Fotografia Europea 2024
La natura ama nascondersi / Nature loves to hide Reggio Emilia, 26 aprile – 9 giugno
biglietto intero € 18,00; ridotto 15,00/13,00.
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Terri Weifenbach, Cloud Physics |
La natura ama
nascondersi, titola la nuova edizione di Fotografia Europea. Nelle molte esibizioni
offerte al pubblico, tuttavia, pare invece che essa continuamente si riveli, e che sia quindi una scelta quella di
lasciarsi sorprendere e toccare. Ai Chiostri di San Pietro, da cui come ogni
anno parte la mia visita, nelle opere frammentarie di Helen Sears, ricomposte in unità dallo sguardo dello spettatore, si
suggerisce che l’atto della contemplazione e quello della comprensione
richiedono un’attivazione del soggetto.
La natura sa essere mite, o gloriosa, ma spesso invece si ribella, esibisce la
sua potenza di fronte a un’umanità attonita o inconsapevole. È quello che
capita alla famiglia di Yvonne Venegas, travolta dalle acque del Mare di
Cortez, o ancora sul delta del Gange, epicentro del cambiamento climatico dove
gli abitanti si trovano a essere «sovrani
di una terra depredata» e che il fotografo, Arko Datto, mostra impegnati in una vera e propria azione di resistenza contro un conflitto che non
sono in grado di vincere. La lotta al
cambiamento climatico non è inferiore in qualità, né in importanza,
suggerisce l’artista, rispetto a quella al terrorismo globale. E in gioco c’è
un numero di vite addirittura superiore.
Una citazione da La
Grande Cecità di Amitav Ghosh interpella chi accede alle mostre, richiamandolo
al dovere collettivo di immaginare
diversi mondi possibili.
Quando le generazioni future si volgeranno a guardare la Grande Cecità, certo
biasimeranno i leader e i politici della nostra epoca per la loro incapacità di
affrontare la crisi climatica. Ma potrebbero giudicare altrettanto colpevoli
gli artisti e gli scrittori, perché dopotutto non spetta ai politici e ai
burocrati immaginare altre possibilità.
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Matteo de Mayda, There's no calm after the storm |
Il paesaggio racconta, tratteggia
storie per chi vuole ascoltarle – diventa luogo che parla tanto del passato
quanto del presente e del futuro. Dalle valli trentine devastate dalla tempesta
Vaia alle tundre siberiane, dall’isola georgiana di Santa Caterina alle coste
sudafricane, si può adottare la prospettiva del landscaping pensata da Jo
Ractliffe: l’idea di agire
l’ambiente, farne esperienza per farsi segnare da esso così come esso è
continuamente segnato tanto dalla mano dell’uomo quanto dagli agenti
atmosferici. La natura può essere sfondo o protagonista, come si nota bene nel
lavoro di Terri Weifenbach, Cloud Physics, ma rimane sempre presenza
imprescindibile. Con essa l’uomo è costretto a confrontarsi, e prima o poi gli viene
presentato il conto. Se in taluni casi i comportamenti sono virtuosi e attenti,
studiati in un’ottica di lungimiranza, si danno anche esempi di incosciente
noncuranza (è il caso della demolizione dei community
gardens di Aubervilliers documentata da Bruno Serralongue, o dello
sfruttamento intensivo delle risorse richiesto dalla produzione di bitcoin – rivelato in una esposizione
resa ancora più disturbante da un rumore di fondo che stordisce e annienta il
pensiero). Gli effetti, preoccupanti sul breve, possono essere addirittura
catastrofici sul lungo periodo (lo mostrano i danni derivanti dallo
scioglimento del Permafrost, così
come mostrato negli scatti di Natalya Suprunova. Sospese sopra gli eventi,
testimoni silenziose e solo apparentemente indifferenti alla storia umana, le
nuvole osservano e vengono osservate, diventando qui a Reggio Emilia più volte protagoniste. Sky Album propone infatti un percorso
che esplora centocinquant’anni di fotografie del cielo, dalle difficoltà
tecniche delle origini fino al contemporaneo. Allestita in uno spazio
predisposto, in cui le pareti sono interamente coperte da pannelli “nuvolosi”,
la rassegna è un buon modo per congedarsi dai Chiostri, proponendo un immaginario che va dal materico allo
storico (con scatti di cieli solcati da bombe e aerei durante i conflitti
mondiali, o drammaticamente occupati dai funghi atomici), al metafisico.
