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#PercorsiCritici - n. 59 - Se il buongiorno si vede dal mattino... un buon libro si vede dall'incipit!

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Non è forse vero che un buon libro si può riconoscere immediatamente anche dall'incipit? Non è un caso, infatti, che alcuni dei più grandi titoli della letteratura siano caratterizzati da un paragrafo iniziale passato alla storia: poche semplici righe in grado di catturare l'attenzione del lettore, comunicando già qualche dettaglio che possa funzionare da gancio ma allo stesso tempo mantenendo un'aurea di mistero tale da invogliare il lettore a proseguire la lettura. Consapevoli dell'importanza di questa parte specifica, abbiamo deciso di raccogliere in questa puntata di #PercorsiCritici alcuni dei più famosi brani di apertura della storia della letteratura, tra classici e contemporanei. Iniziamo da un'uscita fresca di stampa, A te vicino così dolce, il romanzo di Serena Bortone uscito lo scorso maggio per Rizzoli:

Subito un interrogativo compare nella mente: cosa sarà avvenuto nella vita della ragazza? Quale fatto l'avrà scossa a tal punto da tentare un gesto così estremo? Pian piano, proseguendo nella lettura, scopriremo la sua personale situazione familiare e soprattutto vedremo in che modo la protagonista riuscirà a gestire questo malessere, grazie anche e soprattutto alla sua amica Vittoria.

Sempre tra le uscite recenti, è possibile citare l'incipit di L'ultima cosa bella sulla faccia della terra, di Michael Bible, che sconvolge per l'intensità delle immagini che ci travolgono:

"Eravamo innocenti. Convinti di essere speciali. Sbronzi tutti i weekend al centro commerciale. Il mondo era nelle nostre mani. Non ci importava del tempo. L’amore era una cosa scontata. La morte aveva paura di noi. Adesso abbiamo il grigio nella barba. Il cielo è un livido viola. Il centro commerciale è morto. Siamo i vecchi che avevamo giurato di non diventare mai. Passiamo le giornate al tavolo d’angolo dello Starlight Diner a discutere i capricci della vita. La nostra Harmony è una cittadina come tante. Tale e quale alla vostra. Piena di santi e peccatori, indistinguibili."


Le prime righe esprimono già la forza dirompente della scrittura e comunicano il senso di mordente nostalgia che attanaglia il protagonista. Il rimpianto degli anni passati si mescola alla rabbia per un presente che rappresenta ciò che lui e i suoi compagni avevano giurato di non diventare mai.

Una capacità di introspezione simile, anche se di diversa natura, caratterizza uno dei libri più famosi di sempre, Il grande Gatsby, di F. S. Fitzgerald:
Nei miei anni più giovani e vulnerabili mio padre mi diede un consiglio che non ho mai smesso di considerare. «Ogni volta che ti sentirai di criticare qualcuno», mi disse, «ricordati che non tutti a questo mondo hanno avuto i tuoi stessi vantaggi».
Chi ha letto il libro sa: il narratore si troverà, proprio per questa sua caratteristica, ovvero la capacità di non giudicare il prossimo, a diventare confidente e aiutante di uno dei più grandi e misteriosi uomini del suo tempo, il famoso Gatsby, appunto. La sua capacità di sospendere il giudizio e farsi da parte lo renderà la perfetta voce narrante, l'unico in grado di stare davvero accanto a Gatsby e di ricordare ai posteri la sua storia. Ma all'inizio del libro ancora non lo sappiamo, per cui ci chiediamo: chi il narratore dovrà astenersi dal giudicare? Perché questo monito di suo padre gli torna in mente proprio ora?

Restando sui classici, continuiamo con uno dei miti della letteratura mondiale, Franz Kafka. Il suo Il processo inizia così:

"Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato."

