Storia d’amore e di amicizia e racconto di una sanguinosa anarchia: l'intenso e magnifico “La città che non c’è” di Yu Hua


La città che non c’è 
di Yu Hua
Feltrinelli, 7 maggio 2024

Traduzione di Silvia Pozzi

pp. 384
€ 22,00 (cartaceo)
€ 11,99 (eBook)

Yu Hua, una delle voci più interessanti e celebri della letteratura cinese contemporanea, torna in Italia con un nuovo romanzo, intenso e magnetico, che tocca punte di estrema delicatezza quanto di crudezza e violenza. La narrazione della ricerca di una donna disperatamente amata  sparita nel nulla si intreccia con gli eventi che scuotono la Cina tra la fine della dinastia Ching nel 1911-1912 e la nascita della Repubblica popolare nel 1927. L’ambientazione del romanzo contempla, dunque, un periodo di gravi disordini, di rivolte e di scontri. La città che non c’è è un libro che va dritto al cuore del lettore nei suoi due estremi: inizia quasi come un fiaba, delicato, gentile e poi ti trascina di prepotenza nel sangue, nella crudeltà, nel degrado che toglie all’umanità il suo volto. Yu Hua con questo libro ha dipinto un mazzo di fiori delicati buttati nella polvere mischiata al sangue. Non riesco a trovare un’immagine che renda al meglio quello che ho provato immergendomi e perdendomi nella storia magistralmente raccontata nel libro.

Portato a termine durante il lockdown da Covid-19, come lo stesso scrittore ha più volte ribadito nelle recenti interviste, l’opera in realtà era nel cassetto da oltre vent’anni. Con i precedenti  romanzi Vivere!, Brothers, Il settimo giorno (Qui la recensione) Yu Hua completa una sorta di tetralogia ideale della storia della Cina, in cui si è guardato bene dal trattare temi politicamente più attuali e sensibili. 

A Xizhen viveva un uomo che possedeva delle tenute a Centofiumi, oltre mille mu di terra fertile solcati da corsi d’acqua che si snodavano come radici lussureggianti. Riso, grano, mais, patate dolci, cotone, colza, canneti, bambù, prati, alberi si alternavano come l’alba e il tramonto in un incessante tripudio, quattro stagioni su quattro, trecentosessantacinque giorni all’anno. La sua falegnameria era molto nota in zona. Produceva di tutto: letti, tavoli, sedie, sgabelli, armadi, bauli, consolle, mastelli e assi del gabinetto. In ogni casa nel raggio di cento li si trovavano le sue creazioni. Costruiva persino i palanchini delle spose e le casse da morto che al ritmo dei suona sfilavano dondolando per le strade. Da Xizhen a Shendian, per acqua e per terra, tutti conoscevano Lin Xiangfu. Era risaputo che fosse un uomo ricco, ma il suo passato rimaneva avvolto nel mistero.

Con questo inizio quasi fiabesco, dove uno dei personaggi più importanti del romanzo, Lin Xiangfu, la cui laboriosità e abilità artigianale precedono il suo stesso nome, Yu Hua ci introduce sin da subito nelle atmosfere di una Cina un tempo molto variegata nel paesaggio, lontanissima dall’urbanizzazione moderna e dalla tecnologia, dove ogni cosa, dalle scarpe ai vestiti e agli utensili era prodotto in casa, manualmente. Lin Xiangfu, giovane prestante, ricco e instancabile lavoratore era arrivato da Shendian a Xizhen, nel Sud, nel bel mezzo di una forte nevicata, con una bambina di pochi giorni tra le braccia:

Tutte le donne che all’epoca allattavano avevano avuto a che fare con lui e tutte conservavano il ricordo del giovane Lin Xiangfu che appariva sulla porta quando i loro figli piangevano per la fame. Bussava con le unghie: un ticchettio, silenzio, un altro ticchettio. Entrava stremato e tendeva la mano destra con una moneta di rame sul palmo. “Vi prego, date un po’ di latte alla mia bambina,” diceva con voce roca e due occhi tristi indimenticabili. Aveva le labbra screpolate come bucce di patata e i segni rosso scuro dei geloni sulle mani. Se ne stava impalato con l’aria assente in mezzo alla stanza, come se fosse altrove. Davanti a una tazza d’acqua calda, tornava in sé e rivolgeva uno sguardo grato.

E da questa breve presentazione del giovane parte un lungo flashback che ci farà conoscere la bella forestiera Xiaomei, giunta nel villaggio di Lin Xiangfu, con un altro giovane, un certo Qiang, che dirà di essere fratello di lei. Per i motivi che saranno chiariti al lettore nella seconda parte del romanzo, Qiang si allontana, lasciando Xiaomei con il padrone di casa, per cercare nella capitale un fatidico zio che avrebbe dovuto aiutarli. In realtà il giovane sparisce e la sorella rimane nella casa di Lin Xiangfu per diverso tempo, provvedendo alle faccende domestiche, compresa la tessitura all’antico telaio della madre di lui. L’uomo era rimasto subito colpito della bellezza e dalla freschezza della giovane, ma non aveva osato fare nessun passo verso Xiaomei, tuttavia quella convivenza li fa diventare amanti e poi marito e moglie. 

