"Aggiustare l'universo" e un'Italia che si è "rotta", nel nuovo romanzo di Raffaella Romagnolo

 




Aggiustare l’universo

di Raffaella Romagnolo
Mondadori, 2024

pp. 372
€ 19,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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Inizio dell’anno scolastico 1945-1946. La guerra è finita, e si lascia dietro i suoi strascichi di rovine – fuori e dentro i cuori della gente. Perché la maestra Gilla, ventidue anni e un nome di battesimo (Virgilia) che è già una condanna e pertanto nessuno usa, non è tornata a Genova coi suoi genitori, terminato il periodo di sfollamento? Perché non risponde alle lettere sempre più accorate, che la rivorrebbero nella casa dove è nata e cresciuta? Cosa la trattiene a Borgo di Dentro, che ormai le va irrimediabilmente stretto? E chi è quel Michele che sussurra nella sua mente e a cui lei non vuole pensare? Tante sono le domande che nascono nelle prime pagine di Aggiustare l’universo di Raffaella Romagnolo, e che solo dopo molte altre troveranno risposta.

Nel seminterrato della scuola devastata, convertita in ospedale militare e luogo di tortura dai nazisti durante l’occupazione, Gilla trova un planetario meccanico ancora parzialmente riconoscibile. Appassionata da sempre di ingranaggi, forse una deformazione ereditata dal padre orologiaio, la giovane decide di risistemarlo. Da qui il titolo del romanzo, che rivela presto però anche la sua valenza metaforica, esistenziale. Perché da riparare non c’è solo un marchingegno, ma le persone, forse l’Italia intera. E, poi, il microcosmo distrutto di una bambina. Nella classe della maestra Gilla, infatti arriva Francesca. È preparata, diligente, estremamente intelligente. Ma non parla, e quando si pronuncia il suo nome ha uno strano bagliore negli occhi. Piccoli atti apparentemente inspiegabili portano la maestra a incuriosirsi e a mettersi a indagare su di lei, cercando di svelarne il mistero. Perché Francesca in realtà non è Francesca, e la vicenda della sua famiglia ci riporta al cuore nero della seconda guerra mondiale.

Attraverso una narrazione che procede per salti temporali, Romagnolo trasporta il lettore in un passato ancora prossimo, per rivelargli il percorso di Gilla, adolescente e poi giovane donna durante il regime fascista, ma anche per fargli conoscere la famiglia Sacerdoti e la piccola Ester, travolti come tutti gli ebrei dalle leggi razziali. I diversi piani narrativi si intersecano in un continuo scarto dei punti di vista, che contribuiscono a delineare il quadro generale.

La ricostruzione storica è precisa, e mostra l’attento lavoro di ricerca fatto da Romagnolo. Al racconto lineare vengono alternate pagine differenti, che riportano elenchi, stralci di notizie o delle disposizioni del regime per la difesa della razza, o ancora lezioni immaginate sui pianeti del planetario che la maestra sta riparando, che diventano occasione per trasmettere messaggi filosofici più adatti alla riflessione di Gilla stessa (e del lettore) che alle sue allieve. Tema ricorrente è quello del tempo: a quello scientifico, oggettivo, misurato dagli orologi che Gilla conosce come le sue tasche si contrappone tanto la scansione burocratica – rigida, ma rassicurante – dell’anno scolastico, o ancora quello soggettivo, variabile, degli anni di guerra, ora eterno, ora contratto e turbinoso, in cui si consumano i destini di chi non può o non vuole stare ai margini della Storia: in particolare i Sacerdoti, intorno a cui si stringe sempre di più il cappio prima della persecuzione, poi della deportazione; e i partigiani come Gatto, o Michele, che fanno la loro rivoluzione sulle colline, dopo l’8 settembre 1943. In ogni caso, il tempo fluisce e, anche quando pare arrestarsi, è solo questione di attendere con fiducia e pazienza perché riprenda il suo corso, come la vita dopo la Liberazione.

Se il fondale è storico, il romanzo si muove però in bilico fra i generi, perché ha un’evidente dimensione di formazione: da un lato c’è infatti quella di Gilla, che scopre la sua dimensione attraverso l’amore e l’insegnamento, dall’altro quella di Francesca/Ester, che impara a fidarsi degli altri dopo che i traumi l’hanno portata a chiudersi nel silenzio, e a voler proteggere a ogni costo quel poco che le è restato (fosse anche un gattino bianco e grigio trovato in un seminterrato). Ciò che è presente in forma inaspettatamente rarefatta è invece la relazione attiva tra le due, che porta questo romanzo a differire dai molti in circolazione che ruotano intorno al mondo della scuola, presente e passata. Se infatti la maestra si attiva nell’interessamento per la sua piccola allieva, non è però solo questo a dare senso alle sue giornate (molto più utili sono i dialoghi segreti con l’amante perduto, e il lavoro di cura e restituzione riservato al meccanismo inceppato del “cosmo”, che è tale nel senso etimologico, quindi più profondo e interiore del termine). La bambina, dal canto suo, trova stimolo soprattutto nell’amicizia con una buffa, goffa compagna di banco, capace di un affetto ruvido e genuino che penetra la sua barriera difensiva.

Aggiustare l’universo è un romanzo delicato e a tratti lirico, che inserisce vicende umane e famigliari in un fondale storico drammatico. Chi lo leggerà, non dovrà sceglierlo per una trama d’azione di fatto poco presente, quanto per la sua capacità di indagare i sentimenti di protagonisti e comprimari, colti nel momento di un confronto con forze che li trascendono e rispetto alle quali si trovano inermi. Emblematiche in tal senso sono le vicende di Giosuè Sacerdoti, nonno di Ester, che ha combattuto nella prima guerra mondiale e vede ora gli equilibri del mondo cambiare drasticamente mentre sprofonda in una nuova violenza, dimentica della precedente, o quelle dello zio Raffaele, avvocato arrivista e spregiudicato, che pensa di poter dominare il proprio destino grazie a una forza di carattere che non può nulla di fronte al treno per Auschwitz. Nel romanzo si gioca continuamente sulla contrapposizione tra due tensioni di natura opposta: la necessità del soggetto di accettare ciò che non può mutare, e quella di battersi però con tutte le proprie forze nelle situazioni in cui questo può essere rilevante per la sopravvivenza, o per un superiore senso di giustizia. A tratti la rivoluzione è necessaria, sembra dirci la storia narrata, in altri casi invece bisogna darsi il tempo, e lo spazio, per poter guarire. Di questo allora, forse, è simbolo il gatto Lucifero, che non conosce il suo nome, e non sa di essere femmina, ma vive appagato un presente che continuamente si rinnova.

Carolina Pernigo