L'incipit funziona in maniera immediata poiché, tramite quel "calunniato" viene messa subito in luce la questione centrale del libro: il senso di ingiustizia che attraversa tutto il romanzo. Il protagonista, vessato da un sistema burocratico oscuro e impietoso, si trova di fronte a una macchina più potente di lui, di cui non capisce il senso ma di cui avverte tutta la pericolosità. L'angoscia è il sentimento preponderante del libro e in tal senso queste frasi iniziali esprimono bene tale sensazione.

Non si può non parlare di incipit senza citare quelli Anna Karenina e di Orgoglio e pregiudizioNel primo caso, all'inizio del romanzo di Tolstoj si legge:

"Tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo".

Una frase lapidaria, che in poche parole sintetizza un intero pensiero complesso, capace di racchiudere uno e mille significati. Leggendo queste scarne parole il lettore è subito incuriosito, vuole saperne di più, ed è portato a chiedersi come mai l'autore scelga di iniziare il proprio libro con questa frase, che può essere definita una vera e propria massima. Effettivamente Tolstoj, con Anna Karenina, indaga il mondo dell'infelicità, individuale e familiare, scavando nel torbido dei desideri più nascosti.

La britannica Jane Austen, invece, sceglie di iniziare il suo celeberrimo Orgoglio e pregiudizio con le seguenti parole:

"È cosa nota e universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un solido patrimonio debba essere in cerca di moglie."

Con questo breve intervento, Austen ci offre già un perfetto inizio per quello che sarà l'intero libro, poiché la vicenda narrata ruota attorno ai matrimoni e alle storie delle sorelle Bennet.

Ben altra raffigurazione della figura femminile è contenuta già nell'incipit di un altro famosissimo libro, Lolita, di Vladimir Nabokov:

"Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta. Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita."

Un inizio folgorante, che già riassume in sé quell'atmosfera erotica che coinvolgerà i due protagonisti in una storia di passione tra le più conturbanti di sempre. Poche righe che riescono già da sole a inquadrare un intero romanzo.

Similmente, anche il celeberrimo Moby Dick riesce nell'impresa di comunicare nelle poche righe iniziali i prodromi di un'intera vicenda:

"Chiamatemi Ismaele. Qualche anno fa – non importa quando esattamente – avendo poco o nulla in tasca, e niente in particolare che riuscisse a interessarmi a terra, pensai di andarmene un po’ per mare, e vedere la parte equorea del mondo."

Da qui partirà la ricerca della balena bianca più famosa del mondo, una vera e propria ossessione, simbolo e metafora di tutte le ricerche.

Ci sono poi incipit che scelgono di distaccarsi dagli altri scegliendo di rivolgersi direttamente al lettore, due esempi tra tutti possono essere Se una notte d'inverno un viaggiatore, di Italo Calvino, libro che peraltro è impossibile non citare in questo percorso poiché è esso stesso un libro di incipit:

"Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo “Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla, di là c’è sempre la televisione accesa."

Di diverso tono, anche se sempre con l'utilizzo della seconda persona, è Il giovane Holden, di J. D. Salinger:

"Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com’è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne."

Chiudiamo, con un altro paio di grandi classici che ci permettono di riagganciarci a quanto dicevamo all'inizio, ovvero che un buon incipit deve essere in grado di disseminare qui e là qualche informazione, qualche indizio, per catturare l'interesse di chi legge. Ebbene, un esempio di questa abilità si trova, oltre che negli incipit prima citati, all'inizio di Cent'anni di solitudine, di Gabriel García Márquez:

"Molti anni dopo, davanti al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía avrebbe ricordato quel pomeriggio remoto in cui suo padre l’aveva portato a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di fango e canne costruite sulla riva di un fiume dalle acque diafane che si precipitavano su un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente che molte cose erano senza nome, e per menzionarle bisognava indicarle col dito."

Qui troviamo già qualche dettaglio di quel magico mondo che nelle pagine troverà piena espressione: un villaggio, un fiume, un mondo magico, Macondo.

E voi, da quale libro inizierete, è proprio il caso di dirlo, a leggere?