Un giorno, senza avvisare Lin Xiangfu, la ragazza sparisce portando con sé una parte dei soldi che lui aveva messo da parte in anni di duro lavoro e che le aveva mostrato qualche giorno prima. Xiaomei diversi mesi dopo torna da lui, ma incinta. Passati i primi giorni di diffidenza e rancore verso di lei, Lin Xiangfu torna a essere il marito affettuoso di prima, ma per essere abbandonato di nuovo subito dopo, stavolta insieme a sua figlia. Neppure il tempo di darle un nome che Xiaomei si volatilizza, lasciando disperato lui, senza una madre la neonata. In tutto quel tempo, il presunto fratello di lei, Qiang, non ha dato più tracce di sé e né Xiaomei ha rivelato dove si fosse recata quando ha scoperto di essere incinta. 

Il lettore rimane pieno di dubbi e sospetti per una buona parte della storia, nonostante tutti gli altri avvenimenti e personaggi che domineranno il libro, facendolo deviare dallo snodo iniziale. La parte centrale del romanzo è dedicata a Lin Xiangfu nella ricerca disperata di una città, Wencheng, che nella realtà non esiste, poiché si tratta di un nome inventato da Xiaomei e da Qiang quando si erano presentati da lui. 

Più di una volta, aveva chiesto alla gente: “Questa è Wencheng?”. “Qui siamo a Xizhen,” gli rispondevano puntualmente. “Dove si trova Wencheng?” In risposta, riceveva sguardi perplessi e scrollate di testa. Lì, nessuno conosceva Wencheng. Dopo avere attraversato il Fiume Azzurro, mentre girava per paesi e città in cerca di Xiaomei, aveva incontrato gli stessi sguardi perplessi e le stesse scrollate di testa. Nessuno conosceva Wencheng. A Xizhen Lin Xiangfu, smarrito in mezzo alla strada, fu sopraffatto da un senso di sconfitta.

Nel suo girovagare di casa in casa per assicurare una poppata alla bambina dietro compenso, si imbatterà nell’umile famiglia di «Chen Yongliang, che aveva avuto il secondo figlio tre mesi prima. Furono i vagiti del neonato ad attirare Lin Xiangfu a casa sua». Da questo incontro si apre una nuova fase nella vita del protagonista, che si intreccia con quella dei suoi nuovi amici e degli abitanti del villaggio di Xizhen. La piccola, chiamata poi Lin Baijia ovvero «Lin delle Centofamiglie, perché ha succhiato il latte da chiunque» crescerà insieme ai figli di Chen Yongliang e considererà Li Meilian, la moglie, una vera e propria madre. Ma che fine avrà fatto la sua vera madre, quella che l’ha messa al mondo? Il lettore scoprirà l’intera storia leggendo tutto il libro, perché l’ultima parte riprende la storia di Xiaomei, l’antefatto prima dell’incontro col giovane Lin Xiangfu fino a un intenso esito finale, magnifico e emozionante come tutto il libro. 

Prima del capitolo che sigilla l’intera vicenda chiudendola ad anello, il libro presenta delle pagine di storia difficili da leggere per crudeltà e violenza, tanto che diversi traduttori stranieri hanno ammesso di aver avuto davvero molte difficoltà nell’affrontarle. Si tratta di uno stacco che per me è stato scioccante, non si direbbe che appartengano allo stesso romanzo, che all’inizio, come già detto, si apre quasi come una fiaba. Sono pagine però anche interessanti per la storia del costume e delle tradizioni della Cina di più di un secolo fa: le promesse di matrimonio fatte dai genitori quando i futuri sposi sono ancora bambini, la pratica del sensale di matrimonio, le diverse modalità (orribili!) di tortura inflitte dai briganti, lo spirito di lealtà e generosità spinti a livelli estremi. 

I personaggi sono vividi e palpitanti tutti e conquistano chi legge la storia. Come non amare Lin Xiangfu e non struggersi per le vicende che capiteranno a lui e alla famiglia di Chen Yongliang? Come non rimanere affascinati dalla bellezza e dalla complessità del personaggio di Xiaomei? Per la prima volta Yu Hua si trova ad analizzare fin nel profondo il prismatico animo femminile fatto di delicate contraddizioni, intime lacerazioni, vanità, spontaneità e forza. Le donne sono l’elemento forte della storia: Lin Baijia, Li Meilian, Xiaomei e sua suocera. Non è possibile raccontare più di quanto si è scritto, si tratterebbe di fare importanti rivelazioni che lascio al lettore il piacere di scoprire, anche perché la storia della più importante eroina del romanzo, Xiaomei cioè, viene raccontata nell’ultima parte del libro in modo che chi legge riuscirà a comporre un affascinante mosaico. Lo sfondo storico è quello della lotta tra partito comunista e partito nazionalista, che non verranno però mai nominati dallo scrittore. Quegli anni sono stati fondamentali per la costruzione della Cina di oggi, sono stati anarchici, violenti, forieri di disordini sociali. 

Con una penna versatile che sa ammaliare ed emozionare senza strizzare l’occhio a descrizioni superflue e a excursus inutili, Yu Hua ha saputo unire in un libro equilibrio narrativo, personaggi credibili e vivi, storie di lealtà e generosità e storie di inaudita spietatezza. 

“In tempi difficili come questi, se sei un contadino, vieni razziato dai briganti,” disse il Bonzo, “e se sei un brigante, non puoi fare a meno di compiere razzie per sopravvivere.” “Di questi tempi, non è una vergogna essere briganti,” replicò Chen Yongliang, “ma anche un brigante deve avere un cuore.”

Marianna Inserra