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«La fine del mondo come un'apocalisse biblica è solo un pensiero, la fine del mondo è sempre ricorrente». Paul Lynch al Salone del libro

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Il canto del profeta 
di Paul Lynch
66th and 2nd

Traduzione di Riccardo Duranti
1^ edizione in lingua originale: Prophet Song (2023)

pp. 288
€ 17,10 (cartaceo)
€ 12,99 (ebook)



Uno degli incontri più interessanti, tra quelli che ho seguito al Salone del libro, è stato quello di Paul Lynch e Paolo Giordano. Il tema era relativo all’ultimo libro di Lynch Il canto del profeta, definito da Giordano “un libro che non ti lascia stare per un po’, di quelli che ti colpiscono abbastanza duramente”, forse “perché evoca molte sensazioni. Questa storia così diretta, così narrata, così inevitabile e implacabile”. Sono parole che nel nostro Paese hanno un peso diverso, probabilmente alla luce di molte situazioni, “risuonano” con un peso particolare. “È anche più inquietante pensare - ha poi rimarcato Giordano - che nel momento in cui Paul Lynch ha scritto questo libro, questa fase per noi era ancora un po' in là. Oggi sentiamo quel potere un po' profetico.”

Cosa risuona al lettore di tanto familiare? Proviamo a parlare del libro anche a chi non l’avesse letto.

In una recente recensione al libro, del nostro Stefano Crivelli così si legge: 
“C'è un Paese, racconta Paul Lynch nel suo ultimo romanzo, in cui si instaura un governo autoritario e retrogrado che in poco tempo cede il passo a una vera e propria dittatura militare di stampo fascista, dove i diritti civili vengono progressivamente cancellati, dove la polizia massacra i manifestanti, dove anche solo per un sospetto scattano arresti, torture e sparizioni, dove l’apparato statale si richiude su se stesso attraverso una burocrazia ramificata e incomprensibile usata come sbarramento contro qualsiasi tentativo di trovare risposte, notizie, informazioni. Mentre la maggioranza della popolazione è succube e accondiscendente, vi è una parte sempre meno esigua che non accetta il regime apertamente criminale e organizza una resistenza armata: in breve tempo il Paese sprofonda nell’abisso della guerra civile, con scontri urbani, vittime civili e addirittura bombardamenti aerei che provocano l’esodo di centinaia di disperati che cercano di salvarsi la vita, unico bene rimasto”.

È una distopia, non c’è dubbio, ma se come avverte Giordano, in una sala affollata e anche molto calda del Salone: “Nei libri c'è sempre qualcosa che rimane addosso”, forse a rimanerci addosso è un po’ di timore, perché di eventi iniziati come governi autoritari e che cedono il posto ad altro, è ricca la storia, anche quella del nostro Paese.

Tornando all’incontro, quello che resta nel lettore, secondo Giordano è come “Paul Lynch riesce a trovare il modo di raccontarlo”. Il punto di vista è quello di Eilish, la madre di questa famiglia irlandese, che ha quattro figli: “Il libro inizia con due uomini che bussano alla porta, perché stanno cercando il marito di Eilish, Larry, che fa parte di un'unione sindacale di insegnanti. Dopo averlo interrogato, Larry scompare, come succedeva in certe dittature”. Dopo questa necessaria premessa arriva la domanda:

“Paul, ho letto in un’intervista al «Guardian», dopo aver finito The Book of Travis, che tu parli di una crisi multipla, che ha preceduto l'inizio della stesura e di una lunga falsa partenza. Ed è come se tutta la forza che arriva anche dalla frustrazione e dall'oppressione di quel momento, venisse poi scatenata in questo libro”.

Paul Lynch risponde: 

“Nel 2018 stavo scrivendo il libro sbagliato, ma cosa potevo farne? Non avevo altro da fare. È molto utile continuare a scrivere, perché a un certo punto ti trovi di fronte a un muro e lo ricordo molto chiaramente. Era un giorno d'inverno. Un irlandese mi ha detto di finire tutto e ricominciare. Così ho sentito che c'era qualcosa che stava lavorando nel subconscio, e poi ho scritto la prima pagina senza avere nessuna idea di ciò che stavo facendo. E tutto è lì, il significato del libro è stato completamente inculcato simbolicamente nei miei sensi. Ricordo che nel 2018, c'era tanto che stava succedendo nel mondo: la Brexit, Trump, la politica a sinistra.
Ricordo di aver letto Il lupo nella steppa di Hermann Hesse quando avevo trent’anni, e che una pagina di quel libro mi aveva davvero spaventato. Perché il suo più grande eroe, o anti-eroe, sta guardando la Germania nel 1927 e vede il razzismo, l'antisemitismo, la xenofobia. Quindi Hesse nel 1927 vede la Seconda Guerra Mondiale. E ricordo di aver detto a un amico che avrei voluto esserci in un tempo così. Vedere le energie che si incendiano, deve essere stato straordinario, così pensavo negli anni Novanta.
Ma quando ho letto di nuovo il libro nel 2018, ho detto, oh mio Dio, sta accadendo ora! Siamo in un momento di vita come quello, ma naturalmente nulla è nello stesso modo, ogni cosa si fa in un modo diverso. Un paio di mesi più tardi ho letto una poesia di William Hackney e improvvisamente ho capito cosa fare. Perché nell’ultima frase Eilish (la protagonista) dice qualcosa che lei crede sia vero. E quindi il libro è diventato questa dimostrazione di logica, di una logica implacabile e da questa linea di verità, viene il potere. Il libro non guarda fuori, ma fa in modo che il lettore guardi in faccia la verità”.

