La scrittura, il desiderio di sperimentare, la distanza dalla bolla letteraria, il contemporaneo: in occasione del Salone del libro di Torino abbiamo dialogato con la scrittrice irlandese Naoise Dolan, a partire dal suo ultimo romanzo, La coppia felice, pubblicato in Italia da Atlantide edizioni nella traduzione di Claudia Durastanti.
Vorrei partire da una considerazione più che da una domanda vera e propria, da una cosa che come lettrice mi ha colpita molto ne La coppia felice, il tuo ultimo romanzo: la forza della tua scrittura è l'assoluta contemporaneità, la totale adesione alla visione che hai del contemporaneo. Mi chiedo come tu riesca a creare questo equilibrio fra romanzo contemporaneo e la lunga tradizione letteraria su cui si fonda.
È un'ottima domanda.
Penso che si tratti di non avere una gerarchia delle cose: posso utilizzare la forma di un romanzo tradizionale e allo stesso tempo includere altre cose che riflettono la vita odierna, ad esempio i messaggi, le to do list, eccetera. Perché tutto questo secondo me ha anche un valore letterario, nel senso che mostra qualcosa di noi. Per me è naturale quindi includere tutto ciò che voglio includere nella forma senza giudicare, senza dire questo è letterario, questo è banale, ma includere tutto e lasciare al lettore giudicare alla fine.
In questo modo magari riesco a farlo naturalmente, invece se c'è uno sforzo ovvio non funziona. Sono grata che tu abbia riconosciuto lo sforzo, ma allo stesso tempo non voglio che sia evidente a coloro che non considerano queste cose.
Si accennava alla grande tradizione letteraria su cui la tua scrittura si posa: hai avvertito questo peso? O è qualcosa che hai deciso di lasciarti alle spalle senza preoccuparti?
È una cosa strana, ma in un certo senso per me è più facile trovare ispirazione in scrittrici e scrittori molto vecchi, morti, con cui non ho così tanto in comune, proprio perché so che non sto copiando. Per scrivere i libri sulle persone su cui scrivo devo cambiare necessariamente le cose ma se leggessi soltanto i libri dei miei contemporanei, ecco, sarebbe molto più difficile tracciare un confine fra trovare ispirazione e copiare. Anche per questo mi piace leggere in altre lingue perché nel tradurlo in inglese necessariamente si cambia qualcosa. "Mi manchi", per esempio, non è la stessa cosa di "I miss you", è una traduzione non ben precisa e quindi non mi sento intimidita da queste influenze ma trovo il coraggio perché io sono diversa e di conseguenza posso fare le mie cose senza copiare.
Noto di frequente la tendenza a parlare di una "generazione di scrittrici irlandesi" in un modo che appiattisce un po' la narrazione, quando invece si tratta di testi anche molto diversi tra loro. Ti dà fastidio questa percezione all'esterno, l'accostamento ad altre scrittrici e testi con cui non hai molto in comune se non la provenienza geografica o l'età o è qualcosa invece che permette di costruire una sorta di comunità?
A volte questi accostamenti vengono fatti in modo molto superficiale, ma dipende. Dire semplicemente che scrittrici irlandesi della stessa generazione scrivano le stesse cose è riduttivo e questo significa non rispettare la scrittura e le scelte, il ruolo del cervello e delle influenze artistiche, la vita reale; allo stesso tempo è anche inevitabile che avendo simili esperienze scriviamo non necessariamente le stesse cose, ma con un punto di vista simile su queste cose. Non possiamo neanche considerarci una comunità perché non siamo molto in contatto tra noi: conosco alcune di queste persone, altre no, e nel mio caso forse è una questione geografica perché vivo a Berlino. Non voglio vivere in una bolla ed è uno dei motivi per cui ho lasciato Londra: lì era stato troppo difficile avere una vita fuori da quella professionale e da questi contatti nel mondo letterario. Invece a Berlino ho tanti amici che non fanno niente di simile a quello che faccio io, ma sono artisti, e perciò possiamo discutere insieme di temi più ampi invece di avere quasi esclusivamente discussioni letterarie alla fine un po' tediose.
Un elemento che ho riscontrato negli ultimi anni in molta letteratura in lingua inglese e che mi sembra essere particolarmente importante, è il discorso di classe: una tematica urgente, attualissima. Seppur meno presente rispetto per esempio a Tempi eccitanti, il tuo romanzo precedente, è un discorso che in parte si ritrova anche ne La coppia felice, intrecciato in questo caso alla riflessione sul patriarcato.
Credo sia una questione importante su cui riflettere, anche perché l'epoca storica nella quale sono cresciuta è stata proprio dopo la grande crisi globale: per un attimo si è creduto che sarebbe stato possibile diventare ricchi e poi tutto è cambiato, similmente a quanto accaduto anche in Italia.
E io avevo 16 anni nel 2008, quindi per me ha formato proprio non soltanto il mio punto di vista ma anche le mie scelte, il modo in cui ho considerato cosa voglio fare nella vita, cosa posso fare nella vita. Il liberalismo ha fallito, evidentemente, riflettere sulle conseguenze e affrontare il discorso di classe è senza dubbio necessario. Ecco, questo forse sì è un elemento generazionale: c'era una speranza e poi si è persa.
