponese) sono sontuose e occupano molto spazio (forse sono un po' troppo prolisse). Non ci dimentichiamo che si tratta di un romanzo d'intrattenimento, dunque non ci dobbiamo aspettare chissà quale sfida ai massimi sistemi.
Eppure il libro si discosta dal filone di narrativa contemporanea di successo giapponese, quella dei frivoli "Finché il caffè è caldo" di Kawaguchi e così via. L'autrice prova a costruire qualcosa di più, prova a smuovere le cose.
Non vi aspettate un thriller perché non lo è: è un viaggio, in forma di dialogo tra Manako e Riko, sul cibo e il femminismo, sul modo in cui la società guarda e tratta le donne. 
Un viaggio che vede Riko mangiare e ingrassare e quindi ridefinire il modo in cui desidera stare al mondo.
Come dicevo, è un romanzo di intrattenimento, una piacevole lettura da ombrellone.

«Ma dai, questa è buonissima, è pastosa... Credo che la penuria di burro durerà ancora per un bel po'. Dicono sia perché l'estate scorsa ha continuato a far caldo più a lungo del nor-male, e molte mucche da latte hanno sofferto di mastite. Eppure quest'anno avevano aumentato d'urgenza le importazioni, prevedendo il problema. Chissà mai dov'è finito, il burro! Ma di base, sono diminuite anche le fattorie che lo producono. Forse arriverà il momento in cui dovremo dipendere del tutto dall'estero per i prodotti caseari. E comunque, per aziende piccole come la nostra è un bel problema! Mentre concordava con quanto aveva appena detto Ryösuke, Rika si ricordò di colpo di quanto a Manako Kajii piacesse il burro. Il suo blog l'aveva letto un po' a salti, ma l'unica cosa che le era rimasta impressa era che parlava a ripetizione del burro di qualità superiore. (pg. 21)

L'atto sovversivo per eccellenza, pare, che tutti rimproverano a Manako non è tanto la sua colpevolezza o meno, ma la sua forma fisica e il fatto che sia "un'ingorda": la chiamano grassa, ma Riko, la prima volta che la vede, si accorge che non lo è affatto. Non è esile, ma nemmeno grassa. Questa è certamente una metafora della condizione di svantaggio della donna giapponese, che non solo viene condannata senza prove ma anche messa alla berlina perché non è ossessionata dalle calorie e dalla magrezza. Il gesto di mettere una bella quantità di burro (vero leitmotiv e MacGuffin della narrazione) su una ciotola di riso pare indignare di più di una coltellata.

Rika prese senza difficoltà abbondanti cucchiaiate del burro avvolto nella carta argentata e ormai quasi completamente ammorbidito, e lo inserì nelle fessure della buccia. Se ne sprigionò subito un liquido dorato, che venne risucchiato a una velocità impressionante dalla massa brillante di particelle. Rika vi verso alcune gocce di salsa di soia, e mormorando a se stessa "buon appetito!" vi affondo la forchetta. La polpa calda delle patate, che aveva abbondantemente assorbito il burro, si disfò in bocca, e il vapore le arrivò fino in fondo al naso e al contatto con il palato si trasformò in una crema soffice, che si spandeva sulla lingua insieme al calore. Il burro aveva un sapore relativamente delicato, ma con una profondità di gusto e una fragranza esplosiva che le ricordavano la luce solare, come del resto tutti i prodotti caseari che aveva assaggiato a Niigata. Quando la salsa di soia compenetrò il resto, esaltò in un sol colpo la dolcezza e la consistenza delle patate, e Rika non riuscì più a smettere di affondarvi la forchetta. Si accorse di essersi fatta fuori le due patate, e quasi l'intero panetto di burro. Con la pancia ormai piena, tornò direttamente a sdraiarsi. Era orgogliosa di essere riuscita a tranquillizzarsi da sola. Fece un respiro profondo, e sentì il profumo intenso del burro avvolgerle lentamente il viso. (pg. 284)

Ho letto da qualche parte che il titolo avrebbe anche potuto essere: Butter: a novel of Food and Feminism e forse sarebbe stati più adatto, o meglio, più aderente. Mi ha un po' ricordato la figura di Julia Child (forse Julia Child se fosse stata una criminale e non solo una cuoca. O forse la figura migliore è Martha Stewart, che pure è finita in galera per truffa e imbrogli societari).

Deborah D'Addetta