Quale diresti che sia, adesso che c'è già uno spazio temporale tra il 2018 e oggi, la cifra specifica di questo momento?

“In Italia la temperatura politica sta aumentando a piccoli gradi e non credo sia troppo tardi. Quello che voglio dire di questo libro è che sembra essere un romanzo politico, ma direi che non è un romanzo politico. Ci sono dei temi politici, ma ciò che c'è davvero è una sorta di prova umana inattesa, un certo tipo di benedizione verso la condizione umana. I romanzi politici cercano di cambiare il mondo, vogliono che le cose si migliorino. Ma non è sempre un'onda di benedizione questa, è un'onda di riprovazione per ciò che siamo e ciò che continuiamo a fare. E ovviamente sta succedendo ora. Ma c'è un momento alla fine del libro in cui si riesce a capire che l'idea della fine del mondo come un'apocalisse biblica è solo un pensiero, la fine del mondo è sempre ricorrente, ed è sempre un evento locale, avviene nella tua città, non alla tua porta, e ciò che è fine del mondo per te, la tua famiglia, il tuo quartiere, la tua comunità, la tua città, il tuo paese, non lo è per tutti gli altri, è un evento che guardiamo, è parte dello spettacolo; la televisione è in un angolo e vediamo lo spettacolo, che passa nella storia con l'occasione di diventare folklore o storia o leggenda. E quindi l'idea della fine del mondo è fondamentalmente questo, ciò che siamo e ciò che cambia. Abbiamo il potere di cambiare le cose? Sì, spero di sì. Il potere di cambiare non cambia nulla, lo capisco.
Il libro è un costante mescolamento, per questa famiglia, di eventi che avanzano in questa realtà che attorno si stringe sempre di più. Da un lato l'immunità, dall'altro anche quando subentra l'accettazione di quello che succede, quando quello che succede è evidente, quando la guerra arriva letteralmente nel giardino di casa di questa famiglia, anche in quel momento Eilish e tutta la comunità mantengono il contatto con le cose normali, ovvero si chiedono “chi prepara la cena stasera?”.
A un certo punto c'è questa scena in cui il padre le lancia una frase improvvisa:

"Dimmi una cosa - dice - tu ci credi nella realtà?",
"Papà, come sarebbe a dire?"
"È una semplice domanda, sei laureata, sai benissimo cosa voglio dire"

Volevo chiederti il rapporto con questo padre e il rapporto con la realtà di tutte queste persone, che forse è comunque il grosso problema del nostro rapporto con la realtà.

“È una grande domanda. La risposta è che il padre Simon gli dice: "Tu ci credi? Tu capisci la realtà?" E lui dice: "Beh, ciò che sta succedendo qui è che una volta che hai preso il controllo delle istituzioni, poi hai il controllo della realtà”. E poi inizi a cambiare i fatti, perché è quello che stanno facendo. E Simon è un personaggio interessante, perché ha la demenza e quindi guarda nel passato, e nello stesso tempo guarda fuori dal presente, e in molti modi è simbolo del mondo della democrazia che abbiamo vissuto negli ultimi anni. Anche il denaro è un valore in questo libro.
Eilish è costantemente in debito su ciò che sta succedendo, e in molti modi devi essere in debito perché cosa sta succedendo non può essere capito. Eilish vive la sua vita, è presa dalla complessità che tutti noi abbiamo nella nostra vita. La vita è complessa. La vita è così complessa che l'idea di pensare che ne potresti uscire è una menzogna. Tutti facciamo questo, guardiamo i fatti e diciamo: "Oh, avrei dovuto sapere, avrei dovuto sapere quando avrei dovuto uscirne." Non credo sia così. È una vera e propria menzogna del momento. E penso che ciò che voglio raccontare in questo libro è che tutti questi strati che fanno di noi, delle identità, devono essere chiusi, uno dopo l’altro, perché se non sei più una persona, diventi una cosa.
Le strutture sociali che abbiamo creato sono costruite verso l'ideale. Anche se non abbiamo mai avuto realmente qualcosa di ideale. L'ideale è una fantasia. E spesso credo che quello che abbiamo, è la cosa migliore che potremmo ottenere. Ma allo stesso tempo credo che troppa razionalità sia qualcosa di negativo per il cervello umano, l'imposizione di troppi strati di logica e ragione nella nostra vita quotidiana causa queste eruzioni di razionalità e le cose che ci piacciono e non ci piacciono, sappiamo che dovremmo farle, ma non le facciamo e non possiamo spiegare perché. E vedo nel mondo in questo momento l'irrazionalità si manifesta in diversi modi.
La civilizzazione resta l’ideale a cui tendere. È ciò che stiamo cercando. Invece ciò che succede è ci rivolgiamo all'istinto”.

Samantha Viva