Sono così tanti i giovani che provano a gettarsi dall'Hotel Madridda per farla finita come massima forma di ribellione al potere che la polizia fa di tutto per evitare l'ingresso in questo casermone di dieci piani. A quale potere si ribellano? Dove ci troviamo esattamente? Sappiamo poco all'inizio di Hotel Madridda, il nuovo romanzo di Grazia Verasani: indoviniamo che la libertà è stata fortemente limitata, al punto che gli intellettuali e gli artisti sono stati tutti quanti concentrati in un unico palazzo, che sorge di fronte all'Hotel Madridda, e qui vivono nascostamente, culturalmente abbrutiti, in uno stato di gelida apatia, alla ricerca del semplice soddisfacimento dei bisogni primari («La gente impara a perdere senza opporre resistenza, e i bisogni sono sempre più elementari», p. 29). In più, chiunque può farsi spia di movimenti insoliti o pratiche proibite denunciando i propri vicini.
Lo sa bene anche Selma, una ex giornalista, protagonista del romanzo, che vive scrivendo lettere che sua sorella non leggerà mai e aspettando che un gatto randagio venga come al solito a chiederle cibo. Non può neanche accarezzare quel gatto, eppure la sua presenza rompe la solitudine assoluta di quella vita. Almeno finché non si ritrova letteralmente in casa Tino, un ragazzo in fuga dalla polizia, forse perché vuole buttarsi dall'Hotel Madridda. Benché nascondere un ricercato possa essere molto pericoloso, Selma decide di dargli una possibilità e non ci vuole molto perché anche gli altri inquilini del grande palazzo concorrano ad aiutare quel giovane sconosciuto. Tino è come una miccia: accende il desiderio di ribellione dei presenti e rianima le loro passioni per la musica, l'arte, il teatro, la scrittura e tutto ciò che apparteneva alla vita precedente degli inquilini.
Si intuisce già da queste poche righe che Grazia Verasani parte da una cornice distopica per muovere un invito poco velato al mondo degli intellettuali perché si risveglino dal torpore in cui si sono nascosti. Rinunciare al proprio ruolo sociale e culturale non è la soluzione, certo, ma cosa lo è davvero? L'estremizzazione del sacrificio dei giovani, che lasciano la propria vita per dedizione alla causa, è una soluzione in ogni caso vacua, che non cambia lo status quo. E certamente raccontare il passato di Tino o quello di Selma potrebbe essere un modo per portarci a empatizzare.
Eppure... Eppure l'indeterminatezza scelta da Verasani nel raccontare questo ambiente grigio e inospitale da cui si vede tuttalpiù un cielo ferrigno, apocalittico, non aiuta a concentrarsi sulla vicenda: un'ambientazione credibile è tutto in un romanzo distopico, perché si possa tenere ben vivo il patto col lettore. Così invece si resta spaesati per la maggior parte del romanzo, alla ricerca di risposte che non arrivano; arrivano invece l'angoscia, il disagio, la solitudine, l'apatia, una fioca speranza, un cieco desiderio di vendetta: se vogliamo, questo è un romanzo di sensazioni e di denuncia, non un romanzo di trama. E lo ammette la stessa Verasani, intervistata da Loredana Lipperini a Fahrenheit su Radio Tre, dove non risparmia particolari del romanzo, ribadendo che tanto non consistono in "spoiler". E dunque, questo - le sensazioni dei personaggi sospese in un tempo indefinito e in uno spazio a dir poco esile e scabro, difficile da immaginare - può bastare per rendere Hotel Madridda una lettura arricchente? Permangono tanti dubbi su questo romanzo. E spiace, perché la penna di Grazia Verasani è come sempre elegante e di gusto.
GMGhioni