«Al suicidio sopravvive solo chi si uccide»: "Ho visto Vittoria volare" il romanzo d'esordio di Giuseppe De Fillipis



Ho visto Vittoria volare
di Giuseppe De Filippis
Edizioni Clichy, maggio 2024

pp. 208
€ 18,52 (cartaceo)  
€ 8,99 (eBook)

Vedi il libro su Amazon

«La mia mattina inizia col miracolo della nascita, della morte scampata, della paura intorpidita e taciuta, che non passa mai del tutto. E allora, mentre guido per andare al lavoro, mentre imbocco quel tunnel pieno di luce, mi dico: Riccardo la malattia sei tu. Potrei dirmi che il dolore sbadiglia al mattino con me è un riflesso della mia voglia di star male, che star male è pur sempre meno faticoso che sfiorare la serenità. Oppure potrei dirmi che ci ho provato, che questa vita dopotutto non mi è andata così male. La gioia della bugia, la molestia delle verità. Ho goduto di tutto e male» (p. 19)

Corpi manufatti, corpi che cadono e ne lasciano i pezzi un po' ovunque, corpi che volano e sfiorano altri corpi. Ma cos'è un corpo se non lo specchio di pensieri e sensazioni che a volte paiono veleno inacidito?
Giuseppe De Filippis, giovane scrittore napoletano, al suo romanzo d'esordio con Ho visto Vittoria volare edito da Edizioni Clichy, cerca di raccontare il lutto e l'esasperazione del vuoto, della depressione e della volontà di interrompere un flusso vitale con tecniche suicide ancora non ben definite. 

La storia prende vita da un suicidio non ben delineato a cui Riccardo, il protagonista, assiste una mattina qualunque. Quel corpo sarà per tutto il tempo del racconto il suo pensiero fisso: che differenza c'è tra un corpo che cammina e uno che cade? Come salvarsi dall'abisso? Come poter vivere, amare, crescere? Dove trovare la forza, il coraggio, i motivi per camminare e non cadere? Un periodo di immobilità emotiva e forte senso di vuoto portano Riccardo a dubitare delle poche e uniche certezze che possiede, tra cui Giada, compagna che lui stesso ha sempre desiderato, bramato e immaginato al suo fianco, proprio quella che lo convince a intraprendere un percorso di psicoterapia. È così che c'è un prima e un dopo quel salto,  un prima e un dopo quel corpo esangue a terra, nonostante Riccardo quel gesto non l'abbia mai visto, la sua mente è offuscata, svuotata, immobilizzata dalla paura di quel momento che soffoca e influenza le sue giornate in maniera assidua e dolorosa. Riccardo attraversa dei tunnel in cui vi si blocca, rifiuta sessualmente la sua ragazza, si allontana da se stesso e dal suo mondo mentre tutto vorticosamente crolla.

Mettendosi nelle mani della psicoterapeuta Maria, inizialmente una figura eterea e successivamente sempre più carnale ai suoi occhi, Riccardo apre la sua mente e il suo cuore sempre di più ma soprattutto vorrebbe che Maria facesse la stessa cosa. Il protagonista cerca di portare avanti una storia che non ha futuro, va a letto con altre donne, si consola all'ombra di una bottiglia di vino con la nuova conoscente Marina, tutto per riportarsi a una posizione originale di vita. Ma Riccardo non c'è, non ha risposte, lotta per frenare i suoi pensieri nell'incessante ricerca di volontà di resistere a Maria, di immaginarla come il suo dottore e basta, ma per fare questo decide di opporsi alle sue supposizioni mostrando tutto il suo smarrimento riguardo il trattamento. Decide di essere completamente sincero per raccontarle quei pensieri intrusivi portatrici di nuovo dolore e sconforto: la paura di avere il coraggio di uccidersi, la sua infanzia e l'attrazione sessuale verso di lei.

La conclusione inconcludente, la tempesta di dubbi, le domande irrisolte, risultano per il lettore forse l'unica fonte di esistenza, di coraggio, forza ed essenza della vita. Cosa significa camminare? Cosa significa cadere? E come si può continuare quando tutto sembra corrotto? 
Una scrittura attuale e scorrevole non sorprende il modo in cui avvolge chi sta leggendo che è anche un modo per testimoniare cosa un corpo è in grado di vivere, o meglio non vivere. Il dolore, prima dell'oblio, non è cosa da poco, è quello che l'autore racconta così dettagliatamente da percepire il corpo di Riccardo appicciato sulla pelle. Con Ho visto Vittoria volare De Filippis cerca di proporre il male oscuro del nuovo millennio, quello taciuto, imbrogliato e soffocato. La Vittoria dell'autore, non è più la Nina di De Andrè, quella che si dondolava sull'altalena, non è più la Nina de I Ministri che precipita post pandemia, è una nuova consapevolezza: una Vittoria, dal significato intrinseco già nella sua accezione, come segno di qualcosa che si lascia andare. 

«Tutti meritiamo di stare bene. È il diritto più grande che abbiamo. Non sempre ci è concesso, ma ciò non vuol dire che sarà così per sempre. Il lutto che si porta dietro non passerà. Ma lei questo già lo sa. Arriverà però il momento in cui ci penserà con meno fatica e con più dolcezza» (p. 188)

Vittoria è la piccola parte di noi tutti che precipita, ma prima di mettere radici nel cemento, vola leggera dall'alto.

Serena Palmese