p. 156
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«Io quindi sto dentro, che fosse il contrario di fuori. La verità è che non posso dirvi esattamente cosa ci manca più di tutto del "fuori". Non mi manca fare l'attività, questo no, però mi manca essere qualcuno. Ora non sono nessuno. Sono solo io e non è niente di che» (p. 103)
Come descrivere una città che vive cullata e immersa dal mare? Che come unica cura ha l'acqua salata di certe rive lontane, e la presunzione di poter vincere su tutto? Napoli è questa: immaginazione e tormento, fuorviante e consueta, genio e sregolatezza. Non esiste una sola regola per domarla, eppure per tenerla in vita non esiste altro modo per lasciarla libera. Come nell'opera di Anna Maria Ortese, Il mare non bagna Napoli, ancora oggi aleggia tra tutti un certo tipo di spaesamento dovuto non solo alla visione esteriore della città e del mondo, ma anche e soprattutto a quella interiore. La Napoli di allora era una Napoli sterminata dal dopoguerra, sradicata e allontanata dalle sue radici, e per questo lontana dall'unico posto possibile in grado di guarirla. Ma la Napoli di adesso cosa beve per rendersi invincibile?
Nel romanzo d'esordio L'amore assaje di Francesa Maria Benvenuto edito da Mondadori, ritorna un po' il concetto di isolamento, ma la storia è ambientata nel carcere minorile di Nisida, dove è detenuto Zeno, un quindicenne vissuto fin da piccolo nel quartiere Forcella e condannato per omicidio. Per la legge è ancora un bambino ma in realtà è un adulto già da molto tempo, lo è diventato a dieci anni, quando il padre è finito in prigione e la madre ha cominciato a prostituirsi per sostenere lui e la sorella, così anche Zeno ha preso a "tenersi occupato" cominciando un business di attività illegali: rapine, traffico di droga, associazioni tra clan. Finché un giorno un altro ragazzo col motorino gli è passato avanti alla fine di un vicolo di Forcella e Zeno ha capito il presagio di morte. Ecco perché Zeno è in carcere, ma non in un carcere qualsiasi, quello di Nisida, circondato dal mare che Zeno sembra odiare perché inutile e malinconico:
«Mi hanno messo a Nisida che non mi piace proprio, perchè è un'isola. Come la Sicilia, ma più piccerella e senza città sopra. Io volevo andare alla prigione di Santa Maria Capua Vedere che sta sulla strada e no sul mare, e invece mi hanno messo qui sull'isola che è isolata. Poi mi mandate al carcere di Poggioreale: precisamente il 3 agosto del 1994, e lo sapete bene pure voi Diretto'. Perchè sta scritto e le cose scritte sono le più fetenti. E a me mi fanno sto bello regalo di compleanno, quando addivento maggiore. Il mare di Nisida non serve a niente. A noi ci servono cose che servono veramente, perché se no ci dobbiamo solo ammazzare e manco è giusto. E poi non ci fate neanche bagnare dentro a 'sto mare, tenete appaura che ne scappiamo! Diretto', se leggete queste cose e trovate un posto libero a Santa Maria Capua Vetere, teniteme presente, io sono sempre disponibile» (pp. 14-15)
Zeno, a Nisida, frequenta la scuola dove c'è una professoressa di italiano che gli sta simpatica e a cui ha promesso di scrivere continue lettere con l'intento un giorno di diventare uno scrittore e in cambio dei suoi pensieri l'insegnante lo aiuterà ad ottenere un permesso per trascorrere il Natale con sua madre. Queste pagine sono proprio il risultato di quel patto: ci raccontano la storia di Zeno fino a qui: l'infanzia fuori dal carcere, le risate e i primi baci con la sua amata Natalina e la vita all'interno dell'Istituto tra amicizie, ingiustizie e solitudini, tra speranze e paure. È una nevrosi, la scrittura della Benvenuto, che è un tutt'uno con la vita di Zeno, provata dal cozzare della realtà con l'immaginazione.
Napoletana di origine, parigina di adozione, penalista, spesso chiamata a difendere i minori, l'autrice è riuscita a condensare in 150 pagine una storia difficile, illuminata da una voce che brilla con la sua franchezza: Francesca Maria Benvenuto scrive e, con la scrittura, arriva in cima alle montagne guardando il mondo dall'alto: un mondo che è così piccolo da tenerlo in una mano. Lei lo tiene e lo racconta da un punto minuscolo come la stanza asfissiante di Zeno, prende i lettori in un punto e li trasporta in un altro punto, offrendogli quel mondo. Scritto in un'affascinante commistione di italiano e dialetto napoletano, L'amore assaje mette a nudo l'anima di un ragazzino che già ha visto troppo, ma che non ha perso la voglia di sognare. Al suo debutto l'autrice, ha inventato una foce affascinante, che, con la sua originalità e franchezza, ha già conquistato gli editori in molti paesi.
E allora se in un contesto come questo nemmeno il mare non bagna più Nisida, sarebbe meglio smuoverla per re-inventarsi nuovi mondi possibili:
«...nel frattempo della pena, io Nisida la volessi spostare. Ci volesse mettere ruote sotto, comm a 'na machina. O i remi comm' a 'na barca. E poi la purtassi a vedere qualcosa in giro. Così potesse visitare il mondo, pure da qui dentro, e mi porto avanti coi viaggi. [...] Professore' la verità? Io volevo nascere viaggiatore. E visitare tutt' cos'. O comunque volevo nascere 'nu poc' più fortunato. Oppure non nascere affatto. Ma soprattutto io volevo nascere cretauro. Invece non aggio mai avuto l'onore, a me mi hanno fatto grande fino dall'inizio. [...] Questo mare pare che non serve a niente. E invece qualcosa fa. Prova pure lui a spostare Nisida: esso ci prova con le onde! Mentre noi che stiamo nella galera ci proviamo solo con gli occhi» (pp. 123-124, 145)
Serena Palmese