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Index Naturae, Palazzo da Mosto |
Mai come quest’anno il festival di
Fotografia Europea ci parla, e non solo attraverso le immagini. Lo fa
attraverso citazioni, riflessioni formulate dagli autori stessi, poesie e
aforismi. Lo fa in tutte le lingue, attraverso l’Index Naturae, biblioteca
effimera realizzata a Palazzo da Mosto,
che raccoglie 116 libri fotografici a soggetto naturalistico pubblicati negli
ultimi cinque anni, e ne mostra le innumerevoli possibili declinazioni. Anche
in questo caso al visitatore è richiesto
di non stare in disparte, ma di chinarsi sui tavoli, sfogliare, leggere,
indagare, comparare. Assumere la prospettiva del ricercatore, o
dell’innamorato, nel rapportarsi alla realtà in cui vive. Le mostre raccolte in
questa sede sono tutte accomunate dalla riflessione su un’identità in divenire, che deve necessariamente accettare un processo di ridefinizione e di decentramento.
L’antropocene potrebbe lasciare spazio a forme differenti di abitazione del
globo. Tutto sta nel capire quali.
Uno dei punti di forza di FE2024 è la retrospettiva che a Palazzo Magnani viene dedicata a Susan Meiselas, fotografa della Magnum e reporter di guerra, che in
tutta la sua opera indaga le potenzialità e i limiti offerti dallo
scatto fotografico («La macchina
fotografica è un pretesto per trovarsi in luoghi a cui altrimenti non si
appartiene. Mi dà sia un punto di connessione che di separazione»). In
questo caso, il tema della natura è lambito solo tangenzialmente, o comunque
meno evidente a uno sguardo immediato. Al centro, piuttosto, il rapporto degli individui con gli spazi
che abitano, che l’artista indaga in ogni occasione, a partire dalla sua
giovinezza e traendo spunto dalle situazioni in cui si trova a vivere (come nel
caso della serie 44 Irving Street, Porch Portraits o Prince Street Girls, realizzati negli anni ‘70, nel periodo della
sua formazione). In questo senso, le serie rappresentano anche un percorso
attraverso i suoi spostamenti (Harvard, la Carolina del Sud, New York…),
un’esplorazione del maturare del suo
sguardo e della sua sensibilità. Questa appare evidente nella serie Carnival Strippers, in cui le
spogliarelliste vengono restituite al loro status di soggetto, donne in grado
di autodeterminarsi indipendentemente dallo sguardo predatorio maschile
(aspetto indagato anche in un progetto successivo,
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Susan Meiselas, Mediations |
Pandora’s box, dove la donna diviene protagonista di un gioco di
potere sadomaso di cui detiene tutto il controllo). Al centro della mostra è Mediations
(1978-1982), una metariflessione
relativa alla circolazione e all’utilizzo dei suoi scatti sulla rivoluzione
in Nicaragua nella stampa internazionale, e al significato mutevole delle immagini in base ai contesti d’uso (si
nota, evidentissima, per esempio, la predilezione mediatica per le immagini
scioccanti e sanguinose, più che per quelle che mostrano la quotidianità della
popolazione). Ben diverso da quello voyeuristico delle testate è l’intento di
Meiselas, anche nel ritrarre senza edulcorazioni il tema della violenza, sia esso ricollocato nel contesto di una
guerra civile o della vita domestica. Le foto della raccolta Archives of Abuse realizzano collage in
cui i verbali degli accertamenti sono associati ai luoghi in cui si è consumata
l’aggressione, che risultano parlanti in un modo diverso, ma non meno doloroso
o incisivo. A queste funge da contrappunto e integrazione l’ultima opera
dell’artista, A Room of Their Own,
risalente al 2015, che esplora gli spazi in cui si muovono le sopravvissute, un
dopo cui molto spesso non viene dato rilievo («Nelle mie fotografie ogni stanza, come ogni vita, è unica. L’immagine
di uno spazio è una registrazione e anche una sorta di specchio. La donna è
assente, ma presente»). L’impegno
civile rimane una costante del percorso di Meiselas, che negli anni ‘90 si
impegna anche in una ricostruzione dinamica e compartecipata della storia del Kurdistan iracheno, che muove dalle
violenze documentate a opera del regime di Saddam Hussein per scavare nelle
radici e fare luce sulle conseguenze. Questo slancio etico è del resto il trait
d’union di Fotografia Europea 2024.
