Da diversi anni ormai penso che il nome di Ron Rash dovrebbe figurare accanto a quello dei giganti della letteratura nordamericana e venir citato al pari di autori e autrici entrati nel canone. Fu una folgorazione scoprire alcuni suoi racconti grazie a un docente di letteratura angloamericana piuttosto lungimirante; quando finalmente i suoi libri hanno iniziato ad arrivare anche in Italia fu evidente la portata letteraria di una voce così "americana", tesa tra misura e lirismo, in narrazioni dove sono gli spazi e i gesti a fare la storia ben più dei dialoghi e dove ogni parola è perfettamente calibrata. A La nuova frontiera e a Tommaso Pincio (voce italiana di Rash) il plauso per aver portato i testi dello scrittore al pubblico italiano. Dopo Un piede in paradiso e La terra d'ombra, viene ora tradotto Il custode, romanzo fatto di terra. Una storia di amore e amicizia, di segreti, di cura, popolato di personaggi umanissimi e sfaccettati. Incontrare finalmente di persona Ron Rash è stato un grande privilegio.
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Alcuni anni fa intervistai lo scrittore, originario del Wisconsin, Nicholas Butler in occasione della pubblicazione italiana del suo primo romanzo, Shotgun Lovesongs. Era molto sorpreso della calorosa accoglienza che il pubblico anche fuori dagli Stati Uniti stava riservando al suo libro e lo colpiva soprattutto che fosse amato in un luogo, in una cultura, tanto diverse da quella d’origine. Ho pensato a questo mentre mi preparavo per il nostro incontro e vorrei partire da qui, chiedendoti nel tuo caso come ci si sente a sapere che le tue storie, i tuoi romanzi, sono così ben accolti anche in luoghi e culture tanto diverse da quella da cui provengono.
Oh, beh, è meraviglioso, ed è quello che, credo, uno scrittore serio si auguri possa accadere. Una delle mie scrittrici americane preferite, Eudora Welty, ha detto che la comprensione di un posto ci fa capire meglio tutti gli altri posti. Quindi mi piace l'idea che uno scrittore regionale, davvero bravo, possa essere universale allo stesso tempo. Perfino il vostro Dante in un certo senso era uno scrittore regionale, usava il dialetto ma è anche un autore assolutamente universale.
Il custode segna il tuo ritorno al romanzo dopo quasi dieci anni. La scrittura è vibrante, onesta, essenziale e lirica allo stesso tempo. Anche i dialoghi sono essenziali. Sono i gesti, più ancora delle parole a fare la storia. Come costruisci questo tipo di narrazione, questo tipo di accordo tra parole e gesti?
Questo, per me, è scrivere. È trovare, molto lentamente, le parole giuste, il ritmo giusto. E mentre mi avvicino alla fine dei miei romanzi, tutto ciò che mi interessa è il linguaggio, non mi interessa più la trama, sto solo cercando di renderlo vivido e memorabile. E in Italia ho un ottimo traduttore: Tommaso [Pincio, ndr] è un grande traduttore ed è anche un romanziere. Quindi questo fa un’enorme differenza per quanto riguarda, credo, una buona traduzione.
In Un piede in paradiso, il tuo primo libro tradotto in italiano, e La terra d’ombra, una cosa comune e molto simbolica è l'acqua: in entrambi i romanzi l’acqua sommerge tutto e tutti, anche il senso di colpa. In questo romanzo, Il custode, quell’elemento non è l'acqua, ma la terra. Perché la terra?
Hai ragione. Penso che l'acqua domini un romanzo. I quattro elementi, acqua, terra, vento, fuoco. In un certo senso volevo che in questo libro quegli elementi principali li introducessero. Ma penso che sia un libro sulla terra, in particolare per Blackburn: il senso di un posto in cui vivere, il cimitero, ma volevo anche che sembrasse vivere nel mondo. Voglio dire, quasi come essere in purgatorio o all'inferno. Blackbourn vive con i morti e in un certo senso ciò che vediamo in definitiva è il suo emergere dal vivere con i morti al vivere con i vivi. Per me è importante che nei miei libri quegli elementi come la terra e l'acqua siano vividi e intensi. E in un certo senso spero che coinvolgano il lettore.