Siamo abituati a pensare la società con il filtro etero centrico, ma la realtà non è solo questo, non è fatta solo di eterosessualità. Il discorso di genere è affrontato in modo molto naturale nei tuoi romanzi: come si arriva a questa naturalezza nel raccontare la fluidità, quindi un mondo, una realtà non eterocentrica?
Il punto di partenza per me è sempre voler capire i personaggi e le forze che muovono e formano queste vite, ma una volta che ho cominciato a considerare tutto questo voglio anche considerarli in modo più profondo. La coppia felice è sicuramente anche un libro sulla sessualità e il genere ma non è possibile iniziare con quella intenzione perché non sarebbe naturale, non la si avvertirebbe come storia umana, e deve prima di tutto essere umana prima che specifica su un dato tema intellettuale.
Un altro nodo centrale in questa storia, dicevamo, è la riflessione sul patriarcato. Entrambi i protagonisti, Luke e Celine, sono persone ambiziose, ma è evidente purtroppo che l'ambizione non sia sempre considerata una qualità: quando è una donna ad esserlo le cose sono un po' diverse, è considerato un desiderio poco adatto e non naturale, una forma di egoismo. Mi piacerebbe riflettere intanto su questa differenza tra i due personaggi e poi ragionare sulla tua personale idea di ambizione, come venga percepita nell'ambiente letterario.
È interessante perché quando è stato pubblicato il mio secondo libro mi sono resa conto di una cosa: tutti mi chiedevano costantemente se avvertissi una certa pressione, se avessi avuto paura di non riuscire a scrivere così bene questa volta e sembrava che alcune di queste persone desiderassero che io in effetti avessi paura, volevano che sentissi questa pressione, perché sembra una cosa naturale dopo un successo. Nessuno sembrava voler sentire che io ho fiducia in me stessa e nella mia scrittura: ho fatto una cosa una volta, perché quindi non farlo di nuovo? Mi sembra molto più naturale presumere che possa scrivere un altro libro di non poter farlo. Io preferisco un mondo in cui ci aspettiamo che le donne abbiano fiducia in sé stesse, questo quindi è interessante. Ma parlando più in generale dell'ambizione come scrittrice, mi sono resa conto anche di certe cose su me stessa: ad esempio quando mi viene chiesto a che cosa sto lavorando rispondo sempre «una piccolissima cosa, non so se diventerà qualcosa». In questo modo però anche io ho queste aspettative, è una cosa che sto provando a sfidare naturalmente, è un processo, ma questo è naturale, tutto è un processo, possiamo cambiare le cose piano piano.
Dicevamo all'inizio che La coppia felice è un romanzo molto contemporaneo, nel quale utilizzi anche forme narrative diverse dalla prosa letteraria; ci sono messaggi, dialoghi puntuali, vari punti di vista. Quando hai iniziato a scriverlo avevi già ben chiara in mente che sarebbe stata questa la struttura del romanzo? Qual è stato il processo creativo ?
È cominciato con un'ambizione: mi piaceva l'idea di scrivere un romanzo in cui ci sono cinque voci narranti, non proprio cinque, ma un sacco di voci, per fare qualcosa d'altro rispetto al mio primo libro, perché la cosa facile e ovvia sarebbe stata ripetere quella che aveva avuto successo, ma questo per me è noioso; volevo trovare una forma in cui potessi includere tutte queste voci e che fosse coerente, quindi ho avuto bisogno di un evento per far unire queste voci e da qui l'idea di un matrimonio, una situazione con molto dramma potenziale. Poi ho scoperto attraverso un processo lento i personaggi, e la trama è venuta da qui: non posso cominciare con un'idea troppo rigida di trama perché non conosco ancora i personaggi e per me questo è molto più importante della trama in sé, perché non mi interessa intrinsecamente il plot, devo avere un'opinione sulle persone, quindi comincio sempre con i personaggi, più o meno con un dettaglio piccolissimo, ad esempio i guanti con Céline o, nel caso di Luke l'abitudine di parlare velocemente.
In Italia i tuoi libri sono tradotti da Claudia Durastanti che è anche una scrittrice: qual è il tuo rapporto con la traduzione, che legame si crea con i tuoi traduttori?
C'è sempre una forma di curiosità, soprattutto quando la traduttrice è Claudia, io adoro la sua scrittura, in particolare Missitalia: lei ancora più di me ha fatto una cosa coraggiosa perché sarebbe stato facile scrivere qualcosa di simile a La straniera [il suo romanzo di maggior successo, ndr]. Claudia è cresciuta ancora di più come scrittrice e trovo sempre ispirazione nel parlare con lei delle traduzioni, della lingua, della letteratura in generale. Ma non abbiamo discusso moltissimo la traduzione de La coppia felice, perché lei lavora come un' artista, ha bisogno della sua privacy, uno spazio in cui possa avere una relazione personale con il testo. È molto diverso ad esempio dalla relazione che ho con la mia traduttrice tedesca che ha un approccio un po' più direttamente collaborativo, nel senso che mi fa tante domande (e questa è una cosa tipicamente tedesca). È interessante parlare con entrambe perché tutte e due sono bravissime traduttrici ma con un modo personale e diverso di lavorare.
Intervista esclusiva a cura di Debora Lambruschini. Si ringraziano l'autrice, la casa editrice e l'ufficio stampa.
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