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Luigi Ghirri, Zone di passaggio |
Per visitare con la dovuta
attenzione le prime tre sedi espositive, si può mettere in conto un’intera
giornata. L’ideale sarebbe quindi poter disporre di almeno due giorni per
valorizzare tutte le proposte del festival. Non meno rilevante infatti (anche
per quantità di opere esposte) risulta essere l’esibizione dedicata a Luigi Ghirri che ogni anno viene
proposta, con diverse declinazioni tematiche, a Palazzo dei Musei. Lasciata da me per ultima per pure ragioni di gusto
personale, mi sono trovata a rimpiangere la scelta di fronte a Zone di passaggio, che mi ha permesso di
scoprire un lato sconosciuto dell’artista. Gli scatti selezionati indagano
infatti quelle zone di transizione
tra il buio e la luce, la notte e il giorno. È Ghirri stesso a suggerire una
chiave interpretativa per la sua opera in un articolo del 1986:
Non mi attirano
particolarmente tutti gli attuali scenari italiani, illuminati come un set
cinematografico, dove sembra sparire tutta la magia ed il fascino della luce,
in funzione di una illuminazione che sembra consegnare la cittá ad una specie
di immobilità un po' cimiteriale […] Mi attirano maggiormente i luoghi
illuminati in maniera provvisoria, o gli spazi che vivono una loro discreta
semioscurità e che solo temporaneamente diventano luminosi in maniera
festosamente provvisoria, come l'arrivo delle luci colorate delle giostre sul
mare ed i fuochi artificiali appena dietro la bellissima piazza della cattedrale
di Trani. […] Spesso è sufficiente la luce di una fila di lampadine colorate,
per accendere di fascino particolare qualsiasi scena, anche la più modesta,
conferendovi una magia irripetibile.
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Sky Album, Chiostri di San Pietro |
Nel percorso espositivo,
che spazia dalle fotografie dello stesso Ghirri a quelle di autori che a lui si
sono ispirati, il modo in cui l’uomo usa
la luce per forzare il buio, per intercettare in lampi ciò che non può
essere catturato, viene visto come un
tentativo di imporre l’artificiale sul naturale, sul ciclo che alterna
momenti diurni e notturni, e riporta ancora una volta l’uomo al centro,
spingendoci a ragionare su come questo sia compatibile con una natura
riluttante a farsi ingabbiare, fosse anche solo nello scatto fotografico. Va
detto che nelle immagini di Ghirri, la predilezione per i chiaroscuri e per le
illuminazioni soffuse e diffuse crea panorami
hopperiani o magrittiani di grande fascino, che associati alle opere di
artisti che come lui si interrogano sulla natura del buio in rapporto alla luce
evoca ben presto pensieri più filosofici
che pragmatici (si pensi solo alle Lucciole
di Paola Di Bello, in cui sono gli insetti stressi a comunicare tramite i loro
schizzi alla Pollock, le allucinazioni create dalle 64 lampadine di Franco Guerzoni o il maestoso Temporale di Paola De Pietri).
Fotografia Europea 2024,
aperta ancora per questa settimana, propone come ogni anno un’occasione di
approfondimento non solo per gli appassionati del medium, ma anche e soprattutto per chi si interessa di geopolitica, ambiente, attualità, cui
offre – al di là di un’esperienza estetica di qualità – spunti e conoscenze che
risultano sempre arricchenti.
Carolina Pernigo
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