Puoi dirmi qualcosa su Blackburn come narratore di questa storia? Perché hai scelto proprio la sua voce? Da lettrice posso dirti che secondo me è stata davvero un'ottima scelta.
È emerso quando ho iniziato a scrivere il libro, non era un personaggio. Conoscevo la storia, il tipo di storia alla Romeo e Giulietta, ma non sapevo di lui, di Blackbourn. È stato lui a venire da me. Ho avuto la sensazione che lui fosse il personaggio più interessante e quello con cui volevo andare più a fondo perché penso che a volte le persone più consapevoli sono le persone estranee perché sono costantemente consci di come gli altri li vedono. Ma mi piace anche pensare che Blackbourn incarni quasi tutti i tratti positivi che gli esseri umani possono avere. Naturalmente voglio che sia un essere umano, non un personaggio stereotipato, desidero che sembri reale, ma penso che soprattutto ora, nella situazione in cui si trova il mondo, dobbiamo ricordarci che esistono anche le brave persone.
Sei autore di romanzi, ma anche poeta e scrittore di racconti, una forma che amo molto. Come scegli una forma o un'altra, soprattutto romanzi o racconti, e come scrivi? Quali sono differenze nelle tue idee e nel processo creativo?
Sì, è come una frequenza radio diversa. E quando mi concentro sulla poesia, è tutta una questione di suono. I racconti sono un po' a metà, mentre i romanzi sono davvero più consapevoli, direi. Anche se a volte mi sorprendono. Tutto quello che scrivo inizia con un'immagine, una singola immagine. Ne Il custode era l'immagine di una donna inginocchiata davanti alla sua tomba, di notte, e questo era tutto ciò che avevo.
È stupefacente.
Sì, ma in realtà quando la gente me lo chiede, non mi sento come se Michelangelo, di certo non un artista di quel livello. Eppure quando Michelangelo vedeva il blocco di marmo capiva che al suo interno c'era la statua completata, doveva solo trovarla. È in questo senso che quando scrivo romanzi non so dove vanno a parare. Devo continuare a cercare e alla fine la scultura inizia a rivelarsi. Si accennava ai racconti poco fa, una forma cui ti dedichi.
Quale ti sembra sia lo stato del racconto negli Stati Uniti, come sono accolti dal pubblico?
In America penso che i racconti siano accolti meglio, vendono di più, ricevono più attenzione rispetto per esempio a quanto accade in Europa. Ma i miei romanzi ricevono più attenzione dei miei racconti. E in Italia come sai sono stati tradotti finora solo i miei romanzi. Una mia raccolta di poesie è appena stata tradotta in francese, la scorsa settimana ed è la prima volta che i miei versi vengono tradotti in un'altra lingua.
Il rapporto con l'ambiente naturale è uno dei cardini delle tue narrazioni. Credo che questo aspetto e un certo modo in cui diviene ben più di semplice ambientazione sia una cosa americana. È molto di più che setting della storia.
Penso che molto spesso il paesaggio possa rappresentare il destino. E penso che nei miei libri, in particolare in Un piede in paradiso e La terra d’ombra è come se il paesaggio stesse soffocando i protagonisti. In questo libro invece credo che sia diverso, ma c'è sempre il senso della montagna. C’è ma più aperto. Eppure, allo stesso tempo, una cosa che voglio che il mio lettore faccia è sentirsi davvero come se fosse in quel preciso posto. E penso che un modo per farlo sia dare il senso del luogo il più intensamente possibile. Gli odori, ciò che vedi visivamente e anche oltre, proprio la reale sensazione di trovarti in quel mondo.
/ Intervista esclusiva a cura di Debora Lambruschini. Ringraziamo l'autore, la casa editrice e l'ufficio stampa.
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