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Nella tempesta di un amore fatale: "La sposa del vento" di Scilla Bonfiglioli

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La sposa del vento
di Scilla Bonfiglioli
Fazi Editore, 2024

pp. 336
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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Storia dell'affascinante Vienna di inizio Novecento, dei demoni che tormentano un artista, di una perturbante donna-Musa, di un amore totalizzante e morboso: tutto questo è La sposa del vento di Scilla Bonfiglioli.

Al centro della tela si trovano loro: Oscar Kokoschka e Alma Mahler, vedova del compositore e poi moglie di Walter Gropius e amante di Gustav Klimt. Il titolo del romanzo ricalca quello del celebre dipinto del 1914 che ritrae i due amanti in una sorta di letto di nuvole, avvolti dalla tempesta; il dipinto ritrae il turbine di passioni che tiene immobile con gli occhi sbarrati Oscar Kokoschka, devastato dagli effetti di questo amore totalizzante. Mentre Alma dorme serena, appoggiata a lui, abbandonandosi fiduciosa alla tempesta che non la turba. Con l'immediatezza delle visioni il dipinto mostra l'asimmetria del rapporto tra Alma e Oscar che è il nucleo narrativo più interessante del romanzo di Bonfiglioli:

La donna che veniva loro incontro sulla soglia dell'atrio condensò l'angoscia di Oskar in puro terrore. Aveva un volto talmente bello da sembrare modellato sulla porcellana, un viso che lui aveva già visto, una volta soltanto in tutta la vita, ma che gli era rimasto incastrato nelle viscere. Era la fanciulla tratteggiata da Gustav Klimt, la ninfa con le labbra arricciate in un sorriso beffardo. Trovarsela davanti a casa di Moll gli tolse il respiro dai polmoni come se lei gli avesse affondato un pugno nella pancia. (p. 92)

Fu infatti Alma Mahler la modella del celebre dipinto Giuditta di Gustav Klimt e l'incontro tra lei e Kokoschka fu subito, fin dalla prima sera, fatale. Tutte le tele di Kokoschka, da quel momento in poi, ritrassero sempre lei, sotto varie forme. Tuttavia questo amore "fatale" oggi lo si chiamerebbe tossico, perché la gelosia di lui, la volontà di trasformare Alma in una musa personale ed esclusiva, si scontrò con la fiera indipendenza della donna, con la sua insubordinazione alla società patriarcale, che fin da piccola le aveva riservato un futuro preciso:

«Mi è stato detto che dovevano piacermi abiti e cappelli e mi sono piaciuti», continuò lei. «E che la cosa più importante per una ragazza era l'amore. E io mi sono innamorata, ma nemmeno quello andava bene [...] Se un uomo scrive musica come so scriverla io lo chiamano Maestro. A me sorridono con condiscendenza: ma che brava Alma! Se un uomo sposato si innamora di una ragazzina e la segue per tutta l'Italia ha solo giocato, ma se io lo bacio sulla porta dell'albergo non sono nient'altro che una puttana. O una sirena che incanta gli uomini e se li mangia, non è vero?» (p. 130)

Alla fine resta l'impressione che nella volontà di dominio di Kokoschka e nel suo spasmodico bisogno di lei per placare i fantasmi della propria mente, ciò che veramente è mancato è la comprensione della vera identità di Alma.

Gli artisti sono probabilmente egoisti per definizione e il ritratto che viene fuori di Kokoschka è un ritratto a tinte fosche, per le sue visioni, i suoi deliri e le sue ossessioni. Il romanzo attraversa gli inquietanti territori della follia del pittore e presenta Lilith, la Musa negativa, l'ombra della mente di Kokoschka, lasciva e angosciante che fin dalla pubertà gli appariva, lo teneva desto (gli occhi sbarrati del dipinto) non gli lasciava requie, fino a fondersi in modo simbiotico con la figura di Alma.

E Alma assorbirà i demoni dell'amato, tenterà inutilmente di opporre a essi la forza del principio di realtà. 

Tuttavia, il viaggio nell'inferno mentale di Kokoschka non diviene davvero "carne e sangue" del racconto, e lo si racconta da una prospettiva non facilmente decifrabile. Non vi è né un'immersione che faccia realmente percepire al lettore l'instabilità devastante di questa follia, né una narrazione neutra. Rimane per certi versi nella superficie di una tematica che meritava di essere approfondita, anche perché la Vienna narrata è anche la Vienna di Sigmund Freud, che appare citato en passant, ma che invece fu per Kokoschka come per tutta quella generazione di viennesi un imprescindibile punto di riflessione. Anche il ruolo di Lilith, questo "demone" dai connotati spiccatamente sessuali, risulta accennata e si intuisce il ruolo anche della madre di Oscar in queste apparizioni, ma il romanzo sembra a volte maneggiare materiale esplosivo che rimane inesploso. 

Quella Vienna, del resto, ha fatto scorrere fiumi di inchiostro a scrittori, critici, filosofi: era anche la Vienna, dicevamo, di Freud, di Kraus, di Musil, di Wittgenstein, di Hofmanstahl. Era la Vienna degli ultimi giorni dell'umanità - come titolava una celebre opera di Karl Kraus - quella degli uomini senza qualità, che hanno assistito al tramonto di un Ordine che sembrava immutabile e che invece si è scontrato con il colpo di pistola di Sarajevo.

Anche l'avvento della guerra e la decisione, irriflessa e caotica, di Kokoschka di parteciparvi, sembrano solo un'aggiunta ad una storia che deve volgere a conclusione. I ritratti dei grandi viennesi sono piacevoli, soprattutto quello di Gustav Klimt, nel ruolo di guida del giovane Oscar, o di Adolf Loos, tuttavia sembrano sempre caratterizzati da un corto respiro.

Il romanzo di Scilla Bonfiglioli resta comunque una lettura piacevole, che ha il pregio di portare alla luce una figura femminile - Alma Mahler - che merita di essere riscoperta.

Deborah Donato